Tanino Liberatore: "Serve sempre spazio per dire qualcosa di diverso"

Tra gli anni ’70 e ’80, con colleghi come Andrea Pazienza, Stefano Tamburini, Filippo Scòzzari, Massimo Mattioli, ha contribuito a segnare l’evoluzione dirompente del fumetto indipendente italiano su riviste come “Cannibale” e “Frigidaire”, e dando vita al cult che è “Ranxerox”, la storia di un androide creato coi pezzi di una fotocopiatrice, un “coatto sintetico” eternamente succube della precocissima fidanzata 13enne Lubna. Tanino Liberatore, Magister del Comicon 2025 nella sua doppia incarnazione a Napoli e Bergamo, vive ora il fumetto con un certo distacco, dopo essersi costruito una eccellente carriera di illustratore e aver dato forma a visioni folli, irriverenti, punk, ma anche a storie di estrema delicatezza come la “Lucy” sceneggiata da Patrick Norbert. Da decenni ormai residente in Francia, Liberatore ci ha raccontato della stagione delle riviste, del legame con Frank Zappa e di come sia sempre aperto e curioso verso le nuove tecniche e tecnologie . Tanino Liberatore, Magister del Comicon e punto di riferimento del fumetto italiano. Frank Zappa l'ha definita “il Michelangelo del fumetto”. Lei come si definisce? Mi definisco… un buon disegnatore? Sì, un buon disegnatore. Frank Zappa in realtà disse che ero il più grande disegnatore dopo Michelangelo, poi in Francia l'hanno tradotto con “Michelangelo del fumetto”. È una cosa che mi fa piacere, anche perché dopo questa affermazione mi sono reso conto che in effetti Michelangelo era stato l'unico che mi aveva influenzato nel mio lavoro, fin da quando ero piccolo. I primi libri che ho comprato erano uno sulla Cappella Sistina e due più piccoli sulle sculture di Michelangelo. “Ranxerox” è un'opera esagerata sotto tantissimi aspetti. Si faceva beffe del perbenismo dell'epoca, lo sfidava in modo provocatorio. Oggi sarebbe possibile fare un fumetto del genere? No, perché il perbenismo di oggi è molto più vittoriano e becero di quello della mia epoca, anche se a quei tempi sembrava impossibile. Ci sentivamo molto più liberi allora che adesso. Nel periodo nostro, il fatto che potesse esserci un personaggio di una bambina di 13 anni, che è poi il più negativo della storia, sessualmente attivo non ha mai scioccato quasi nessuno. Non che non si prestasse attenzione alla cosa, ma c'era una mentalità un po' diversa. Non si pensava fosse una cosa legata alla pedofilia, la si vedeva un po’ come una che faceva le stesse cose delle ragazzine di 16 anni. Oggi avrebbe senso quel tipo di provocazione? Partiamo dal principio che quello che disegnavamo non era una vera provocazione ma semplicemente ciò che ci divertiva, che sentivamo e che vivevamo tutti i giorni. Oggi vedo un bigottismo galoppante, che trovo molto peggiore di quello della mia epoca, e quindi avrebbe sempre senso fare e dire cose diverse, confrontarsi con quello che succede in modo non conforme alle regole del politicamente corretto. Che poi, se veramente dovessimo rifarci alla politica, di corretto non ha proprio niente. Secondo lei ci sono oggi degli artisti che portano avanti questo atteggiamento un po’ irriverente? Più che irriverente direi libero. E ci sono. Zerocalcare, per esempio. E poi ci sono dei fumetti un po' trasversali sul web, o di case editrici giovani come Oblomov o Coconino. Ci sono dei giovani buoni. Anzi, tecnicamente più che di contenuti, devo dire che ci sono dei disegnatori ancora più validi di quelli della mia epoca. Giovani veramente bravissimi. Però noi facevamo fumetti basandoci su ciò che vivevamo e abbiamo avuto anche la fortuna di trovarci in un periodo in cui, con “Il Male”, riuscivamo a finanziare delle cose che altrimenti non avremmo potuto permetterci. Diciamo che ci sono state un po' di concause che hanno fatto sì che potessimo creare riviste come “Cannibale” e soprattutto “Frigidaire”, che qualcosa di nuovo hanno portato. A proposito della stagione delle riviste: “Cannibale” e “Frigidaire” erano fatte da artisti indipendenti che si univano per realizzare qualcosa di diverso. Cosa è rimasto oggi di quell'epoca e c'è ancora spazio per le riviste oggi? Ce ne sono ancora, penso a “Linus” o “Alterlinus”, a riviste più piccole come “La