Sally Rooney racconta l'Intermezzo dei maschi fragili: la recensione del nuovo libro

È il romanzo di cui tutti parlano. "Intermezzo", il quarto libro della scrittrice irlandese Sally Rooney, classe ‘91, è stato pubblicato nell'edizione inglese a fine settembre e arriverà in Italia il 12 novembre con Einaudi, ma è già un cult. Per la prima volta Rooney sceglie per la sua storia una doppietta di protagonisti maschili, due fratelli. Il maggiore è Peter Koubek, 32 anni, avvocato brillante e idealista, bello e popolare. Ivan, 22 anni, è un giocatore di scacchi, più pragmatico e meno progressista, un ragazzo che definiremmo “nerd” e in inglese “geek”, con una vita sociale ridotta ai minimi termini. Dopo la separazione dei genitori e il trasferimento della madre nella casa del nuovo compagno, crescono con il padre, un immigrato slovacco arrivato in Irlanda negli anni Ottanta che muore di cancro. La trama si snoda proprio a partire da questo lutto, difficile da elaborare. Non è una morte improvvisa perché arriva dopo una lunga malattia e per questo sia Ivan sia Peter si illudono di essere preparati all'inevitabile: si scoprono invece, già nelle prima pagine, smarriti e disorientati. La famiglia implode: Christine, chiamata per nome e quasi mai mamma - e non è l’unica madre disfunzionale che si incontra nel romanzo, ha la sua vita e ha già fatto abbastanza danni, pur senza esserne consapevole. Peter e Ivan vivono separatamente il proprio dolore, del resto si parlano senza più capirsi da anni, convinti, per ragioni diverse, di non avere nulla in comune. Si gettano entrambi a capofitto nelle rispettive relazioni sentimentali, complesse e contorte, come ci ha abituati Rooney da "Parlarne tra amici" in poi. Peter frequenta una ragazza scapestrata dieci anni più giovane continuando ad alimentare in modo non convenzionale e confuso il rapporto con la sua fidanzata storica, Sylvia, una donna che convive con una condizione di dolore fisico cronico. Ivan pochi giorni dopo la morte del padre, con cui aveva un rapporto particolarmente forte, conosce Margaret, una trentaseienne con alle spalle un matrimonio fallito. Da una parte un triangolo e dall’altra una storia d’amore vissuta in gran segreto. Le vite dei due Koubek procedono parallele, ognuno va dritto con il suo dolore. Rooney sviluppa i due filoni alternando i piani narrativi con sapienza quasi cinematografica e con uno sperimentalismo linguistico che non si ritrova nei precedenti romanzi e che fa di “Intermezzo” il romanzo della sua maturità artistica e stilistica. Nei capitoli dedicati a Peter i periodi sono frammentati: la prosa è a singhiozzi e riflette lo sguardo del protagonista alterato dai tranquillanti. Le pagine in cui scorre la vita di Ivan sono più distese e razionali, sebbene cariche di sofferenza. Ma le storie si intrecciano, perché non può essere altrimenti, e il rapporto tra i due fratelli prende il sopravvento. “Intermezzo” è per questo un romanzo familiare che mette in scena le vicende di due maschi fragili. Una fragilità che è una conseguenza dell’incapacità di comunicare e di verbalizzare le proprie emozioni. Nel momento in cui iniziano a dialogare, Peter e Ivan iniziano anche a scontrarsi ed è proprio grazie allo scontro che si riscoprono fratelli. Rooney senza essere didascalica ci ricorda che i legami più forti spesso sono quelli più conflittuali e che “mandarsi a quel paese” e insultarsi - con un bel “Fuck you” Ivan congeda il fratello nel primo vero incontro dopo la morte del padre - è sano. Le storie sono storie e non trattati di sociologia. Guai a sciupare la narrativa nel tentativo patologico di trovare l'universale nel particolare dei protagonisti. I romanzi ci piacciono anche perché raccontano di cose inventate, del tutto o in parte. Un tardo ventenne o un trentenne che legge l'ultimo romanzo di Sally Rooney, però, potrà riconoscere qualcosa di se stesso che forse gli era sfuggita, perché i personaggi di “Intermezzo”, riflettono le speranza, le aspettative, le frustrazioni e la solitudine di una generazione, quella dei Millennial, nel dialogo con quella successiva, la Gen Z. I cosiddetti “2000”, prendendo in prestito il titolo dell'inno nostalgico di Gabry Ponte, fanno irruzione nel mondo rooneyano e si prendono un bel pezzo di palco. L'amore non ha età? Rooney nel corso delle pagine offrirà la sua risposta che certo non “spoileriamo”. Quello che però sembra sottolineare attraverso i capitoli è che le etichette generazionali non sono semplice etichette. Un "age gap", anche solo di dieci anni, si sente, è tangibile, è una verità storica e concreta. E sì, se ve lo state chiedendo, anche in questo romanzo la politica si insinua nelle conversazioni: si parla di forza lavoro, di sfruttamento, del senso della vita nella società dei consumi. I Millennial sanno dare un nome ai fenomeni, riconoscersi nelle correnti di pensiero; i Gen Z sono anticapitalisti, anche se non sanno di esserlo. Una delle accuse che la critica, quella più severa nei suoi riguardi, ha più spesso mosso a Rooney è l'assenza di trama. Nei suoi romanzi non succede niente e le conversazioni, in cui eccelle come narratrice, sarebbero l'escamotage per tirarla alle lunghe e dare sostanza a un racconto povero. Stavolta, che piaccia o non piaccia la Rooney-letteratura, però non si può dire che non accadano “cose”. Di tragedie, traumi, fatti ce ne sono tanti, ma sono tutti concentrati nella preistoria del libro. Il lettore ne viene a conoscenza gradualmente attraverso i flashback e i lunghi dialoghi in cui i personaggi riavvolgono il filo dei ricordi: c’è la la morte del padre di Ivan e Peter, ancora più indietro il divorzio dei genitori, ma c'è anche l'incidente di Sylvia, il matrimonio naufragato di Margaret. C'è tanta vita, forse troppa, e questo accumulo sovrasta i protagonisti che si trovano a raccogliere pezzi, riaggiustare, mettere in ordine le tessere nella loro contemporaneità burrascosa e piena di dolore. Il titolo esotico, per una volta non per noi italiani, non poteva essere più azzeccato. L'intermezzo, come si legge nell’enciclopedia Treccani, è il "componimento" che segna il passaggio, contenutistico o stilistico, fra due opere o parti di un’opera", e questo libro non è altro che un traghettamento da una sponda all'altra, da un passato irrisolto, fatto di silenzi, incomprensioni, drammi, al livello successivo, che come in un videogame si può sbloccare solo una volta compiute tutte le missioni del presente. Per sciogliere i nodi i protagonisti devono capire se stessi, ancor prima di capire gli altri, e i tanti flussi di coscienza, che si alternano a dei momenti di introspezione più ragionata, sono un elemento fondamentale del racconto. Per questo è il libro più lungo scritto fino adesso da Rooney e supera le 400 pagine. Qualcuno si è chiesto se forse non sia addirittura troppo lungo, soprattutto con riferimento agli ultimi capitoli. Sarebbe stato più corto, se la vita fosse più semplice.