Martin Simmonds: "Nei miei disegni amo mischiare realismo e astrattismo"

Dipingere per raccontare storie. Giocare con le tecniche miste, il collage, gli effetti speciali per dar forma a visioni sulla carta. Martin Simmonds, disegnatore britannico, è l’erede naturale di fumettisti come Bill Sienkiewicz e Dave McKean, e non ne fa mistero citandoli più volte come suoi modelli nel corso dell’intervista che ha rilasciato a Sky tg24 Insider in occasione della Milan Games Week, dove era ospite per Saldapress, editore italiano del Dracula che ha realizzato insieme a James Tynion IV, suo compagno di lavoro anche sulla serie The Department of Truth. Col suo stile pittorico dai tratti espressionisti, Simmonds si è imposto come uno degli artisti più interessanti emersi negli ultimi anni. Come e quando hai iniziato a disegnare? Disegno da che ho memoria. Ho scoperto i fumetti quando avevo 8, 9 o 10 anni, con la rivista 2000 AD. Vedere quei disegni incredibili mi ha fatto venire voglia di fare i fumetti. Ogni stile era diverso ma non era come nei fumetti americani. Erano fumetti rivoluzionari, satirici. Poi ho scoperto i fumetti americani andando nella fumetteria locale, ho scoperto artisti come Bill Sienkiewicz e Dave McKean, e questo mi ha fatto venir voglia di dipingere fumetti, piuttosto che disegnarli. E non ho mai smesso di volerli fare. Ho avuto dei periodi di passioni passeggere, un momento in cui volevo fare il musicista, ma è durato poco e sono sempre tornato ai fumetti ogni volta. Sono state queste le tue prime influenze? Beh, prima di 2000 AD penso ci siano stati i fumetti per bambini, come The Beano e The Dandy, i personaggi di Desperate Dan e Dennis The Menace. Poi sono venuti alcuni degli artisti che ho scoperto su 2000 AD e quindi Sienkiewicz e McKean, che mi hanno portato a Kent Williams. Ma anche George Pratt e John J Muth coi suoi acquerelli. Ma sì, più di tutti Sienkiewicz e McKean, con il loro surrealismo e il loro astrattismo, la loro espressività e la loro diversità rispetto allo stile più comune nel fumetto americano. All’epoca poi lavoravano su titoli epici, il loro stile mi ha colpito ed è rimasto dentro di me. Come hai conosciuto James Tynion? Devo dire che sembrate una perfetta coppia artistica, sono un grande fan di The Department of Truth e ho adorato il tuo lavoro su Dracula. Come vi siete incontrati? Credo sia stato sei o sette anni fa. James cercava un artista per The Department of Truth ed era ancora sotto esclusiva con la DC Comics. Un amico comune, Matthew Rosenberg, gli ha parlato bene di me. All’epoca stavo lavorando su una serie dal titolo Punk’s Not Dead per la IDW, con un approccio completamente differente: intanto era digitale e molto più cartoonistico, anche se non del tutto, se vogliamo un po’ alla Phil Noto ma in digitale. James aveva dubbi su quello stile per The Department of Truth, ma poi ha visto gli sketch che avevo fatto per l’Inktober, con uno stile decisamente meno pulito e ha detto che era esattamente quello che cercava. Abbiamo iniziato a parlarne nel 2018 ma abbiamo dovuto ritardare il tutto per via della sua esclusiva con DC, e abbiamo iniziato nel 2020, un paio di mesi prima che nel Regno Unito arrivasse il lockdown per la pandemia. Quali tecniche hai utilizzato per realizzare Dracula? Perlopiù è pittorico. Di solito uso i colori acrilici, poi ci sono elementi di collage. Non potevamo riprendere le sembianze di Bela Lugosi perché sono sotto il controllo dei suoi eredi, così Dracula è un personaggio senza reference. Ed è un bene, perché alla fine appare diverso dagli altri personaggi, che era ciò che volevamo per dargli questo aspetto sovrannaturale e misterioso di cui aveva bisogno. Abbiamo usato il colore per mostrare il suo potere, una cosa di cui James mi aveva parlato fin dalla prima fase di lavoro sulla sceneggiatura. Il film è in bianco e nero e lui voleva che il colore venisse usato per mostrare il potere di Dracula, e così abbiamo fatto, non solo col rosso, ogni volta che lui compare. Per esempio? Beh, c’è una scena in cui Lucy guarda fuori dalla finestra e inizia a essere pervasa da poteri sovrannaturali. Si possono vedere dei colori che iniziano ad entrare da sotto, e quando giri pagina si viene travolti da un’esplosione di colori. Voltare la pagina in un libro horror è qualcosa di essenziale, è il jump scare dei fumetti. Hai parlato dell’utilizzo del collage. Anche il pizzo del vestito di Mina sembra incollato alla pagina. È così? Sì, è così, è collage. Il motivo per cui ho scelto di usare un oggetto concreto è che lo avevo ordinato per fare la cover originale del primo numero. Quando ho ordinato il pizzo me ne hanno spedito un sacco, così ho trovato il modo di usarlo in altri punti. Ed è stato fantastico, adoro il contrasto tra elementi concreti ed elementi astratti. Questo utilizzo del collage ha a che fare con le influenze di cui parlavamo prima da Dave McKean? Assolutamente. Anche in The Department of Truth, ho realizzato l’Uomo con la Faccia di Stella creando un modello della sua testa, fotografandolo e facendo poi un collage. E questo crea un contrasto interessante tra lui e gli altri personaggi. Sembra un pupazzo ma puoi giocarci tanto ed è divertente. Come ho detto, un tempo lavoravo tanto col digitale e tendevo a seguire un percorso fisso, a fare sempre lo stesso processo. Ma quando lavori in analogico, usi