Libri come opere d’arte, il patrimonio della Biblioteca Palatina a Parma

La Biblioteca Palatina, all’interno del Complesso monumentale della Pilotta, nel cuore di Parma, ospita una singolare mostra dossier. Si intitola La legatura italiana dei secoli XV e XVI nel patrimonio della Biblioteca Palatina, un viaggio nel mondo affascinante dei libri antichi, degli artigiani che li creavano, dei materiali utilizzati per le copertine – dal cuio, alle stoffe, ai metalli – rendendoli oggetti di grandissimo valore, vere e proprie opere d’Arte. Il curatore della mostra è Federico Macchi, lo abbiamo intervistato. Qual è stata la cosa più impegnativa nella curatela di questa mostra? La cosa più impegnativa è stata scegliere tra tante legature importanti se non importantissime, talora note in pochi esemplari al mondo, vista la quantità e la qualità dei materiali disponibili in Palatina. Non soltanto per il XV e XVI secolo, su cui oggi verte questa mostra ma anche per i secoli successivi. È stata una scelta difficile ma il risultato ci vede oggi riuniti con soddisfazione, per ammirare questi piccoli gioielli. Questi manufatti, dunque, sono come gioielli? Sono delle pietre preziose, in quanto si tratta di manufatti ciascuno diverso dall’altro, fatti manualmente, come si usava in quel periodo, impreziositi da tessuti ricavati e dall’utilizzo della foglia d’oro, che ha consentito a queste legature di superare i secoli e di poterli ammirare ancora oggi nel loro completo splendore. Chi si occupava di questi manufatti? Venivano eseguiti in primo luogo dai legatori, il cui compito era quello di collegare il blocco di testo, ovvero il contenuto, con il contenente, ovvero la legatura, per proteggere il testo stesso. È un mestiere diverso da quello del doratore, che rendeva i piatti dei volumi dorati grazie alla foglia d’oro, dando un notevole accrescimento visivo per i fruitori di questi volumi, spesso, peraltro, su manoscritti rari e preziosi. È un mestiere che si è perso? È un mestiere che si è perso se non per il lato restauro ma questo è – evidentemente – un altro lavoro, anche perché – far realizzare oggi una legatura ex novo – è sicuramente un impegno economico non indifferente. Si è sentito, curando questa mostra, come un cercatore di pepite d’oro? È ciò che mi muove. In oltre trent’anni di attività ho potuto – nelle diverse biblioteche che mi sono capitate, trovare decine se non centinaia di volumi importantissimi, che oggi vengono proposti in questa mostra. In questa esposizione, che cosa particolarmente ci colpisce? Ci colpisce l’abilità dei legatori, si di testa sia di mano. C’è qualche chicca? La scelta è difficile. Mi viene in mente un esemplare recentemente restaurato in tessuto ricamato, del quale esistono non più di cinque o sei esemplari al mondo. Il tessuto era in origine il materiale di copertura in uso nel Medioevo da parte dei reali e questo perché la concia del pellame non era ancora ritenuta adeguata alle biblioteche dei regnanti. Per questa ragione - fino a tutto il XVI secolo - le biblioteche dei regnanti erano in tessuto, in velluto di vario colore, con l’emblema del regnante stesso. Qual è l’opera più recente, tra quelle esposte e quale la più antica? In esposizione ci sono esemplari abbastanza allineati tra di loro. In linea generale, tra le più antiche ci sono legature dell’ultimo quarto del XV secolo e quelle più recenti sono della fine del XVI/XVII secolo. Copriamo lo spettro che va dalla fine del ‘400 all’inizio/fine del ‘600. In maniera tala da dare una continuità produttiva ai volumi esposti, anche perché il cambiamento di gusto si avvera da un anno all’altro, da un secolo all’altro ma è qualcosa per il quale occorrono diversi anni affinché si possa stabilizzare. Possiamo dire che fosse un lavoro costoso, in termini di remunerazione dell’artigiano che lo svolgeva? Non esattamente, perché l’artigiano era mera manovalanza. Il legatore più ricco, forse, inaspettatamente, era colui che non soltanto era manovalanza ma era anche editore e libraio, potendo sommare