Il faro dell'Europa sul mercato del second hand online

La maglia ormai è troppo corta, la bambina è cresciuta e il giocattolo non lo usa più, l’orologio vintage del nonno non va più di moda. Una volta avremmo detto: buttalo. Oggi il nuovo mantra è: vendilo, online. È il mercato dell’usato, un mare magnum di oggetti di seconda mano tirati fuori dalla polvere delle cantine, ma che se ben lucidati possono trovare nuova vita su varie piattaforme. Negli ultimi dieci anni, il numero di italiani che ha usato il mercato "second hand" è cresciuto da 19 milioni nel 2014 a 26 milioni nel 2023, sia sulla rete che offline. Dalla pandemia in poi sono spuntati centinaia di siti web dove poter vendere e comprare prodotti usati. Su e giù sullo schermo del proprio smartphone, milioni di italiani passano in rassegna pagine su pagine, incrociando recensioni, esaminando con cura ogni angolazione delle foto degli annunci, dai vestiti all’elettronica, scegliendo di acquistare sul web. Che sia per una questione di sostenibilità, per risparmiare o per una passione per il vintage, si cercano sempre più articoli “pre-loved”, termine entrato nell’economia circolare che significa appunto “precedentemente amato” e che possono continuare ad essere usati, evitando che finiscano in discarica e contribuendo a ridurre gli sprechi. Ma se nei mercatini dell’usato si possono toccare con mano bancarelle stracolme di vettovaglie della nonna, anticaglie con gatti demodé e collezioni di francobolli ammuffiti, verificando di persona l’autenticità dell’oggetto e contrattando sul prezzo, l’offerta virtuale potrebbe non essere sempre così trasparente come pensiamo. Un’indagine della Commissione europea, realizzata in collaborazione con le autorità nazionali di 25 Paesi dell’Ue , oltre a Islanda e Norvegia, ha messo sotto la lente 356 piattaforme specializzate in abbigliamento, tecnologia e altri oggetti di seconda mano, per verificare se le loro pratiche fossero conformi alle normative del vecchio continente. Dallo screening, che a Bruxelles si chiama “sweep” cioè una serie di controlli effettuati simultaneamente sui siti per individuare violazioni della normativa UE a tutela dei consumatori in un determinato settore, è venuto fuori che metà dei venditori online di prodotti di seconda mano viola i diritti di chi fa acquisti. La mancanza più grave riguarda l’informativa sul diritto di recesso: circa il 40% dei siti non informa in modo chiaro che la merce può essere restituita entro 14 giorni senza alcun costo aggiuntivo. Oppure, in quasi la metà dei casi non vengono fornite istruzioni esaustive su come comportarsi se il prodotto è difettoso o diverso dalla descrizione, mentre il 57% ignora completamente l’obbligo di offrire almeno un anno di garanzia sui beni usati. Andando avanti nella lettura dello studio risulta che il 34% dei venditori promuove i propri articoli con dichiarazioni di sostenibilità ambientale, ma fra questi uno su cinque non presenta prove sufficienti a sostegno delle affermazioni “green” e un altro 28% riporta informazioni considerate ingannevoli, in probabile contrasto con le norme Ue contro le pratiche commerciali sleali. Alcuni portali, inoltre, non indicano con chiarezza l’identità del venditore o il prezzo finale, incluse tasse e spese accessorie . Michael McGrath, Commissario per la democrazia, la giustizia, lo stato di diritto e la tutela dei consumatori, in occasione di questa indagine ha ricordato che: "I beni di seconda mano svolgono un ruolo cruciale in un'economia circolare. È importante che tutti i commercianti, compresi quelli dell’usato, rispettino i diritti dei consumatori”. Il futuro delle 185 piattaforme risultate irregolari lo decideranno nei prossimi mesi le stesse autorità nazionali, valuteranno se avviare azioni ufficiali, chiedere interventi correttivi o arrivare a delle sanzioni. L’indagine ha di certo acceso un faro su una tendenza che è diventata soprattutto per le nuove generazioni, ma non solo, uno stile di vita. Nella ricerca dell’Osservatorio Second Hand Economy, condotto da BVA Doxa per Subito.it, nella fascia di età tra i 35 ai 44 anni il 76% degli intervistati considerano la compravendita di beni di seconda mano il canale preferenziale per i propri acquisti. E non potrebbe essere altrimenti se negli ultimi dieci anni il volume d’affari complessivo generato dall’intero settore ha raggiunto il picco di 26 miliardi di euro ovvero l’1,3% del Pil nazionale. Lo shopping dell’usato potrebbe non essere solo una moda passeggera, ma un vero e proprio cambiamento culturale verso un consumo più responsabile e consapevole, un modo per rispettare l’ambiente, risparmiare e distinguersi.

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