i collage e mescoli diversi approcci mediali, trovi sempre strade nuove ed entusiasmanti. Trovo davvero molto interessante questo mix di elementi realistici col tuo stile pittorico che è tendenzialmente espressionistico. Mi dà l’idea di creare una distonia estremamente funzionale. Grazie, è esattamente quello che trovo interessante. Puoi usare il realismo nelle espressioni e sui volti, per i personaggi, ma poi aggiungi questi elementi strani e combinandoli insieme crei qualcosa di ultraterreno ma con cui puoi comunque connetterti. I colori sono acrilici? Sì, uso prevalentemente quelli, i colori a olio renderebbero tutto più lento, ci mettono troppo tempo ad asciugare. Puoi usare il guazzo ma l’acrilico è ottimo e si adatta bene per i mix di media. Voglio dire: quando non sono contento di qualcosa e ci dipingo sopra, l’accumularsi degli strati di colore crea nuove texture, una sorta di incidente felice, di serendipità, qualcosa che accade sulla pagina senza che tu necessariamente ne abbia il controllo. E con l’acrilico puoi costruire tantissime texture in questo modo. Poi uso un po’ di matita colorata, e un po’ di aerografo con acrlico liquido. Mi piace anche usare lo spazzolino da denti per le tavole più splatter e rendere le cose più confuse. A volte dipingo sopra il collage, come ho fatto per le mosche intorno a Renfield: ho comprato delle mosche morte, essiccate, le ho fotografate, stampate su carta acetata, tipo la pellicola, e poi le ho incollate sulla pagina. E anche cose come la colla che usi e il modo in cui reagiste con la pittura crea nuove texture. Non hai mai usato l’acquerello? Mai. La cosa che ho usato che ci si avvicini di più è il color wash, sostanzialmente acrilico diluito. Penso che l’acquerello sia una tecnica completamente diversa, si tratta più di togliere che di aggiungere, ed è difficile, una vera sfida. Prima o poi ci proverò. Credo che Renfield sia il vero protagonista del vostro Dracula. Mi piace molto il modo in cui lo hai reso, quell’aspetto “non finito”. Gli dà un’aria espressionista e inquietante. Sì. È influenzato da cose come L’uomo che ride, ovviamente dal Joker, da Il gabinetto del Dottor Caligari. Ma anche dalla scena musicale goth degli anni ’80, da Robert Smith dei Cure, dal cantante di una band inglese chiamata Alien Sex Feed, con quella faccia slavata, gli occhi e la bocca neri. Penso sia stato qualcosa di inconscio, per me, non ci ho realmente pensato. E il personaggio è diventato sempre più importante dopo che lo abbiamo creato e sviluppato, dopo che ho iniziato a disegnarlo, James era sempre più spinto a dargli maggior rilievo fino a renderlo uno dei personaggi principali. E per me è fantastico, perché questa storia è costruita sui contrasti: tra bianco e nero, ma anche tra il metodo scientifico rappresentato dal Doctor Seward e gli aspetti più esoterici e sovrannaturali. E il look di Renfield, con i lineamenti indefiniti che lo rendono una sorta di oggetto sovraesposto, è un modo per mostrare che la sua anima non è più completa, che è umano solo in parte, e solo alla fine, quando inizia a riottenere la sua umanità, vedi che i suoi lineamenti tornano. Voglio parlare di The Department of Truth, per me la miglior serie degli ultimi anni. Come è stato lavorarci? Una sfida? Lo è ancora, ma è anche divertente, perché ha a che fare con tanto della politica e della storia americana. Qualcosa con cui James ha più feeling di me, ovviamente. Io ho imparato tanto mentre ci lavoravo, come artista non hai tanto tempo per svolgere le tue ricerche. È una serie che James ha cercato per tutta la sua vita. È politico, ma è bello anche per il modo in cui abbiamo reso i criptidi e le creature che lo popolano. A volte è un bene non avere punti di riferimento e seguire solo il proprio istinto, perché verrà fuori qualcosa di diverso da quanto si è già visto. Fino alla terza uscita, James continuava a mandarmi sceneggiature piene di dialoghi. Poi in quell’uscita, che parla della sparatoria alla Sandy Hook, ci sono tante doppie. È stata dura farla per via del soggetto così complesso, ma allo stesso tempo, da un punto di vista artistico, è stata una grande opportunità per sperimentare con le composizioni. Che rapporto hai con questa serie? È un successo commerciale ma anche un fumetto sperimentale. Sono orgoglioso che siamo riusciti a centrare questi due obiettivi. Siamo entrambi incredibilmente orgogliosi della serie. Ed è per questo che continuiamo a farla. Abbiamo ancora un cammino lungo davanti, interessante. Cosa ti spaventa di più: i vampiri o le bugie e le fake news? Questa è difficile . Lavorare su Dracula è stato fantastico perché è una IP importante. Sapevamo di avere dei parametri da rispettare ma in parte mi sembrava di lavorare sempre allo stesso progetto, perché eravamo comunque io e James. Mi sono sentito comunque a mio agio ma è stato un bene sapere che fossero solo quattro numeri: un inizio chiaro, una parte centrale chiara, un finale chiaro. Al contrario, The Department of Truth è molto più ampio, è un progetto così grande e ambizioso. E tornerò sempre a The Department of Truth, è un po’ il nostro piccolo, la cosa che creato insieme. Insomma, Dracula è stato bello, ma tornare a The Department of Truth è un po’ come infilarsi un paio di pantofole veramente comode. Comode ma strane. Sinistre. Avrà sempre un posto speciale nel mio cuore.