Il secolo antisociale

Alzi la mano chi negli ultimi anni non ha visto, messo un "mi piace" o anche ricondiviso in prima persona uno di quei meme che parodizzano la vita dei trenta-quarantenni odierni con frasi tipo: "Ecco il mio sabato sera ideale", accanto a una foto di un anziano in pantofole seduto su una poltrona. Certo, si tratta di innocua autoironia, per carità; ma se questo tipo di satira ha un pubblico così ampio, è perché colpisce un nervo scoperto, o meglio parodizza un dato ineludibile: le generazioni che hanno raggiunto l’età adulta nell’ultimo decennio sono davvero più solitarie che mai, e la loro vita sociale, secondo ogni indicatore, è ridotta ai minimi storici. Usciamo sempre meno di casa, in altre parole, e passiamo sempre meno tempo con amici e conoscenti: di per sé potrebbe sembrare un dato da confinare alle abitudini del lifestyle, ma in realtà porta con sé contraccolpi profondi che vanno dalla struttura delle nostre società al modo in cui ci rapportiamo alla realtà. "Penso che le persone non si sentano a loro agio nel mondo di oggi. Hanno deciso che la loro casa è il loro rifugio. Non è facile farle uscire", ha detto il ristoratore di Washington Steve Salis a The Atlantic, che a questa tendenza – ribattezzata del "secolo antisociale" – ha dedicato un lungo articolo. Negli Stati Uniti del 2023 il 74% degli ordini effettuati nel settore della ristorazione veniva dai delivery o dall’asporto, in crescita di poco meno di 15 punti percentuali dal periodo pre-Covid; in Italia, secondo i dati di YouGov, quasi il 30% di utenti tra i 18 e i 34 anni d’età si dichiara un utilizzatore abituale dei servizi di consegna di cibo. Ma non si tratta solo di come mangiamo, ovviamente: anche l’entertainment è diventato un fatto privato e solitario, da seguire su schermi che di norma compulsiamo in casa; andare al cinema è passato da condizione minima di intrattenimento su pellicola a gesto d’antan, certamente ancora comune ma considerato da molti giovani un’esperienza più che un gesto abituale: secondo un sondaggio di Swg relativo al 2023, un italiano su due dichiara di non recarsi più nelle sale cinematografiche. Dati su cui di certo la pandemia ha avuto il suo peso, ma che da allora hanno continuato il loro trend senza grandi esitazioni. "Farsi amici quando hai più di 25 anni è una delle cose più difficili al mondo", sentenzia un tweet con poco meno di 4mila like in cui mi imbatto scrivendo questo articolo. Solo un altro segnale debole che parla di un mondo piagato da una solitudine di fondo, che d’altronde è anche connaturata a una certa architettura comunicativa che passa per i social e gli algoritmi, strumenti che hanno dato copiosi vantaggi e ridotto parecchie distanze, ma che per costituzione tendono a ridurre le interazioni sociali al minimo sindacale, sostituendole con engagement di respiro corto e soddisfazione meno durevole. "La solitudine auto-imposta potrebbe verosimilmente essere il fatto sociale più importante del Ventunesimo secolo in America", scrive l’Atlantic, e lo stesso si potrebbe dire senza problemi per buona parte del resto del mondo, occidentale e non: e d’altronde, se il progresso non è veramente condiviso coi nostri simili, può ancora chiamarsi progresso?

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