Fenomenologia dei biopic musicali di Hollywood

A Hollywood si sono sempre realizzati film basati sulle biografie delle celebrità: sono film che funzionano perché riescono a calibrare una serie di fattori tali da garantire il successo. In particolare le biografie di cantanti del passato trionfano perché, grazie alle canzoni, creano una forte connessione emotiva con il pubblico, soddisfano la curiosità sulla vita degli artisti e rievocano ricordi del passato. Post-Bohemiam Rhapsody Dagli anni novanta ormai Hollywood ci propone almeno un paio di biopic ogni anno di artisti pop, cantanti lirici, musicisti di musica classica e rock band, registrando successi importanti. Le cose però sono cambiate a partire dal 2018, ovvero con l'uscita di “Bohemiam Rhapsody” il film di Bryan Singer sulla vita artistica dei Queen. Il film è stato un enorme successo commerciale che ha incassato oltre 910 milioni di dollari a livello mondiale, diventando il biopic musicale con gli incassi maggiori di sempre. La pellicola ha riscosso un grande successo anche in Italia, dove è stato il film più visto del 2018 con quasi 30 milioni di euro di incasso. Il film sui Queen peraltro vinse quattro premi Oscar tra cui Miglior Attore per Rami Malek che interpretava Freddy Mercury, e due Golden Globe. Ecco, da quel momento Hollywood e soprattutto il dipartimento marketing delle varie case di produzioni, si accorgono che i biopic musicali possono essere una miniera d'oro con uno sforzo ridotto. Da allora infatti i film biografici musicali sono più che raddoppiati: “Rocketman” “Bob Marley: One Love”, “Better man” , “Elvis” e “A Complete Unknown”, “Amy”, solo per citare i più recenti e di successo. Il caso a latere: il film su Bruce Springsteen Uno degli ultimi in ordine cronologico è “Springsteen – Liberami dal nulla” co-prodotto, scritto e diretto da Scott Cooper, uscito in tutto il mondo tre settimane fa e che, al contrario di molte aspettative, non ha avuto al botteghino il successo che ci si immaginava. Rispetto ad altri classici biopic, questo film si concentra su un periodo molto preciso della carriera di Bruce Springsteen, ovvero quello tra il 1981 e il 1982 dedicato alla creazione di “Nebraska” un disco acustico minimale e crudo inciso in camera da letto che deviò per un attimo la carriera del cantante dal successo mondiale, che poi tornò dopo con “Born in the USA”. Si tratta di un film molto particolare – d'autore senza esserlo - più incentrato sulla lotta alla depressione e ai demoni dispersi in quel periodo dal rocker originario del New Jersey. Nonostante il grande battage pubblicitario che ha coinvolto lo stesso Springsteen e l'ottima interpretazione del lanciatissimo Jeremy Allen White, il film ha avuto un esordio deludente al botteghino negli Stati Uniti e, in generale, in tutto il mondo. Si tratta infatti dell’anti-biopic rock per eccellenza, lontano da certi film epici e gloriosi. Ma che non fosse un film particolarmente marketing oriented lo si capiva fin dal titolo. Negli ultimi anni infatti i titoli dei biopic si riferiscono il più delle volte a una canzone famosa se non direttamente al nome dell'artista o a una combinazione dei due . Mentre nel caso di “Springsteen: Deliver Me from Nowhere” si tratta di una combinazione del nome dell'artista e di un riferimento a una canzone che non esiste. Ma, molto probabilmente, si trattava di un rischio calcolato. Ecco perché si producono tanti biopic Tuttavia, anche se il film è stato una delusione al botteghino, ci sono ottime ragioni per pensare che Jeremy Allen White guadagni una nomination agli Oscar. I membri dell'Academy sono piuttosto sensibili a queste interpretazioni , specialmente quando l'attore impara a cantare, a suonare la chitarra e a fare di tutto per somigliare e parlare come il personaggio che interpreta. Ma le nomination agli Oscar e il successo al botteghino sono solo una parte della motivazione alla base di questi film, perché forse il loro vero valore risiede nel riaccendere l'interesse del pubblico per la carriera di un artista. I film biografici musicali in genere portano a un aumento duraturo degli ascolti mensili dei loro protagonisti: un film biografico accolto male raccoglie dai tre ai cinque milioni di ascoltatori mensili su Spotify, mentre un blockbuster come Bohemian Rhapsody può aumentare questa cifra di quasi 20 milioni di ascoltatori. Questo fenomeno non è esclusivo del XXI secolo. Il film vincitore del premio come miglior film nel 1984, “Amadeus”, ha visto la sua colonna sonora di registrazioni classiche di Mozart rggiungere i piani alti delle classifiche di vendite: il film di Milos Forman è riuscito nell'impresa di far scoprire a molte generazioni la musica di un autore di 150 anni fa. I musicisti – e, soprattutto, chi possiede i loro diritti – sono perfettamente consapevoli di questa tendenza: molto spesso, un film biografico riceve il via libera dagli eredi di un artista, dai suoi figli o da una società che ha acquistato il catalogo arretrato del musicista. Se poi l'opera dell'artista è un titolo azionario, allora un adattamento hollywoodiano è un modo comprovato per aumentarne il valore. Il prossimo anno uscirà il film biografico sul re del pop Michael Jackson: siamo piuttosto certi che questo film ometterà alcuni aspetti della vita del cantante e, al di là del successo al botteghino, il repertorio del cantante americano godrà di un'ulteriore impennata di ascolti e di vendite.

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Michele Boroni