Francesca Torre: "La parità non arriva con un conflitto tra i generi"

Cinque anni fa, in piena pandemia, un gruppo di fumettiste italiane si univano per formare il collettivo Moleste e dare voce alle vittime di abusi e molestie sul lavoro nel loro settore, per fare cultura e diffondere una consapevolezza diversa sui rapporti tra i generi. Francesca Romana Torre è da sempre una delle anime del gruppo, coautrice e curatrice editoriale del volume “Fai rumore”, raccolta di storie a fumetti a tema edita da Il Castoro. Proofreader per Panini Comics, appassionata di fumetto supereroistico, attivista impegnata a contatto con le generazioni più giovani, Francesca Romana Torre è stata tra gli ospiti di Cortona Comics, dove l’abbiamo incontrata per un’intervista. Sono passati cinque anni dalla fondazione del collettivo Moleste e tre dalla pubblicazione di “Fai Rumore”. È cambiato qualcosa nel frattempo sia nel mondo del fumetto che nel mondo in generale? In generale il fatto che si parli molto più di queste cose aumenta anche la percezione che avvengano spesso. In realtà i dati sono anche in leggero miglioramento, è più una questione di percezione e forse anche di fatica mediatica. In che senso? È bene che si parli di fatti che sono sempre accaduti e ancora accadono, però è pure vero che non necessariamente parlarne di più equivalga a parlarne meglio. Non sempre sui social, nei telegiornali, nei salotti televisivi, questi argomenti vengono trattati con la delicatezza e con la consapevolezza che servirebbero. Del resto, però, è molto interessante il dibattito intorno alle tante campagne che parlano anche di educazione sessuo-affettiva nelle scuole e di interventi culturale, opponendosi a un approccio esclusivamente giuridico al problema. E voi come vi ponete? Come collettivo siamo lì che osserviamo, partecipiamo in diversi spazi, che spesso non sono quelli online ma le scuole o i vari incontri dal vivo. Devo dire che da quando siamo nati ad adesso per fortuna si è tornati a fare attivismo faccia a faccia, ma ci siamo rese conto che dobbiamo tornare anche un po' di più sull'online e cercare di coprire entrambe le postazioni. Quello che sta succedendo è che molti si auto-organizzano in questo senso, nascono sempre più collettivi, sempre più spazi di confronto che parlano di molestie e abusi in altri ambiti o anche nel nostro, o semplicemente che propongono un'editoria alternativa. Di che tipo di editoria parla? Le auto-produzioni vanno sempre meglio, hanno un mercato sempre più interessante. E in queste auto-produzioni c'è tantissimo movimento queer e femminista. Le novità non mancano, vanno individuate. Da sempre è impegnata in progetti sociali, ha lavorato anche con Emergency, da parecchi anni ha questo impegno nell'educazione sentimentale per costruire un migliore e più sano rapporto tra i generi. Quanto è totalizzante per lei questo impegno, anche nel suo lavoro? È diventato un po' vincolante. È la mia identità professionale, non la rinnego né mi dispiace, per il momento mi va bene, però prima o poi voglio anche uscirne un attimo perché in realtà i miei interessi, le mie letture, anche le mie idee parlano di tante altre cose. E perché non ci riesce? Nel momento in cui ho uno spazio editoriale, a volte penso di provare a giocarmela in maniera un pochino più leggera, ma quasi mai poi sono io stessa che mi sento responsabile di quegli spazi che ho per parlare di cose che secondo me vanno affrontate. Quindi è un po' croce e delizia: parlare di tematiche sociali nel fumetto è per me anche un modo per alleggerirmi come persona, perché comunque mi porta a dare una veste più fruibile e leggera a temi di per sé molto duri e pesanti. Ma è anche facile nel mercato schiacciarsi sotto un'etichetta. Così a volte mi dico: “Magari mi trovo uno pseudonimo e scrivo cose che non c'entrano niente. Scrivo Conan”. Sullo stesso filone, con la stessa finalità, è partita l'avventura della rivista “SMACK!”. È una rivista nata come una risposta perché ci siamo rese conto che ci invitavano spesso in spazi editoriali autogestiti, storicamente di sinistra, e abbiamo percepito che non sempre sono anche ambienti liberati da dinamiche sessiste. Volevamo creare uno spazio libero, in cui portare emergenti e professioniste, con la garanzia che non avrebbero subito nessun tipo di trattamento sessista, perché se il lavoro del collettivo è volontario, qui paghiamo un gettone ai contributor esterni. Anche nella sua veste è diventato un prodotto sempre più professionale, siamo stati appoggiati da una casa editrice che ci cura la distribuzione e la stampa lasciandoci assoluta libertà sui contenuti. Per quanto il collettivo Moleste e anche gli autori di “Fai Rumore” e “SMACK!” siano in prevalenza donne, ci sono anche delle voci maschili. Quanto è importante secondo lei che il discorso di genere e il discorso delle relazioni tra i generi siano affrontati anche dagli uomini e con gli uomini? È importante perché non crediamo che la parità possa arrivare con un conflitto tra i generi. Le voci maschili parlano di esperienze tipicamente maschili che hanno a che fare con questi temi. Davide Costa in “Fai rumore” parla della