Non solo stanchezza: cos'è e come combattere la "museum fatigue"

Si chiama museum fatigue. Non è una malattia, non è un virus, bensì, la fatica che si prova quando ci si trova ad affrontare la visita a un museo; un giro tra dipinti, sculture, disegni, arredi che – alcune volte - può risultare troppo lungo, col rischio di stancarci, farci perdere attenzione e diventare tutt’altro che piacevole. Il museo moderno, che nasce negli anni della Rivoluzione francese, quando i rivoluzionari affermavano che tutti gli uomini, senza distinzione di classe, avevano il diritto di ammirare i capolavori d'arte prodotti nel corso dei secoli, attraverso gli anni ha cambiato faccia; è diventato più fruibile, la museologia ha reso questi luoghi sempre più piacevoli da scoprire, con percorsi adatti a tutti, aree didattiche per i bambini, bookshop e spazi ristoro. Nonostante ciò, affrontare la visita di un museo può essere difficile; per farci spiegare come si può affrontare, abbiamo parlato il dottor Federico Zanon, psicologo e vicepresidente Enpap, l’Ente nazionale di Previdenza e Assistenza per Psicologi. Perché ci si stanca, quando si va in visita a un museo? La museum fatigue non è certamente un fenomeno recente, anzi, viene documentata sin dai primi anni del ‘900. A quel tempo, le persone cominciavano in maniera più assidua a frequentare i musei e questo rendeva, dunque, più evidente la fatica da museo. La mente umana ha bisogno di continui cambiamenti e di stimoli e quando noi entriamo in un museo e vediamo opere tutte uguali, perché – per esempio - appartengono tutte quante a un certo periodo e sono tutte all’interno di un ambiente omogeneo, l’affaticamento e la totale omogeneità dell’ambiente, fanno in modo che non riusciamo a renderle fruibili. Alcuni musei, invece, sono organizzati molto bene. Il Museo Egizio di Torino, per esempio, che ha i percorsi dedicati. Lì, la fatica da museo viene eliminata con una cosa che noi chiamiamo approccio narrativo: metti l’essere umano dentro un percorso narrativo e in quella maniera lì la fatica c’è di meno, perché ogni pezzo del museo appartiene a un pezzetto della storia. Tanto per fare un esempio, è apprezzabile il lavoro che ha fatto il Leopold Museum, a Vienna. Il museo ha adottato una logica diversa, per così dire. Questa istituzione conserva numerose opere di Egon Schiele, pittore e incisore austriaco. Questo artista è stato estremamente prolifico ma loro non espongono tutte le opere, anzi, ne riducono la quantità. Scelgono le più rappresentative, a livello sia cromatico sia di dimensioni, per cui tu entri dentro e ciò che ti trovi a esplorare è veramente molto interessante dal punto di vista espositivo. Questo, perché per ogni sala tu hai quattro o cinque opere di grandi dimensioni, molto colorate, che spiccano, con poche spiegazioni, il che riduce molto l’affaticamento. Cos’è che fa perdere interesse nella visita a un museo? Tipicamente, se uno parte con un certo disinteresse, sicuramente si stancherà di più. Però, quello che fa perdere attenzione alla mente umana è la monotonia degli stimoli e anche una certa fatica fisica. Il Prado è un altro museo abbastanza faticoso, nel senso che ha spazi lunghissimi e ci sono tante esposizioni con opere molto omogenee tra di loro. Per cui, è un museo che non ti riserva tanti colpi di scena. Nonostante tu ti trovi davanti a opere straordinarie, se le disponi in modo narrativo non all’interno di un percorso, se le metti in una sequenza omogenea, a livello di rappresentazione di un periodo storico, tutte insieme, ecco che questa, che è una visione da storico dell’Arte – non funziona per il grande pubblico. Non è una fruizione che sposa – come dire – gli aspetti cognitivi, il funzionamento della mente umana. Alle persone piacciono di più i colpi di scena, i momenti forti. Poi c’è il fatto che i musei quasi sempre sono one shot e questo è un altro grande problema. Tu vai, acquisti il biglietto, devi fare un certo giro e spesso lo devi fare secondo un percorso prestabilito, durante il quale ti viene persino impedito di tornare indietro; a volte il percorso è obbligato e, quindi, one shot rischi di non godertelo. Qual è la maniera, affrontando la visita a un museo, per evitare di affaticarsi? Ricette in generale non ce ne sono, però, si è visto che la brevità della visita, la riduzione del numero di opere visitate e una certa preparazione precedente, fa in modo che ci si affatichi molto meno. Quando si entra dentro senza essersi preparati prima e quindi senza avere una narrazione delle opere che si va a visitare, ci si troverà davanti a un maggiore affaticamento. Prepararsi prima, studiare la storia del museo che ci appresta a visitare, aiuta moltissimo. Comunque, resta il fatto che l’organizzazione del museo è fondamentale. Ritengo che quello egizio di Torino resti un modello. In quel museo si può scegliere la lunghezza della visita e lo stesso accade ai Musei Vaticani. Scegliere di visitare un museo con amici o famigliari o da soli, dipende dai gusti personali e non ci mette al riparo dalla fatica. A me aiuta affrontare il giro con mio figlio. In quel caso sono costretto a non perdere attenzione, perché devo leggergli le didascalie, spiegargli di che opere si tratta, raccontargli un poco il periodo storico. Devo, insomma, trovare un filo narrativo anche dove non c’è. Difficilmente si confessa di annoiarsi in un museo o di stancarsi, perché c’è molto conformismo sociale e non è visto troppo bene chi, d’altro canto, lo ammette. Questo, però, è un male, perché non aiuta a migliorare la fruizione del museo stesso.

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