Revue” che fa giornalismo a fumetti… Non lo so, perché sono un po’ fuori dal fumetto. Però devo dire che nel nostro periodo le riviste erano fondamentali anche per poter vivere, perché c’era la pre-pubblicazione, ti veniva pagata la pagina. E con quei soldi, specialmente in Francia, potevi vivere e continuare a creare. Poi, quando usciva l'albo erano tutte royalty in più. Il posto per dire qualcosa ci dovrebbe sempre essere, poi il problema è vedere se la gente le compra o le legge. Per fare una rivista ci vogliono i finanziamenti, ci vogliono tante cose che devono incastrarsi. Tornando un attimo a Frank Zappa, com'è stato collaborare con lui per la cover di “The Man From Utopia”? Frank Zappa era uno dei miei idoli e quando ti chiama un idolo per fare una copertina... All’inizio dovevo fare addirittura un fumetto con Stefano per raccontare tutte le vicissitudini di quel tour italiano dell'82 di cui non era molto entusiasta, poi alla fine decise che voleva soltanto la copertina, quindi sono rimasto solo io. Come vi incontraste? Mi invitò a sentire i suoi concerti a Napoli e Roma. Andammo a mangiare insieme a Posillipo, mi ricordo bene. E io vedevo questa persona che veramente aveva uno sguardo diverso, con gli occhi che brillavano di luce non riflessa ma propria. E cominciò a dirmi esattamente tutto quello che voleva sulla copertina. Cosa le disse? Lui aveva scoperto “Ranxerox” tramite una ragazza presentata come giornalista che gli portò una copia di “Frigidaire”, aveva visto l’albo e aveva detto al suo agente di contattarci subito. Voleva che sulla copertina ci fosse questa ragazza che voleva andare a letto con lui, il Papa che dava la benedizione, gli organizzatori del tour che pensavano solo a sniffare fregandosene di lui, le zanzare che lo avevano mangiato vivo al Parco Lambro quando era venuto a Milano… E io gli dissi: “Facciamo così, io mi occupo del fronte e sul retro metto tutto quello che vuoi tu”. Mi ricordo che si mise a ridere e disse: “Ok, facciamo così”. Feci gli schizzi e glieli mandai per le correzioni: gli avevo messo una chitarra Gibson e una racchetta moschicida, che però avevo cancellato perché sembrava troppo, ma con la gomma rimane comunque il segno della matita sotto. Lui mi disse che dovevo mettere una Fender perché era il suo sponsor e poi mi chiese “perché hai tolto la racchetta moschicida? Rimettila perché sarà il simbolo della copertina”. Poi avete continuato a sentirvi. Sì, non è finita lì. Mi contattò per altri progetti che poi non abbiamo concluso e mi invitò in Francia per il concerto di Boulez che dirigeva l’orchestra sulle sue musiche. Era nero perché i musicisti classici non riuscivano a eseguire un passaggio che mi fece vedere e lui non concepiva come potessero eseguire note difficilissime senza problemi ma non questa variazione di ritmo. Era un fissato, i suoi concerti erano eccezionali. Andai quindi al Teatro du Chatelet, fu un concerto magnifico. Alla fine Boulez lo chiamò sul podio per fargli dirigere il bis, ma lui rimase fermo, con l’espressione durissima, perché ancora una volta non erano riusciti a eseguire quel passaggio. Non volle salire sul podio, si rigirò e andò nei camerini senza dire una parola. Lo raggiunsi lì e vidi entrare il percussionista, che si era davvero dannato, a chiedergli come fosse andata, e lui a un certo punto rispose: “La prossima volta vengo con i miei musicisti rock che non hanno bisogno di leggere lo spartito”. Il giorno dopo, invece, era contentissimo perché durante la registrazione in studio gli stessi musicisti erano riusciti a eseguire quel passaggio. Andrea Pazienza l'ha trasformata in un personaggio dei fumetti in “La leggenda di Italianino Liberatore”. È un'opera che racchiude e dice tantissimo del vostro rapporto. Che ricordo ha di quest'opera? Quando fece “Italianino Liberatore” era tornato da Parigi, mi ricordo, e per telefono mi spiegò la storia: “Mi sa che faccio una storia tua, The legend of Italianino Liberatore”. Era la storia di questo scambio fra la Francia e l’Italia, che coinvolgeva Platini e me. E due giorni dopo aveva già disegnato dodici pagine, che erano fantastiche, oltretutto. Poi è diventata una storia fra di noi, con Stefano Tamburini e Vincenzo