“Freedom” e il ruolo delle canzoni nelle campagne elettorali

“Freedom, freedom, where are you? / 'Cause I need freedom too?” . Questi versi li ascolteremo molto spesso se abbiamo intenzione di seguire le elezioni presidenziali USA. Sono infatti le parole di “Freedom”, la canzone di Beyoncé che è diventata il tema ufficiale della campagna della candidatura presidenziale del ticket Harris-Walz per il 2024. Per chi scrive è un tema perfetto da tanti punti di vista. Innanzitutto il testo: la canzone è già stata utilizzata come grido di battaglia in molte manifestazioni del movimento Black Lives Matter dopo la morte di George Floyd nel 2020 e ora evoca l'ambiziosa promessa del Partito Democratico per la vittoria: “I'mma keep running 'cause a winner don't quit on themself” canta Beyoncé con gran vigore. La campagna e il messaggio di Kamala Harris in effetti si muovono sugli stessi valori e narrazioni della canzone: l'emancipazione femminile, la sorellanza, la comunità, la cultura nera e la libertà. E questo le permette di distinguersi fortemente nei confronti del patriottismo iracondo di Trump. Anche la ritmica martellante che mette insieme lo spiritual , l'incedere epico del rock e il rap tagliente e profondo di Kendrick Lamar, nonché un tono austero e urgente, sono elementi importanti e impattanti della canzone scelta. Come funzionano le canzoni per le campagne Le canzoni che funzionano nelle campagne elettorali sono quelle che si muovono su una linea sottile tra il galvanizzare la base di un partito o di uno schieramento politico e l'allinearsi con gli interessi e le urgenze dei suoi sostenitori. Inoltre una buona canzone che supporta la campagna è quella che è anche efficiente nel catturare la visione e le politiche del candidato. Recentemente il sito VOX ha intervistato Dana Gorzelany-Mostak, professore associato di musica al Georgia College nonché autrice del libro “Tracks on the Trail: Popular Music, Race, and the US Presidency”, un saggio sull'uso delle canzoni nelle campagne presidenziali in cui si sostiene che la musica può essere un mezzo efficace per i politici. "Sebbene non spinga le persone alle urne, la musica modella i modi di stare nel mondo e di entrare in contatto con gli altri", sostiene la Mostak. Inoltre aggiunge che la “canzone elettorale” è molto più del suo testo: quindi è importante prendere in considerazione anche la biografia dell'artista, la composizione e il carattere delle comunità di fan dell'artista, le connotazioni legate al genere della canzone e, naturalmente, i significati che una canzone ha accumulato attraverso la sua presenza in altri media. Mentre gli esperti possono privilegiare la parola parlata o le immagini, il suono e la musica possono essere persuasori altrettanto potenti. "Nel complesso, la musica della campagna predica principalmente ai convertiti. Non credo che converta le persone o le allontani", conclude Dana Gorzelany-Mostak. Gli altri casi del passato Nel tempo ci sono state molte canzoni che hanno accompagnato le campagne elettorali: una delle più efficaci fu “Don't stop” dei Fleetwood Mac usata da Bill Clinton per la sua prima campagna nel 1992 ma che fu usata dall’ex presidente ancora per eventi fino al 2012. Barack Obama, grande amante della musica, aveva una addirittura una sua playlist che includeva Earth, Wind & Fire, Stevie Wonder e gli Isley Brothers. A volte poi ci sono canzoni che funzionano meglio della campagna elettorale: è il caso di “Born free” di Kid Rock che fu utilizzata nel 2012 da Mitt Romney per la sua fallimentare campagna, tuttavia la canzone divenne uno dei tormentoni dell'anno. Donald Trump ha ricevuto in passato più disdette che approvazioni, anche perché il più delle volte lo staff del tycoon utilizzava i pezzi senza comunicarlo preventivamente agli aventi diritto: tra gli artisti che hanno negato le proprie canzoni ci sono Aerosmith, Neil Young, Adele, Rolling Stone, ABBA e Jack White. Adesso sembra invece che il candidato repubblicano alle elezioni 2024 oltre ai classici artisti country abbia coinvolto anche un paio di giovani rapper, come ha scritto su queste pagine Valentina Clemente. E in Italia? Tra i casi più eclatanti e discussi ci fu l'utilizzo de “La Canzone Popolare” di Ivano Fossati come l'inno per l'Ulivo della campagna di Romano Prodi nel 1996, e poi “Mi fido di te” di Jovanotti per Walter Veltroni del 2008 che conteneva quel verso “cosa sei disposto a perdere” che non portò particolarmente fortuna, visto che le elezioni furono vinte dal centrodestra di Silvio Berlusconi.