Pintori, il genio della grafica: storia dell'Art Director della Olivetti

Merita il viaggio a Chiasso, località al confine tra Italia e Svizzera, la mostra “GIOVANNI PINTORI , pubblicità come arte”, dedicata a un genio della comunicazione del ‘900. Un uomo, Pintori, che il grande pubblico – forse - non conosce abbastanza e che la retrospettiva in corso al M.A.X., contribuisce ad approfondire. Giovanni Pintori è un designer, che arriva a Milano dalla Sardegna, un uomo determinato che contribuisce in maniera sostanziale a creare lo stile grafico di Olivetti, i prodotti di questa grande azienda, fiore all’occhiello dell’industria italiana del Secondo Dopoguerra. Paolo Pintori è un architetto ma, soprattutto, è il figlio di Giovanni. È a lui per primo che chiediamo di raccontarci chi era suo padre. Chi era Giovanni Pintori e qual è la sua grande eredità? Era un uomo molto chiuso. Probabilmente, la sua provenienza sarda restava per lui un segno che non ha superato mai e anche la timidezza, probabilmente. Chiuso, era – però – capace di grandi gesti, anche di affetto: aveva una grande sensibilità ma una grande timidezza. Ha una storia che mi ha sempre molto meravigliato. Io sono stato, negli anni ’60 a Nuoro, ho scoperto la Sardegna allora. Mi sono immaginato cosa fosse la Sardegna nel 1912, quando lui è partito e che avventura abbia vissuto, al momento in cui - a 18 anni – si è trovato in continente e in pochi anni è riuscito a diventare l’Art Director della Olivetti e ad avere tra i suoi più grandi amici personaggi come Vittorini, Sereni, De Carlo. Ha fatto un percorso che ancora oggi, come figlio ma soprattutto come collaboratore grafico, non riesco a capacitarmi di come abbia fatto, non riesco a capirlo. Era un uomo riservato, molto serio e impegnato nel suo lavoro. Da dove nascevano i suoi lavori? Secondo lui era una forma di pittura, di espressione pittorica e probabilmente non riesco a immaginare quale fosse l’origine di questi suoi lavori perché, probabilmente grazie alle letture, agli studi fatti, la fantasia improvvisamente compariva in tutti i suoi lavori, in modo completamente diverso, a volte. Che rapporto conservava con la Sardegna? Con la Sardegna ha un rapporto difficile. Da giovani, lui, Fancello, Nivola avevano fatto le loro prime esperienze in Sardegna; avevano creduto di fare delle mostre, fare vedere i loro lavori. Erano state esperienze assolutamente negative, lo avevano particolarmente colpito e quindi la Sardegna era rimasta la casa della nonna – di mia nonna - ma non amava particolarmente tornare in Sardegna. Milano era la sua città ormai, il luogo delle amicizie e del lavoro, soprattutto Milano. Il progetto vede la collaborazione tra M.A.X. Museo di Chiasso e MAN Museo d’Arte provincia di Nuoro, conta trecento pezzi, tra schizzi, bozzetti, manifesti, locandine, fotografie, dipinti, stamponi, collage e vuole approfondire la modernità e le scelte innovative di Pintori. Chi era Giovanni Pintori e quale è stata la sua formazione? “Giovanni Pintori è uno sconosciuto ma famosissimo, ci dice Chiara Gatti, direttrice del Man di Nuoro e curatrice della mostra di Chiasso, perché – forse - il suo nome si conosce meno ma in realtà la sua opera – quando si vedono gli storici manifesti della Lettera 22, della Olivetti o delle grandi macchine iconiche della Olivetti, quelle si conoscono e si conosce, soprattutto, questo segno colorato che disegna le dita che giocano sui tasti o la matematica che diventa forma. È uno di quei nomi che meritava di essere riscoperto e abbiamo pensato, noi come MAN di Nuoro, di riscoprirlo con una mostra internazionale, con questo gemellaggio con il Museo M.A.X. di Chiasso; l’idea era proprio quello di far uscire il suo nome dalla Sardegna, come di fatto lui fece da ragazzino. Non era neanche diciottenne quando partì per la prima volta dalla Sardegna, per cui l’idea era quella di restituire un nome importantissimo all’isola. Si parla sempre di Maria Lai, straordinaria artista del ‘900, però, Pintori ha scritto veramente pagine fondamentali dell’Arte e della ricerca del ‘900 ed era il momento giusto per siglare questo gemellaggio e riscoprire in una mostra completa la sua figura. Pintori amava moltissimo anche la Pittura e i grandi maestri della Pittura. Per cui, amava Kandinskij, amava Picasso, amava Braque, tanto è vero che quando lui è alla Olivetti chiede a Braque, per i famosi calendari annuali, e anche a Giorgio Morandi che era un suo amico, di realizzare alcuni di questi calendari. Pintori è molto legato al mondo dell’Arte e, soprattutto, al mondo dell’Arte internazionale, all’Astrattismo internazionale, al Concretismo europeo e guarda, soprattutto, anche al Bauhaus, cosa che fa già