Sparagna, che gli altri non potevano capire. Una storia intimista, insomma. Abbiamo sempre avuto un ottimo rapporto, così come con gli altri di quel gruppo. Cosa ricorda di lui? Io e Andrea avevamo fatto anche il liceo insieme e lui era un rompiscatole enorme, uno che aveva sete di conoscenza, curiosissimo, ma delle volte era eccessivo. Io invece ero proprio un pastore abruzzese quando ci siamo conosciuti, e qualche sberla gliela diedi all’epoca. Quindi lui mi vedeva un po’ così… Fu Andrea a farmi conoscere quelli di “Cannibale”, mi presentò lui a Stefano e gli altri. Negli anni 2000 è tornato a un fumetto con “Lucy”. So che c'è stata una lavorazione lunghissima dietro questa opera. Per l'occasione ha sperimentato per la prima volta il digitale. Come mai prese questa decisione? Ogni step importante nel mio lavoro è sempre coinciso con l'adozione di una nuova tecnica, di un cambiamento. Prima di “Ranxerox” non avevo mai fatto una storia a colori. Per “Lucy” invece avevo iniziato a disegnare normalmente ma mi ero reso conto che per rendere credibile quella storia dovevo farla più realista possibile, e ho pensato che col computer potevo ottenere questo effetto. Ma io non sapevo ancora nemmeno accenderlo, il computer. In studio c’era un ragazzo che faceva animazione e quindi lo usava e gli ruppi le scatole per un sacco di tempo fino ad appassionarmi. E come è andata? All'inizio disegnavo un po’ come su carta, doveva essere in bianco e nero, e quando ho deciso di colorarlo con una variante di Photoshop ho dovuto rifare tutti i livelli delle prime quattro tavole. Dico sempre che, come Lucy è passata dalla posizione quadrupede a quella bipede, io ho alzato la testa dal foglio al monitor. Certo, nel frattempo facevo anche altro, ma comunque è un’esperienza che è durata sette anni, e in quei sette anni ho lavorato esclusivamente in digitale. Ho acquisito una nuova tecnica, perché alla fine si tratta di disegnare in un modo diverso ma pur sempre di disegnare, non è che il computer fa da solo, e ancora oggi la uso quando faccio dei lavori su ordinazione, al limite comincio a matita ma dopo finisco sempre al computer perché è più facile poi fare delle modifiche. Lei è sempre stato attento ai progressi e aperto all'innovazione. Dell'intelligenza artificiale generativa ha detto, in un panel con Dave McKean, che uccide la creatività. No, in realtà ho detto che è pericolosa. Quando si disegna in digitale non è che la macchina ti fa disegnare come questo o quell’altro artista. Io non adopero la IA e se la adoperassi non ucciderebbe comunque la mia creatività perché la comanderei io, ma non ci sarebbe il piacere e penso che possa creare dei problemi, specialmente in lavori come quelli di cui parlavo prima, su ordinazione, dove basta domandare all’IA ciò che vuoi e te lo fa benissimo. Anche nel cinema: ho visto video pazzeschi, e fatti in così poco tempo. Ed è una tecnologia giovane che si sta ancora sviluppando, diventerà un problema. Non per me, perché il disegno analogico e il lavoro di chi dipinge sarà forse valutato ancora di più in quanto saranno pezzi sempre più unici, ma per il fumetto può essere un problema. So che Jodorowsky l'ha corteggiata per lavorare insieme. Un sacco di anni fa… E non è mai successo. C’è qualche rimpianto nella sua carriera? No. A Jodorowsky dissi di no non perché non mi piacesse lui ma perché sapevo che con lui due albi diventavano 5 o 6, e siccome il fumetto per me è sempre stato un vero sacrificio, non avrei mai potuto seguire quel ritmo. Penso a “Ranxerox”: all’inizio dovevano essere 16 pagine, otto disegnate così come sono e le altre otto come la Marvel Comics, con i retini eccetera. Poi ha avuto successo con quelle prime otto e quindi ho dovuto continuare in quel modo. È stato un lavoro molto duro, non è il mio linguaggio naturale anche se sinceramente quando lo faccio lo faccio discretamente. Inoltre non sono un grande amante della fantascienza, mi piacciono più le storie ambientate in un futuro prossimo che mi permette di parlare dell’oggi e del domani al tempo stesso, che non mi tiene legato a niente.

Cosa vedere:

Come vederlo:

Online con Sky:

Tanino Liberatore: "Serve sempre spazio per dire qualcosa di diverso"