Gene Luen Yang: "Scrivere per i giovani è insegnargli a sopravvivere". L'intervista
LifestyleL'autore californiano di origine cinese era ospite del Lucca Comics con il suo editore italiano Tunué per presentare il suo ultimo graphic novel "Un anno per amarti". A Sky TG24 ha raccontato cosa significhi per lui l'identità culturale asiatico-americana. L'intervista
Saper raccontare i più giovani ai più giovani è un dono, e Gene Luen Yang lo possiede in quantità. Un anno per amarti è un delicatissimo coming of age che incrocia la rom-com senza rinunciare ai temi da sempre cari all’autore sinoamericano, primo fra tutti l’identità culturale delle seconde generazioni di americani nate da genitori provenienti dall’Asia. Per realizzare questo fumetto, pubblicato come gli altri suoi da Tunué, si è fatto accompagnare da LeUyen Pham, illustratrice di origine vietnamita dal tratto delizioso. Gene Luen Yang era ospite di Lucca Comics & Games, dove lo abbiamo incontrato per una lunga intervista.
Vorrei cominciare dall’inizio, dalla prima volta che hai realizzato che volevi fare il fumettista. Ti ricordi quel momento?
Sì, ero in quinta elementare, avevo 10 o 11 anni e mia mamma mi aveva comprato un fumetto nella libreria del nostro quartiere. Appena ho finito di leggerlo ne ero già innamorato, e la cosa bella dei fumetti è che chiunque può farli, così ho iniziato a realizzarli da subito. Avevo un amico di nome Jeremy, facevamo fumetti insieme e li vendevamo ai nostri compagni di classe per 50 centesimi la copia. Ecco come è iniziata…
Quali fumettisti ti hanno influenzato maggiormente mentre crescevi?
Oh, non saprei… Quando ero molto giovane volevo diventare un animatore della Disney e penso di aver iniziato a esercitarmi nel disegno con lo stile dei cartoni Disney. Ecco, credo che questa sia stata una grossa influenza. Quando sono diventato più grande, ho iniziato a leggere i fumetti supereroistici e penso che chiunque sia cresciuto in America sia stato influenzato in qualche modo da Jack Kirby, anche solo dal modo in cui organizzava le tavole e le vignette. Anche se non lavori coi supereroi, penso che in qualche modo siamo tutti influenzati da lui. Alle superiori, poi, ho incontrato un amico che veniva dalla Germania per uno scambio studentesco, lui mi ha introdotto ad Asterix e ho iniziato a collezionarlo, e più o meno nello stesso periodo è uscito Bone di Jeff Smith. Al College, infine, ho iniziato a interessarmi al fumetto americano alternativo, da Art Spiegelman ai fratelli Hernandez, per poi approcciarmi ai manga intorno ai 20 anni, principalmente Osamu Tezuka. Sono tanti artisti e tante opere.
E forse il tuo stile, così peculiare e unico, è proprio il frutto del mescolare tutte queste influenze così diverse tra loro?
Sì, potrebbe essere vero…
Un anno per amarti è la tua prima storia d’amore. Come mai hai deciso di farne una?
Beh, in parte la storia è ispirata alla relazione con mia moglie. Abbiamo iniziato a frequentarci al college e lei odiava davvero il giorno di San Valentino perché pensava fosse una truffa per vendere dolci e bigliettini. Io però volevo festeggiare quella giornata con lei perché lei mi piaceva e così ho trovato un modo per convincerla dicendole che in realtà la portavo fuori per il Capodanno lunare, che quasi sempre cade a febbraio, spesso vicino a San Valentino. E ha funzionato, lei ha accettato di uscire con me e ora siamo sposati. Da quel momento, il Capodanno cinese ha iniziato ad avere questo aspetto romantico, inoltre mi sembrava veramente interessante che una festa orientale e una occidentale fossero sempre così vicine. Insomma, volevo fare un fumetto su questo e volevo fare una commedia romantica, perché è un genere che mi piace al cinema, e volevo mettermici alla prova.
