Perché Tokyo Higoro è il miglior manga del 2024

Ci sono pochi autori come Taiyō Matsumoto. Autori capaci di parlare di tutto, di creare personaggi insospettabili e di trasformarli in veri e propri simboli per i loro lettori. In “Ping Pong”, ha usato lo sport come scusa, come tramite per raccontare l’amicizia tra due ragazzi. Con “Sunny”, invece, ha preso il concetto di famiglia e l’ha rielaborato, mettendo in scena la storia di un gruppo di orfani. Ora, con “Tokyo Higoro – Giorno per giorno”, pubblicato da J-Pop, sembra essersi quasi ripiegato su sé stesso, come un origami, per poter parlare di alcuni dei temi che più gli sono cari: l’arte, la creatività e, ovviamente, il fumetto. Il protagonista di “Tokyo Higoro” è un editor che decide di dimettersi dopo che la rivista che gli era stato chiesto di curare non va come previsto. E per un momento è seriamente intenzionato a lasciare tutto: vende i suoi manga, riduce i suoi contatti con i colleghi; va solo da qualche autore, per sapere come sta. Poi, all’improvviso, ci ripensa. Crede davvero che sia possibile creare una rivista di fumetto degna di questo nome. E ci crede perché vede nell’arte una risorsa importante per tutti, non solo per chi, con l’arte, ci lavora. Inizia così una galoppata senza fine, che prende in considerazione punti di vista differenti, e che non si conclude se non proprio durante le ultime battute. Lo stile di Matsumoto, con queste figure a tratti sottili e a tratti spesse, che si alternano e si completano quasi a vicenda, si presta perfettamente alla sua scrittura. Nella distorsione delle immagini, si rispecchia la velocità del racconto o, al contrario, la sua lentezza. Quando i dettagli aumentano e le inquadrature delle vignette si fanno più attente alla fissità dei personaggi, il passo del racconto rallenta, si fa quasi centellinato, e al lettore viene data la possibilità di riflettere, di prendersi del tempo e di capire, effettivamente, che cosa sta guardando. “Tokyo Higoro” è un manga meraviglioso. Diviso in tre volumi, segue un andamento quasi crescente, che approfitta – talvolta in modo letterale – delle immagini e delle illustrazioni, per aggiungere al peso emotivo dei personaggi il peso del segno grafico. Eppure non c’è nessuna intenzione di sfruttare la sensibilità del lettore o di schiacciarla rabbiosamente sotto il carico di obiettivi e di conclusioni più o meno moraleggianti. La storia del protagonista coincide con la sua missione, è vero. Ma non c’è nessun invito a imitarlo. Il suo è un caso limite, estremo, eccezionale. E l’eccezionalità si presta benissimo per raccontare l’unicità delle esperienze personali. Fare fumetti, dice “Tokyo Higoro”, è una cosa tremendamente difficile che non andrebbe minimamente confusa con quelli che sono i termini e gli scopi delle case editrici. Fare fumetti significa fare arte, condividere con gli altri qualcosa di profondo e di privatissimo; significa offrirsi quasi completamente a un gruppo di sconosciuti, avendo a propria disposizione solo parole e disegni. E non sempre va bene, anzi. Spesso va male. Ma anche nel fallimento, sembra suggerire Matsumoto, c’è spazio per la conquista. Ovviamente non si tratta di successo commerciale o dell’applauso della critica, ma è comunque un modo per riscoprire sé stessi. Il fumetto, come linguaggio, mette questi due approcci a confronto: da una parte c’è quello di chi vuole fare bene, trovando un contatto – magari sincero, magari continuo – con il pubblico; dall’altra c’è quello di chi, al contrario, vuole solo fare la sua arte, raccontare la sua storia e vederle stampate su carta, nero su bianco. C’è, insomma, una lotta costante e intestina tra un egoismo creativo quasi fine a sé stesso e uno slancio artistico volto a raccogliere e a coinvolgere il pubblico. “Tokyo Higoro” è, sotto certi versi, quasi un manifesto. E c’è il rischio serissimo che questo suo valore finisca travolto dall’approssimazione critica e da una comunicazione che vuole Matsumoto come un maestro assoluto e incontrastato . “Tokyo Higoro” è uno dei fumetti migliori di quest’anno; forse, addirittura il migliore in assoluto. Perché è una sintesi efficace della visione di Matsumoto, del suo impegno e anche, visto che contiene delle riflessioni interessanti sull’editoria e sui fumetti , del suo ruolo. Negli ultimi anni, con la ricerca forsennata del nuovo fenomeno e del nuovo bestseller, ci si è quasi dimenticati di quello che, alla fine, dovrebbero essere i fumetti. E cioè un momento di condivisione e di crescita per il lettore e, ovviamente, per chi li realizza. Ecco, se c’è una cosa che fa “Tokyo Higoro” con assoluta e insindacabile precisione è questa: ci riavvicina all’essenza delle storie.

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