da ragazzo. Per cui, tutta quella scuola di astrazione che è la scuola che dagli anni ’30, quando ci sono state le prime scuole di astrazione a Milano, si diffonde, lui guarda a questi artisti e li rielabora, sia nella sua pittura – perché lui effettivamente ha coltivato la Pittura, il Disegno già da ragazzo - ma poi anche traducendole in Grafica. Lui, in realtà, non ha mai pensato a una vera e propria separazione tra Grafica e Pittura e non ha mai pensato, soprattutto, che la Grafica fosse un’Arte di secondo livello: era una delle Arti primarie ma era, soprattutto, gemella della Pittura. Per questa ragione, nel corso della sua ricerca vanno sempre di pari passo; lui dipinge, oppure disegna, studia e progetta per la Grafica. A Milano sono approdati grafici straordinari, che hanno frequentato i grandi studi di Grafica; basti pensare a Max Huber che ha lavorato a Milano, a Schawinsky che è arrivato dal Bauhaus per lavorare a Milano. Hanno lavorato per la Cinzano, la Motta, le grandi industrie dell’epoca, disegnando i manifesti sulla scorta di quella che era stata la lunga tradizione della grafica da Dudovich in avanti, cioè, dagli inizi del ‘900 in avanti, la raccolgono nel secondo Dopoguerra, facendola diventare insieme al Design una delle Arti principali e Milano è proprio il fulcro di questo rinnovamento, perché è la città del Design”. Quali erano le sue qualità più evidenti? Pintori era geniale, aveva l’intuito e riusciva a condensare in un’unica immagine, il concetto e le capacità tecniche e creative di una macchina, per cui in una sola immagine, così come la grafica fa, lui condensava tutto questo. Poi era un solitario, silenzioso, e questo era dovuto anche alle sue origini, della sua terra natìa, per cui era molto riservato e questo gli permetteva anche di chiudersi nella sua ricerca, nella sua concentrazione. Era autentico, per cui anche le sue amicizie con i grandi poeti – torniamo a Milano – Vittorio Sereni, Vittorini, il circolo culturale dei poeti milanesi, che poi si ritrovavano anche a Bocca di Magra, dove tutti i grandi intellettuali antifascisti del Secondo Dopoguerra si sono ritrovati, ha creato in lui questa Cultura a 360 gradi. Cosa troviamo di particolare in mostra? L’archivio della famiglia Pintori ha donato una parte di collezione al Man e questa mostra è la prima che svela, effettivamente, i suoi taccuini. Tutto questo sottobosco, questo cantiere di ricerca, mostra come lui fosse anche un grandissimo amante del Disegno. Lui disegna taccuini in cui sembra di vedere la mano di Boccioni, perché cerca il movimento, il dinamismo, è un artista della neoavanguardia che ha necessità di cercare, di continuare a confrontarsi col tema del Disegno, prima di approdare alla Grafica. Nicoletta Ossanna Cavadini, curatrice anche lei della mostra, quali sono le qualità di Giovanni Pintori? Giovanni Pintori è un genio della grafica, è conosciuto dagli addetti ai lavori, meno dal grande pubblico e meritava un affondo anche scientifico di riscoperta. Il valore della sua comunicazione è atemporale, potrebbero essere manifesti anche stampati oggi, proprio per la sua grande capacità iconica di trasmissione, semplicità di sintesi e profondità di concetto nella capacità di comunicare un oggetto difficilissimo, che è una macchina da scrivere o una calcolatrice. C’è Poesia, Letteratura, capacità di visione nella sua poetica grafica, voluta e pensata in una maniera raziocinante. Possiamo dire che è stato un uomo fortunato, Giovanni Pintori, di aver trovato una committenza, quella di Adriano Olivetti, che gli lasciava grande libertà. Adriano Olivetti era un uomo intelligente, che sapeva cogliere e scegliere i suoi collaboratori tra i migliori. Giovanni Pintori diventerà direttore dell’ufficio pubblicità; porterà e realizzerà il nome della Olivetti nel mondo, perché saprà creare lo stile d’impresa. Negli anni ’50, a partire dagli anni ’50, chiunque vedeva una pubblicità della Olivetti la sapeva riconoscere a vista, perché Pintori aveva creato un linguaggio semplice, però, riconoscibile che aveva dei fondamenti nella comunicazione visiva. Se dovesse utilizzare tre oggettivi per raccontare Pintori a chi non lo conosce, quali userebbe? Innanzitutto, ha una grande sensibilità del colore, che ci accattiva attraverso il segno e con il segno, che non è piatto ma è ritmico e che vuole dare il concetto del movimento del typing, quindi, della macchina da scrivere o della macchina calcolatrice. Il passaggio è, però, ritmo artistico e quasi poesia, con una sospensione che non lascia il visitatore inerme ma che porta questa immagine nel suo profondo, in una riconoscibilità della comunicazione.

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