tre valori aggiunti di questo connubio di abilità e di imprenditorialità. Ricordo che, in questo periodo, in particolare già alla fine del ‘400 ma soprattutto nel ‘500, il libro diventa industria. La riduzione di formato non è casuale ma è dettata dall’enorme produzione libraria dei testi a fronte della quale si doveva sviluppare, inevitabilmente, anche quella della lettura. Motivo per il quale, oggi, vedete ciò che vedete per l’invenzione dei caratteri a stampa e - quindi - la produzione libraria che si è amplificata già nel ‘400 in modo straordinario. Quindi, non erano più soltanto i reali o la popolazione più abbiente a far legare i libri? I re lo potevano fare, perché naturalmente dava lustro. Il guerriero, il condottiero, il vincitore – chiamiamolo così – non poteva non possedere una biblioteca con volumi importanti. Questo è un aspetto ancora tardo medievale; già nel ‘500 il libro diventa industria, per cui si risparmia addirittura sulle cuciture. Bisogna fare più volumi, a parità di tempo; quindi, si inventano anche dei trucchi per rendere le legature meno solide ma consentire una realizzazione molto più veloce, più ampia di numero a parità di tempo. In mostra ci soni volumi di varie altezze. Tutti potevano fare tutto o era necessario essere più abili per realizzare volumi con un più alto numero di pagine? In Italia non esistevano le corporazioni, a differenza di altri Paesi, come – tanto per fare degli esempi – in Francia e in Germania. Lo poteva di fatto fare chiunque, anche perché ricordo che i legatori non legavano soltanto libri ma si occupavano anche di produrre delle insegne di osti. Facevano qualunque lavoro pur di sbarcare il lunario; quando, passando dalla lavorazione del cuoio iniziale, come suppellettili, finimenti per cavalli e così via, si è visto che il libro poteva generare un business molto importante, parecchi tedeschi già nel ‘400 sono arrivati in Italia, al seguito dei tipografi, perché si sono resi conto che c’era bisogno della loro manovalanza per realizzare e dare soddisfazione all’enorme richiesta crescente di quel periodo. Nel Veneto permane già nel ‘400 il gusto tedesco affine a quello dei legatori tedeschi che provenivano da Oltralpe. Lei ha parlato di libri a stampa ma io le chiedo: ci sono, in questa esposizione, anche libri prodotti da amanuensi? Ebbene sì. Ci sono delle legature su manoscritto come è normale che sia. L’evoluzione del libro è stata inizialmente abbastanza lenta, per poi essere tumultuosa dalla seconda metà del ‘400, per l’effetto dei caratteri a stampa, che hanno generato una rivoluzione epocale nella fruizione del libro. Lo si vede anche dal ridotto formato di certi volumi che potevano essere anche portati appresso. Si parla di formati tascabili, a differenza dei formati medievali, in-folio cosiddetti, che erano di difficile maneggiamento e – comunque - non comparabili con quelli del ‘500. Perché il pubblico dovrebbe scegliere questa mostra? Il pubblico dovrebbe venire a vedere questa mostra per capire l’intelligenza e l’abilità di chi è riuscito a realizzare dei manufatti di questo genere. Basterebbe provare a tracciare con gli attrezzi una cornice dritta, per capire, oltre a tutto il resto, quanto difficoltoso fosse ottenere dei manufatti che, ancora dopo secoli, sono disponibili per essere ammirati e fruiti, circostanza che l’odierna mostra consentirà a chi vorrà venire a trovarci. Genesi della mostra Stefano L’Occaso, è il direttore del Complesso monumentale della Pilotta. Direttore, da dove è nata l’idea della mostra? La mostra nasce da una ricerca del curatore Federico Macchi, che insieme a Liliana Palazzo ed Elisa Montali, hanno esplorato questo straordinario giacimento di libri che abbiamo qui, nella Biblioteca Palatina di Parma. Un tesoro inestimabile dal quale sono stati estratti una serie di capolavori che ci raccontano la storia del libro. Per un amante del libro questa è una mostra assolutamente entusiasmante e imperdibile, perché ci racconta l’evoluzione delle legature – quindi, affrontiamo il libro