Manuale di sopravvivenza per aspiranti librai con Giorgio Gizzi

Giorgio Gizzi è diventato libraio in maniera assolutamente casuale. “Facevo il giornalista. Durante uno sciopero di librai in una grande libreria del centro di Roma mi ritrovai a dare una mano a quello che non sapevo essere il direttore, era in difficoltà perché stava coprendo il turno di un dipendente. Lui mi chiese se volevo fare un corso perché riuscii a trovare libri che lui stesso non trovava. Lo feci e così la mia vita è totalmente cambiata”. La sua prima esperienza è stata all’estero perché all’epoca viveva a Londra; in Italia ha esordito con le librerie Franco Maria Ricci. Conosce molto bene il mondo delle catene di distribuzione - ha aperto la libreria Feltrinelli di Galleria Colonna a Roma per poi dirigere quella di Largo Argentina, un punto di riferimento per molti romani - e si è specializzato in librerie indipendenti sia come consulente editoriale sia come imprenditore. Ha fondato l’Arcadia nel 1993, che ha migrato da Roma a Rovereto otto anni fa, una libreria lontana dalle grandi città che è diventata un modello per la capacità di attrarre avventori e lettori da tutta Italia. Abbiamo parlato con Gizzi nella giornata di apertura del Festival DiPassaggio di cui è curatore. C’è un futuro per le librerie indipendenti? Nel recente passato quando si temeva che la rivoluzione digitale avrebbe spazzato via l’universo librario, le librerie ce l'hanno fatta e sono cresciute. Negli Stati Uniti stiamo assistendo a un fenomeno di consolidamento delle librerie e abbiamo capito guardando oltreoceano che ce la fanno soprattutto le librerie che riescono a fare comunità, che riescono ad aggregare lettori, che si dimostrano capaci di attrarre, che sappiano far spendere alle persone anche semplicemente il loro tempo e questo è lo scopo delle librerie, quelle di essere delle piccole stazioni meteorologiche per capire da che parte va il mondo. Un futuro senza librerie io francamente non credo sia possibile, sono estremamente ottimista a riguardo. Lei è famoso nell'ambiente perché viene considerato colui che ha trovato la formula vincente che poi applica nelle differenti città tenendo in considerazione le variabili. Ce la può svelare? Bisogna fare in modo che la libreria abbia la possibilità di attrarre e di dare qualcosa di diverso, soprattutto un contatto, una relazione e, non ultimo, una selezione di libri che sono frutto di un lavoro particolarissimo. Io insegno da molti anni in varie scuole professionali per i librai, però consiglio sempre di fare esperienza sul campo per un periodo anche ristretto di tempo in una libreria in cui si trasmetta il sapere. Questo è un mestiere che si impara ancora così, alla vecchia maniera. È importante, però, che chi si vuole avviare alla professione abbia la testa sgombra da tutta una serie di fantasie pseudo-romantiche che purtroppo sono state costruite da una narrazione tossica. È un lavoro decisamente complicato e tecnico per il quale serve molto tempo, perché è una di quelle professioni che richiedono un'applicazione costante. Un vero libraio si porta a casa il lavoro, che è anche quello di leggere libri per poterli consigliare. Come si sceglie il luogo per far nascere una nuova libreria? Prima di aprire una libreria noi facciamo uno studio molto accurato su quelli che sono gli indici di lettura. Cerchiamo di capire perché una libreria in quel determinato quartiere potrebbe funzionare e se in quel determinato quartiere di una libreria ci sia un bisogno, come ancorarla al territorio, con quali associazioni, quindi realtà che si occupano magari di altro ma che potrebbero essere funzionali e che di una libreria di riferimento potrebbero avere necessità. Cerchiamo di fare in modo che la libreria non venga semplicemente calata dall'alto e stia lì come una monade, ma riesca a intessere relazioni. Per questo molto spesso le librerie