Zoe Thorogood a Lucca Comics: "Coi fumetti comunico col mondo"

Zoe Thorogood ha due occhi luminosi pieni di vita, le idee chiarissime, la parlata veloce e cristallina. Se qualcuno si mettesse a contarle, scoprirebbe che magari ha appena realizzato il nuovo primato mondiale di parole pronunciate al minuto, ma nessuna di queste è masticata, mangiucchiata, spezzata. Quest’anno è uscito in Italia Tutta sola al centro della terra, pubblicato da BAO Publishing, un fumetto potentissimo, ancora più di quanto non lo era stato il precedente Gli ultimi giorni di luce di Billie Scott. Raccontando il momento più duro della sua vita, la sua battaglia con la depressione, i suoi pensieri suicidi, Zoe Thorogood ha dato voce a una quantità di persone che troppo spesso fa fatica a trovarne una. Eppure non si sente un’eroina né vuole esserlo, come ci ha raccontato a Lucca Comics & Games. Come è iniziato il tuo percorso artistico? Inizialmente non ero interessata all’arte. È molto buffo che quando sento parlare gli artisti, molti di loro raccontano di essere cresciuti con una matita in mano. Io no. Io mi sono innamorata dello scrivere storie, in particolar modo testi teatrali quando ero molto giovane. Da adolescente, poi, ho iniziato a chiedermi che sembianze avrebbero avuto i personaggi delle mie storie, così ho imparato a disegnare. Come hai scoperto il fumetto? Proprio in quel periodo. E ho iniziato a innamorarmi del leggerli. Ma non ho mai pensato che li avrei fatti. Era una parte di un processo: più disegnavo più miglioravo. Quando hai capito che sarebbe diventato il tuo lavoro? Ho iniziato con i concept per i videogame ma ho realizzato presto che non faceva per me, che il motivo per cui amavo i concept era che amavo raccontare delle storie. E una società che fa giochi è più concentrata sul vendere qualcosa ai bambini che sul raccontare una storia. Così ho iniziato a fare fumetti perché era una cosa che potevo fare da sola e mi permetteva di raccontare storie tutte mie. Ma non è stato il sogno di una vita, non ho sempre voluto fare fumetti, sono solo un mezzo attraverso cui ho dato un senso alla mia voglia di raccontare. Tanto in Gli ultimi giorni di luce di Billie Scott quando in Tutta sola al centro della terra, condividi alcune delle tue esperienze di vita. Nell’ultimo forse anche di più. Quanto ti è costato aprirti in questo modo al tuo pubblico? Onestamente, niente. Penso che sia stato semplicemente un modo per comunicare e comunicarmi al mondo. Non ho mai avuto l’intenzione di farne un libro, semplicemente mi trovavo in un momento veramente brutto e avevo bisogno di comunicare le mie emozioni in forma d’arte. Poi la gente ha cominciato a chiedermi quando sarebbe stato pubblicato. Ma la verità è che non mi è costato nulla, avevo bisogno di farlo per me stessa, per questo mi definisco una artista egoista, perché realmente lo faccio per me. Poi se la gente riceve qualcosa, bene, mi fa molto piacere, ma non era questo il mio scopo. Tutta sola al centro della terra racconta del peggior momento della tua vita e ci va a fondo. Sembra quasi un’opera di autoanalisi. È stata dura scriverlo e disegnarlo? No, per niente. Ero persino delusa quando l’ho finito perché pensavo che non avrei mai più avuto un’esperienza del genere, di creare un fumetto così organico, venuto fuori da me in modo così spontaneo. Non è stata una sfida, uno sforzo di autoanalisi, è stato più come vomitare sulla pagina. Semplice, grezzo, onesto vomito. Secondo te un fumetto può far star meglio le persone? Senti qualcosa di simile a una responsabilità in questo senso? Le persone traggono spesso beneficio dalle storie. Da bambina io ero molto asociale, provavo ansia nello stare in mezzo alla gente. Le storie sono state la via attraverso cui sentirmi vista, penso. E penso che per molti rappresentino un modo per connettersi col mondo, capire se stessi attraverso gli