nei suoi aspetti materici – agli albori dell’origine della tipografia e del libro, perché siamo nel ‘400 e nel ‘500, quindi, degli incunaboli e delle cinquecentine. Questa mostra ci racconta, non soltanto l’eccezionalità di alcune legature assolutamente uniche – come quelle personalizzate per il cardinal Bembo o quelle realizzate con particolari tessiture, con cuoio impresso, a cofano, con i versi dell’Ariosto scritti sul bordo ma ci racconta anche i rapporti della legatura con l’oriente, con la Francia, con la Germania e presenta una campionatura di legature da tutta Italia. La Biblioteca Palatina ha la fortuna di possedere legature e testi romani, fiorentini, veneziani, parmensi, una ricchezza straordinaria di materiali, insomma. Non per niente stiamo pensando a un suo sequel o – comunque - a un’altra esposizione che possa valorizzare un altro segmento della straordinaria collezione della Palatina, con un altro blocco di libri e di legature che meritano sicuramente di essere apprezzati e ammirati. La parola sequel fa venire in mente il Cinema; effettivamente, entrando qui dentro, si è portati a far volare la fantasia pensando a tanti film ambientati nelle biblioteche e tra i libri. È una sensazione giusta? È vero. Entrando qui dentro vengono in mente film come, per fare un esempio, “Il nome della rosa”. Passiamo, essenzialmente, dal manoscritto al libro a stampa e con le legature che vengono realizzate in maniera artigianale, spesso con una qualità esecutiva straordinaria da dei veri e propri artisti. Tant’è che le legature stesse hanno delle lavorazioni a punzoni sul cuoio, con dei decori che variano e seguono l’evoluzione dello stile e del gusto tra ‘400 e ‘500, quindi, sono lo specchio dell’evoluzione del gusto. Si vedono, per esempio, dei decori a nodi che vengono dal mondo orientale, che poi arrivano e vengono diffusi in Occidente, per esempio dai disegni di Leonardo, dalle incisioni di Albrecht Dürer, dal trattato di Francoise Pellerin. Troviamo diversi elementi che ci riportano a tanti altri ambiti di ricerca e che connettono l’oggetto libro con l’Arte più in generale. Certamente, anche con il Cinema, perché tutti questi oggetti ci ricordano le grandi biblioteche monastiche, ci ricordano la Cultura di questi secoli importantissimi del Rinascimento Italiano. C’è, tra quelli in mostra, un pezzo che lei particolarmente apprezza? È difficile selezionare un singolo pezzo perché tra le graffe con scritte pseudo-cufiche di un incunabolo, la legatura dedicata al cardinal Pietro Bembo di una cinquecentina, la legatura un po’ a cofano dell’Ariosto che ho citato prima; quelle romane, meravigliose, cinquecentesche con le decorazioni a grottesche, con i mascheroni, che ci mostrano anche l’internazionalità di una città che riesce a variare, a offrire tante soluzioni diverse, grazie a una quantità di artigiani che venivano anche dall’estero, o comunque si tramandavano informazioni e gusto e soluzioni, in una circolazione che vediamo essere di carattere europeo. Questo, rende anche molto difficile individuare la mano del singolo legatore, proprio perché c’è questa diffusione, questa circolazione di immagini, di soluzioni, che accompagnano l’evoluzione della legatura del libro in questi due secoli. Gli elementi in mostra appartengono tutti alla Biblioteca Palatina? È tutto proprietà della Pilotta, in particolare, della Biblioteca Palatina e quindi è una straordinaria occasione di valorizzazione del patrimonio, dovuta allo studio dei curatori che ha portato a questo splendido risultato. Mi sembra il modo migliore per far conoscere il nostro patrimonio con un approccio molto specifico che va in continuità con la mostra che abbiamo appena chiuso e che si chiamava “Non solo carta bianca” e che affrontava il libro nel suo supporto, quindi, la carta. La carta che diventa pergamena, che diventa seta, che diventa carta colorata. Oggi, invece, il libro è affrontato con la sua legatura che spesso è una vera e propria opera d’Arte.

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