che ce la fanno sono librerie che sorgono in luoghi dove non ci sono mai state. Quali sono gli spazi più congeniali in una grande metropoli? I centri storici sono tutti estremamente affollati, c'è tantissima concorrenza ed è più difficile l'introduzione di una nuova libreria. Al contrario nei quartieri periferici o semicentrali, che una libreria non l'hanno da molto tempo, c'è la possibilità di lavorare bene. E per lavorare bene si deve passare quasi sempre per la costituzione di un gruppo di lettura, per proposte di incontri, con l’obiettivo di aggregare e far stare insieme le persone. Dobbiamo tenere in considerazione che ormai ci si incontra molto poco, sono rarissimi i luoghi nei quali, se escludiamo i ristoranti dove si va per bere e mangiare, sia possibile parlare con qualcun altro. La libreria ti offre questa possibilità e ce n’è sempre più bisogno, un bisogno generalizzato. Un esempio? A Roma con la libreria Spazio Sette abbiamo deciso di dare nuova vita a quello che era il tempio del mobile e del design a Roma, un luogo dove si andava a comprare qualcosa di bello. Per molti anni è stato chiuso a causa della morte dei due titolari e ha quindi perso quella funzione di bellezza, ma grazie a una squadra coraggiosissima di ragazzi è rinato dalle sue ceneri. Uno di loro, il titolare, è venuto a studiare a Rovereto come si fa a fare i librai per molti mesi e si è poi lanciato in quest'avventura. E lontano delle metropoli? Noi offriamo a proprio Rovereto, che non era esattamente un luogo vivace, circa 160 incontri l'anno che sono tutti di grande livello. Lo posso dire senza falsa modestia: più di un quarto di questi sono con autori stranieri. Anzi spesso Rovereto è l'unica città che viene inserita nei tour degli scrittori. Rovereto è un’anomalia che spicca perché è un posto che non fa neppure capoluogo di provincia e che nonostante tutto diventa così centrale. Non abbiamo fatto una magia: è semplicemente un territorio che aveva necessità di una libreria che potesse aggregare. Collaboriamo con la Casa delle Donne, con l’Anpi, con associazioni le più diverse, ognuna delle quali riesce a formare un tessuto connettivo che è fondamentale per la nostra attività. Nell’anno dell’Italia ospite d’onore della Fiera di Francoforte non posso non chiederle una riflessione su questo. Io non ho partecipato alla Fiera, ma ho seguito a distanza. Partiamo da una premessa: questo è un anno molto complicato non soltanto per le librerie. C'è un'inflazione forte. Tutto sommato il prezzo del libro è stato mantenuto stabile in questi anni, nonostante l'aumento vertiginoso del prezzo della materia prima, la carta è schizzata alle stelle. Poi questa bolla è scoppiata ed è scoppiata in simultanea con la cessazione di tutta una serie di aiuti o sostegni che l'editoria ha avuto negli anni precedenti. Quali aiuti sono stati ritirati? C’è da segnalare oltre alla fine del decreto Franceschini anche la scomparsa della 18APP . A me non piace la carità di Stato, quindi non piace la “mano tesa”, perché penso che un libraio debba essere in primo luogo un imprenditore, ma uno Stato che dice di avere a cuore la cultura è tenuto a fare qualcosa per fare in modo che i propri cittadini capiscano l'importanza del documentarsi. Oggi ci si documenta purtroppo sempre meno, si è abbassata la soglia di attenzione, il libro rimane invece un posto nel quale uno riflette con se stesso, riflette sulle proprie emozioni, sul proprio vissuto, sulle cose del mondo e per farlo forse ha bisogno di essere incentivato. Cosa non funziona? Non c’è una legge innanzitutto che stabilizza il sostegno alle librerie. Era considerata una manovra eccezionale quella di sostenere le librerie del territorio da parte delle biblioteche, ma non dovrebbe esserci un sostegno soltanto in un determinato periodo dell'anno, dovrebbe esserci invece una legge che tutto l'anno favorisca le librerie che