pressione che subiscono i giovani uomini dal linguaggio violento da cui sono bombardati, che poi porta anche ad avere comportamenti che non si avrebbero altrimenti. Un punto di vista maschile sul tema è un punto di partenza per smettere di pensare che questi problemi siano soprattutto del genere femminile o degli altri generi. Perché il vero cambiamento avverrà quando realmente si metterà in discussione il concetto stesso di superiorità di un gruppo di persone rispetto ad altri. Questa cosa si può declinare col genere, con la condizione economica, con la provenienza culturale. Noi puntiamo idealmente a un abbattimento dei privilegi, non a un loro rovesciamento. E cosa devono fare gli uomini per contribuire all’abbattimento di questi privilegi? Se parliamo di questioni di genere, di violenza, piuttosto che andare sulla difensiva e dire “questa cosa non mi riguarda”, interrogarsi e decostruire quelle credenze e quell’eredità sessista che anche noi donne abbiamo. Aprire i nostri spazi rispetto ad altre comunità femministe. Con Moleste ci rivolgiamo innanzitutto a un pubblico giovane ed escludere a prescindere il pubblico maschile sarebbe completamente controproducente. Pensa che siano abbastanza i maschi pronti a questo tipo di discorso? Perché poi alla fine si tratta fondamentalmente di mettere in discussione un sistema valoriale con cui si cresciuti. Sì, e di scendere da un piedistallo, perché per quanto si possa non percepire nella propria esperienza individuale, a livello generale l'uomo maschio, bianco, etero, cis, gode di un privilegio. E no, non sono abbastanza ma probabilmente non siamo abbastanza nemmeno noi donne che facciamo un discorso di ricostruzione, di apertura. A volte la peggiore reazione verso il tema femminista viene proprio dalle donne. E poi c'è una chiave di lettura che ancora non è stata abbastanza interiorizzata. Quale? Gli uomini, per essere parte di questo movimento, non devono appoggiarsi alle donne, ma devono veramente interrogarsi, auto-organizzarsi e credere che questo sia un problema. Non per compiacere qualcuno né per essere compagni di qualcuno. Questo è un passaggio importante, perché sennò stiamo soltanto trasportando su altri temi le dinamiche della mamma e della donna che si prende cura dell’uomo. Anche per questo abbiamo scelto il tema della cura per “SMACK!” 2, perché è un tema molto importante e bello, che però può anche diventare un concetto pericoloso. A proposito di educazione sentimentale nelle scuole, che impressioni ha ricevuto in questi anni dall'incontro con i più giovani? Ci sono state reazioni molto diverse a seconda dei contesti in cui ci siamo mossi. C'è da dire che già presentarsi come femminista in un contesto di scuole medie a volte produce un senso anche di pregiudizio e chiusura. Ed è su questa chiusura si lavora, anche mettendo in discussione gli stereotipi, parlando della definizione di questi termini per capire che non c'è un atteggiamento di conflitto, di prevaricazione, che le femministe non vogliono prendere il potere. Poi ci sono altri contesti molto più incoraggianti, in cui i ragazzi già sono interessati a questi temi, sono loro propositivi, sono loro che invece vogliono parlare di questo. Ma devo dire che sono ancora pochi e soprattutto non sono dei contesti scolastici in cui la classe è più o meno obbligata a partecipare a un incontro, ma festival in cui i ragazzi già sono più protagonisti. Con “L'Età Verde”, in cui parlavo di temi affini alla salute mentale, è stato un po' più facile entrare in contatto con gli studenti e le studentesse perché c'è una grandissima voglia di parlare di queste cose. E pochissimo ascolto. Al di là di questo suo impegno sociale, quali sono i suoi gusti? Che fumetti legge? Che serie tv e film guarda? Otre a scrivere, di mestiere faccio la correttrice di bozze per Panini, per cui ho imparato ad amare tutto quello che è il mondo dei supereroi. Il mio supereroe preferito è Superman, proprio per questo senso ideale di bontà che a volte lo fa passare come un sempliciotto, ma di fatto ha una poetica dietro incredibile. Poi sono una grande appassionata di “Star Wars”, amo molto il cinema d’azione, anche se vedo pure i polpettoni intellettuali. Ma in generale sono molto più pop, mi dà fastidio il ricatto dell'arte sociale che ti deve piacere per forza; se è fatta male, non mi piace. Quali sono i suoi progetti futuri, su cosa sta lavorando? Intanto si sta riaprendo una collaborazione con Il Castoro per un nuovo fumetto e L’Età Verde uscirà in Francia. C'è poi un progetto che sto provando a realizzare proprio per il mercato francese, valutato ad Angoulême , per cui sono un po' in attesa. È iniziata anche per me quella fase tragica dell’andare a bussare dagli editori e vedere che succede. Io ho iniziato in maniera abbastanza atipica. Per “Fai rumore” ho partecipato a una selezione con la mia storia ma in un contesto in cui il progetto già esisteva. Di solito uno sceneggiatore fa molta più gavetta, io sono partita un po' viziata e inesperta su come si propone un progetto.

Cosa vedere:

Come vederlo:

Online con Sky:

Francesca Torre: "La parità non arriva con un conflitto tra i generi"