Pierre Adrian: “Cesare Pavese, l’amico di cui abbiamo tutti bisogno”

Il 27 agosto 1950 Cesare Pavese si suicidò nella stanza di un albergo di Torino. La stessa città in cui 75 anni dopo incontriamo lo scrittore Pierre Adrian: francese, classe 1991, al Salone del Libro ha presentato “Hotel Roma”, un racconto appassionato e intimista, edito in Italia da Atlantide, sulle tracce dello scrittore e poeta piemontese de “Il mestiere di vivere”, che si procurò la morte in un estremo atto di ribellione. Una figura chiaroscurale, di difficile decifrazione e grande complessità psicologica, vista dagli occhi di un Millennial anomalo, come si definisce Adrian. Muovendosi tra memoir, romanzo e ricostruzione, l’autore, che va alla scoperta dei grandi del passato con lo stesso spirito con cui si cercano nuove amicizie in una città che non si conosce, ci accompagna in un viaggio interiore in cui ripercorre la vicenda esistenziale di Pavese e i suoi ultimi giorni. Adrian non è nuovo a queste esplorazioni dei meandri letterari italiani. Aveva solo 23 anni quando raccolse in “La pista Pasolini” i frutti del suo pellegrinaggio da Nord e Sud, nei luoghi e nella memoria dello scrittore corsaro. Anche quando si confronta con un romanzo più classico, come in “I giorni del mare”, Adrian mantiene una postura malinconica. Potrebbe essere proprio in questo profondamente Millennial, la generazione che è cresciuta tra due secoli e che vive un perenne sentimento di non-appartenenza al presente. Che cosa ha capito di Pavese dopo aver scritto “Hotel Roma”? Sinceramente ancora non lo capisco tanto, nel senso che tutto quello che so di lui è che aveva questa complessità e questa sensibilità in cui io mi sono molto rispecchiato. Inizialmente non ero così affascinato dal personaggio di Pavese, ma piano piano, lavorando su di lui, mi sono avvicinato ed ho fatto di Pavese un compagno di vita, una sorta di fratello più grande. Perché sai, quando scrivi hai bisogno di fratelli, di zii che ti aiutino a scrivere, a vivere e Pavese per me è stato tutto questo. Che tipo di compagno è Cesare Pavese? Pavese, come diceva Italo Calvino, è l'amico taciturno, solitario che, nonostante tutto, ti aiuta a capire il mondo. È l’amico che non ti tradisce, che ti capisce profondamente, che ti dice solo la verità, ti sbatte in faccia la realtà, quindi questo mi piace molto. Cosa penserebbe, secondo lei, dell'Italia di oggi? Secondo me non avrebbe tanto da dire dell'Italia di oggi, perché quando leggi le sue opere ti accorgi che l'epoca non c'entra, lui è astorico, sa planare al di sopra di tutto. Una figura indecifrabile anche dal punto di vista politico e ancora si fa fatica a capire cosa pensasse davvero, da che parte fosse. A proposito di questo, c’è sempre stato un gran dibattito sul Pavese politico. Lei che idea si è fatto? Secondo me stiamo vivendo in un'epoca in cui ci dicono che dobbiamo impegnarci a tutti i costi, è quello che vuole la gente. Bisogna essere engagés, e quindi facciamo fatica a capire scrittori come Pavese che invece non sono schierati. Lui non era schierato, anche se aveva aderito al Partito comunista e aveva sofferto molto del fatto di non essere stato partigiano, aveva sperimentato il dolore per la morte del suo carissimo amico Leone Ginzburg durante la guerra. Tanti dei suoi amici erano stati resistenti, mentre lui si era ritirato nelle colline vivendo un periodo un po' più spirituale. Impossibile giudicare il Pavese politico. Direi che lui era già talmente impegnato nella vita stessa e questo bastava di per sé. Lei è un Millennial che riscopre dei personaggi letterari, indecifrabili come Pavese e dibattuti come Pasolini. E proprio su quest’ultimo, da francese che vive in Italia, anzi a Roma, cosa pensa del dibattito italiano attorno a questa figura? Mi infastidisce un po' il fatto che Pasolini sia diventato un'icona, un po' pop, un Che Guevara italiano e secondo me lo usiamo troppo, Pasolini, per dire delle cose, le cose che vogliamo, perché la sinistra lo sfrutta per alimentare un discorso politico, così come la destra perché fu uomo di sinistra ma allo stesso tempo feroce critico della sinistra. Invece Pasolini era semplicemente una persona libera, una persona di cultura, molto intelligente, mai schierato così tanto nella politica, meno di quanto pensiamo. Qual è l'opera che consiglia per riscoprire Pavese o per un ragazzo, magari giovane? “La luna e i falò” è un libro bellissimo, lui chiamava questo libro la sua “piccola Divina commedia" ed è un libro sul ritorno, sulle langhe, molto poetico, molto malinconico che ho amato per tutti questi motivi. Interessante è che "La bella estata" sia citatissimo su BookTok. Tralasciando la piattaforma secondo lei perché questo successo in differita? Aveva un rapporto molto strano con le ragazze, con le donne, perché era un grande disilluso, cioè lui non è mai stato innamorato, ha vissuto malissimo dei rapporti con l’altro sesso, quindi ha scritto anche sulle donne delle cose bruttissime nel suo diario. Allo stesso tempo ha scritto storie di personaggi femminili straordinarie e soprattutto ne “La bella estate” e in un racconto abbastanza sconosciuto che si chiama “Tra donne sole”. Si mise nei panni di una donna che torna a Torino per aprire un negozio e lui è bravissimo nell’incarnarsi in una donna. Mi sono confrontato con molte amiche che si chiedono come abbia fatto a capire così bene l'animo femminile e quindi secondo me per questo motivo Pavese è di una grande modernità oggi. Perché si è avvicinato alla letteratura italiana, a questi autori? Non c'è spiegazione. Poi mi sono trasferito in Italia e mi sono messo a leggere la letteratura italiana e penso di rispecchiarmi molto nella sensibilità italiana e in questa anche malinconia piemontese che ho ritrovato nei libri di Pavese. Cosa pensa della generazione di scrittori di cui fai parte? Beh, mi sa che non mi sento molto parte della mia generazione, anche perché come dice il mio editore sono molto novecentesco come scrittore, ho una scrittura molto classica, molto antica, però comunque posso dire che c'è una generazione di scrittori molto bella, anche molto impegnata su temi sociali importanti e quindi allo stesso tempo sono anche molto dentro alla mia generazione in fin dei conti.

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