operano sul territorio, perché svolgono una funzione sociale, tengono le luci accese, sono un posto dove si fanno attività diverse da quelle che si svolgono normalmente all’interno di altri esercizi commerciali. La libreria è un luogo dove le idee si scambiano, non si va semplicemente per prendere un libro e portarselo a casa, si va per dare la propria opinione, il proprio parere. Lei cura il Festival DiPassaggio al via oggi a Genova. Perché è stato avvertito il bisogno di un altro Festival? Abbiamo assistito negli ultimi anni a un proliferare di festival, ma questo a dispetto del nome è stato ideato per restare. Non vuole atterrare come fosse un'astronave in un posto e poi andarsene, ma vuole mettere radici. Per tre giorni le persone che graviteranno intorno a Genova avranno la possibilità di incontrare ospiti illustrissimi: da Valeria Parrella che parla dei miti greci all'autrice americana Liz Moore che rinnova il genere del giallo, fino a un mago del design e della grafica come Riccardo Falcinelli, ma ci saranno anche tantissimi autori che sono degli specialisti nel loro campo. Questa è un’occasione per dare a Genova la possibilità di riscoprire e di vedere sotto una luce diversa anche i propri spazi. Questo è il valore aggiunto. Gli incontri avranno luogo in posti specifici della città per i quali abbiamo trovato un'aderenza con il tema del libro. L’esempio più eclatante è quello del libro di Dario Voltolini, finalista del Premio Strega, in cui è centrale la figura del padre dell'autore che era un macellaio. Abbiamo deciso di calare l’evento all'interno di una realtà particolare come una macelleria che si trova proprio in quello che è considerato il ventre di Genova, a due passi dai Carruggi, in Soziglia, in un posto assolutamente straordinario che verrà eccezionalmente aperto la domenica, ma come per Dario Voltolini ci saranno tanti altri casi, ci sarà Claudio Visentin che porterà il suo libro che si occupa di piccoli cimiteri, in un cimitero monumentale come quello di Staglieno. Il nostro festival non vuole essere affatto escludente, per cui ci saranno situazioni nelle quali il pubblico sarà coinvolto in una maniera molto particolare per scoprire l'autore e il tema del libro come se fosse una performance. Centro e anche periferia, tornando al discorso precedente? L’appendice di questo festival sarà a Bogliasco, un comune limitrofo, un comune-dormitorio che sarà riscoperto come luogo culturale. Ci consiglia tre libri che potrebbero sfuggirci in libreria nella frenesia degli acquisti natalizi? Secondo me il libro dell'anno è “Il canto del profeta” pubblicato in Italia da 66thand2nd: è un libro che ti squarcia, un libro del quale si è molto parlato perché l'autore irlandese, Paul Lynch, ha vinto il Booker Prize, libro che però meriterebbe molto di più del tanto che ha ottenuto finora perché mette al centro il tema dell'erosione dei diritti civili e consacra il suo autore a livello di un Saramago o di un Kafka - una volta tanto i paragoni non sono sbagliati. Poi consiglierei a tutti le storie del volto dall'antichità del selfie, ovvero “Visus” di Riccardo Falcinelli, presente al Festival di Genova. Un testo che passa attraverso fisiognomica, arte, graphic design, scandagliando uno dei temi fondamentali del nostro tempo che è quello della relazione tra ciò che siamo e ciò che vogliamo appaia di noi all'esterno con uno sguardo assolutamente rivoluzionario. Chiudo con “L'affetto di una strega” di Emer Martin, scrittrice irlandese di Dublino, che vive in California. Parliamo di un libro che è proprio in uscita in questi giorni, grazie a un editore indipendente come Atlantide. Romanzo capace di raccontare l'Irlanda degli anni ‘70 e degli anni ‘80, con una grazia e una ferocia lucida che sono proprie soltanto dei grandissimi libri, un libro che non merita di scomparire, ma anzi di essere letto e riletto con estrema attenzione.