altri. E come artista metti te stessa nel tuo lavoro, anche se pensi di non farlo ovviamente lo fai, comunichi con altre persone presumibilmente simili a te. Non credo che gli artisti abbiano alcun tipo di responsabilità, il pensiero mi innervosisce un po’, perché da artista voglio semplicemente creare qualcosa, e se voglio divertire qualcuno o rattristarlo non voglio pensare a come il lettore reagirà a questo. In realtà è una domanda molto complicata, è difficile rispondere, perché ho un sacco di pensieri e sentimenti conflittuali al riguardo. Ma no, penso proprio che sia meglio se un artista non sente alcuna responsabilità verso il lettore. La salute mentale è stata un tabù per anni, forse secoli. Penso che qualcosa stia cambiando ed è anche grazie ad autori come te, che decidono di parlarne nei propri libri. Quando è importante, secondo te, parlare apertamente di questo argomento? Penso che sia estremamente importante. Ho fatto questo libro in un momento in cui avevo pensieri suicidi incredibili e la mia unica possibilità era disegnarli o avrei fatto qualcosa di stupido. Penso sia il mio modo di fare. Ma penso che per tante persone che non sono artisti, parlare di queste cose sia molto importante, comunicare i tuoi sentimenti in qualsiasi modo, parlando con gli amici o i vicini. E sono felice di aver permesso a delle persone di parlarne, è stato un grande effetto collaterale anche se non era nelle mie intenzioni, e spero che la cosa continui. Non l’ho mai considerato un tabù, sono una persona che ha bisogno di questo per sopravvivere, so che a qualcuno possa sembrare eccessivo soprattutto se non ha mai vissuto situazioni del genere, ma non mi è mai interessato: questa è la mia vita, questa è la mia realtà e la sto condividendo con te, se non ti piace non guardarla. Mi piace molto il tuo stile, penso che si sia evoluto tra Billie Scott e Tutta sola al centro della terra. E sono rimasto colpito dalla tua capacità di mischiare registri e stili diversi, anche nella stessa vignetta, dando grande espressività ai tuoi disegni. Come hai sviluppato il tuo modo di disegnare? Mentre imparavo a disegnare ero ispirata da un sacco di artisti diversi e non ho mai pensato di avere un mio stile personale. Per quanto riguarda Billie, per esempio, era un nuovo stile per me, avevo bisogno di qualcosa di veloce e l’ho sviluppato in modo rapido, sono stata molto influenzata da artisti come Tillie Walden e Daniel Warren Johnson, ho pensato di miscelarli e creare qualcosa di nuovo. Quando ho fatto Tutta sola al centro della terra ho iniziato a disegnarlo nel mio stile naturale, se vogliamo chiamarlo così, ma tutti gli altri stili che ho incontrato negli anni mi hanno formato, cerco di metterli insieme e fare del mio meglio. Hai citato Tillie Walden e Daniel Warren Johnson, ma in Tutta sola al centro della terra io ho visto anche un po’ di Inio Asano… Oh sì, sono una grande fan. Il libro deve essere tradotto in Giapponese e sono molto nervosa perché credo che un sacco di giapponesi diranno “ehi, hai rubato così tanto!”. Ed è vero! Quel libro è stato un grande insegnamento per me, quando l’ho letto ho pensato “oh, non ho mai visto un fumetto fare una cosa del genere prima”, quindi sì, è stata un’influenza gigante per me, ed è terribilmente ovvio per chiunque lo abbia letto. Quali sono i tuoi progetti futuri? In questo preciso momento sto lavorando a un libro che si chiama Head Trauma, che ancora una volta parla di salute mentale ma sotto forma di fiction e racconta di un uomo che soffre di sindrome post traumatica da stress e pensieri intrusivi, e tutto questo improvvisamente comincia a manifestarsi nella realtà portandolo a far esplodere la testa di altre persone. È una sorta di commedia horror sulla salute mentale, è molto duro ma con un pizzico di leggerezza. Quindi è questo il mio prossimo progetto: una commedia road trip horror.