Una cosa che mi ha sorpreso è che di solito lavori ai tuoi titoli creator owned come autore unico, qui invece hai scelto di affiancarti a un’altra artista, LeUyen Pham. Come mai?
Ci sono alcune storie a cui penso che il mio stile di disegno non sia adatto, e LeUyen Pham è una delle migliori illustratrici d’America. Prevalentemente disegna libri per bambini ma ha anche fatto qualche fumetto ed è fenomenale. Penso anche che, avendo una giovane donna come protagonista della storia, avevo bisogno di una voce femminile. E lei non si è limitata a disegnare la storia, ne ha anche scritto alcune scene interamente da sola, come per esempio la scena finale con Val e il padre.
Forse anche per il fatto che è di origine vietnamita, come la protagonista della storia. E ci sono delle frasi in vietnamita, le ha scritte lei?
È stata sua madre, per la precisione. In realtà abbiamo parlato sul background che dovesse avere la nostra protagonista e quando LeUyen ha accettato di collaborare con me abbiamo deciso di renderla vietnamita.
In molti dei tuoi libri si parla della ricerca di un’identità culturale per gli americani di seconda generazione, della loro lotta per essere riconosciuti come americani senza per questo rinunciare alle proprie radici. Sembra essere una cosa che per te è molto importante. Che tipo di responsabilità senti nell’essere un "American Born Chinese"?
Sì, penso di sì… Ho vissuto una vita cinese-americana e molti artisti disegnano a partire dalle proprie vite. Per questo molte delle mie storie toccano il tema dell’identità sinoamericana o asiatico-americana. Quando ero più giovane pensavo solo a raccontare delle storie, ma crescendo ho iniziato a pensare che esista la responsabilità di rappresentare una comunità particolare in modo autentico, se ne sei parte.
So che sei stato un Ambasciatore della letteratura per giovani. Cosa significa per te scrivere per giovani adulti?
Penso che le storie allevino le persone. C’è un autore che si chiama Brian McDonald, fa fumetti e libri che riguardano l’arte della scrittura, e lui sostiene che le migliori storie sono semplicemente un modo per trasmettere informazioni per la sopravvivenza. Quindi le ascoltiamo, leggiamo o guardiamo per intrattenimento, ma ciò che trattiene la nostra attenzione è il fatto che sotto sotto quella storia ci stia insegnando come sopravvivere alla vita. E penso che sia vero, in particolare per i più giovani che si trovano in un momento delle loro vite in cui cercando di capire come potranno sopravvivere nell’età adulta. Ed è a questo che servono le storie per i giovani.
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Tu lavori alternandoti tra le tue graphic novel indipendenti e i fumetti mainstream. Qual è la differenza tra queste due parti della tua carriera?
Beh, in libri come Un anno per amarti, io sono il creatore, ho pieno controllo, anche quando lavoro con un partner continuo ad avere una buona dose di controllo. Invento io i personaggi, il loro mondo, ed è bello avere questo controllo. Con i fumetti supereroistici di Marvel o DC, mi trovo a giocare in un recinto di sabbia con dentro altre persone, e spesso ciò che accade negli altri fumetti impatterà sul mio fumetto e viceversa. E anche questo è divertente. Si tratta di un lavoro molto più collaborativo, sul quale non ho tanto controllo: gli universi DC e Marvel hanno la loro vita propria e tu devi far calzare la tua storia in quel tipo di contesto.
Penso che più o meno la stessa cosa valga per Avatar e The Books of Clash: sono titoli che hanno un loro franchise e devi seguire quella traccia.
Esatto!
Hai scritto Superman e Shang-Chi. C’è qualche altro supereroe su cui ti piacerebbe lavorare?
Sulla DC, amo moltissimo il Quarto Mondo di Jack Kirby. Mi piacerebbe lavorare su uno qualsiasi di quei personaggi anche se amo particolarmente Mister Miracle, su cui Tom King ha fatto un fumetto straordinario, non credi? Dopo averlo letto ho pensato “non so se qualcuno possa raccoglierne l’eredità”. È uno dei miei fumetti preferiti. Mentre sul lato Marvel, mi è sempre piaciuto Nightcrawler e anche questo supereroe meno noto che si chiama Frog-Man: suo padre era un supereroe o supercattivo noto come Leap-Frog, un nemico di Spider-Man abbastanza sconosciuto. E dopo che Spider-Man arresta Leap-Frog, suo figlio scopre l’identità segreta del padre e ne prova vergogna, così decide di indossarne il costume per fare del bene.
Mi è piaciuto molto il tuo Superman annienta il Klan, e non conoscevo lo show radiofonico da cui è tratto. L’ho scoperto grazie a te. E non sapevo nemmeno che i cinesi avessero una storia con il Ku Klux Klan non troppo dissimile da quella degli afroamericani. L’ho trovato molto interessante anche per questo, negli Stati Uniti è una storia altrettanto poco nota?
Sì. Voglio dire, non è proprio la stessa cosa perché i sinoamericani non hanno avuto quel passato di schiavitù, ma sulla West Coast, dove la popolazione afroamericana non era così numerosa, noi eravamo il gruppo non bianco dominante. E nemmeno io ne sapevo molto fino a quando non ho iniziato a lavorare questo fumetto. Ho iniziato le mie ricerche e ho capito che c’è una grande fetta di Storia di cui semplicemente non ricordiamo. Ed è un grosso privilegio, da autore di fumetti, poter usare questo tipo di personaggi. Mi piace usare Superman per raccontare la Storia, è fantastico, Superman è un personaggio così importante, penso sia perché c’è da così tanto tempo ed è il primo dei supereroi che ha dentro di sì così tanta Storia.
Ho una curiosità: cosa è rimasto di Dragon Hoops quattro anni dopo la sua pubblicazione? So che non seguivi il basket prima e te ne sei innamorato mentre ci lavoravi: lo segui ancora? E sei ancora in contatto con alcuni ex allievi della Bishop O’Dowd?
Oh sì, seguo ancora il basket. Vengo dalla Bay Area e quindi seguo i Warriors, anche se ora come ora mi piacciono molto anche i Memphis Grizzlies che hanno un paio di giocatori asiatici e in particolare quel play giapponese (Yuki Kawamura, ndr) che è fantastico, l’ho visto durante la pre-season, è divertente vederlo giocare. Per quanto riguarda gli ex allievi, sono passati quasi 10 anni dalla finale del campionato e sì, sono ancora in contatto col coach, siamo ancora dei buoni amici, ci mandiamo messaggi sempre. Tra i giocatori, sono ancora in contatto con Arinze (Chidom, ndr), il fratello più giovane di quella fortissima giocatrice che è Oderah Chidom. Ora lui gioca in Europa, mi pare in Polonia, ed è l’unico che ancora gioca a basket di quella squadra.
Una delle cose che amo maggiormente dei tuoi lavori è quel tocco gentile che metti in ogni singolo argomento. In Boxers & Saints hai deciso di raccontare la storia da due punti di vista opposti. Non è una cosa comune, di solito la storia è scritta dai vincitori. Per te era così importante far capire alle persone che non esistevano eroi e cattivi in quel tipo di storia?
Sì, è come mi sono sentito quando ho iniziato a fare le mie ricerche. All’inizio dovevo decidere chi sarebbe stato l’eroe, così ho letto un libro e ho pensato che fossero i Boxers, poi ne ho letto un altro e ho pensato che invece fossero i cristiani cinesi. Non riuscivo a decidermi e forse è andata così per le mie origini: sono cinese e sinoamericano, e sono cresciuto come cattolico dopo la conversione di mia madre, io e mia moglie stiamo educando i nostri figli come cattolici. Quindi ho sempre sentito questa tensione tra la cultura orientale e la fede occidentale, e penso che la rivolta dei Boxer parli esattamente del conflitto tra Est e Ovest, così non riuscivo a decidermi su chi avesse ragione delle due parti.
Hai progetti per il futuro?
Sì, sto lavorando sui nuovi libri di The Books of Clash, ne abbiamo otto in programma. Poi sto lavorando a un libro di fantascienza, sarà la mia prima vera volta con un libro per adulti.