Non aprite quella porta, un documentario svela i segreti dell’horror amato da Stephen King

Sono passati 50 anni dalla risata isterica della giovane Sally che si allontana a bordo di un pickup, mentre Leatherface rotea la sua motosega sullo sfondo di un alba, mai così livida. Un finale tra più iconici dell’intera storia del cinema horror e non solo. Eppure, Non aprite quella porta di Tobe Hooper continua a terrorizzare intere generazioni di spettatori. Quando la pellicola uscì c’èrano il Watergate, la crisi petrolifera del 1973 e i massacri e le atrocità nella guerra del Vietnam. Oggi abbiamo l’emergenza climatica, la guerra tra Israele e Palestina e quella tra Russia e Ucraina. Insomma, il nostro mondo non si certo trasformato in un paradiso. E a volte il cinema della paura risulta la giusta cartina di tornasole per guardare l’abisso, prima che l’abisso ci guardi. E il caso di Chain Reaction, l’opera di Alexandre O. Philippe presentata all’81ma edizione della Mostra del cinema di Venezia, nella sezione Classici documentari Le parole del regista Con Chain Reactions, ho voluto creare una conversazione tra le riprese originali di The Texas Chain Saw Massacre e le reazioni contemporanee al film, cinquant’anni dopo. La casa in cui si trovano i nostri partecipanti è una versione spettrale ed espressionista di casa Sawyer. Kirk e Pam ci portano nel “vecchio posto” che “sembra uscito da un sogno” – solo che questa volta entriamo insieme a loro per riflettere sul potere, la bellezza e l’impatto di un capolavoro americano essenziale e profetico. La cronologia di Chain Reactions coincide con quella di Chain Saw, con l’illuminazione di ciascun capitolo corrispondente a un diverso momento della giornata: inizia a mezzogiorno spaccato, ci fa attraversare una lunga notte , e termina con un’alba piena di speranza, con Sally che ancora una volta sfugge a Leatherface... come farà sempre. mentre il mostro più triste del cinema agita la sua motosega verso il cielo con rabbia e disperazione... La più pura espressione dell’incubo americano secondo Tobe Hooper. È una versione di Chain Saw sotto forma di racconto di fantasmi, con la storia intrappolata in un ciclo ineluttabile – e potente, poetico, splendidamente realizzato, a volte stranamente comico e certamente, come sempre, terrificante – mezzo secolo dopo aver cambiato il corso del cinema e la storia della cultura di massa. Da stephen king a Takeshi Miike “Un film su un gruppo di psicotici diretto da uno psicotico”. È soltanto della tante travolgenti battute pronunciate da Stephen King in Chain Reactions. Il geniale scrittore di Portland ci offre il suo prezioso contributo per comprendere lo slasher che ha cambiato i confini del genere, citando altro il grande Sam Peckinhpah. Notevole anche l’apporto del comico, attore e cantante Patton Oswalt che ci illumina con sorprendenti paragoni tra Texas Chainsaw Massacre e Nosferatu di Murnau. Esilarante e sardoniche, invece, le parole di Takashi Miike. Il regista, sceneggiatore, attore e produttore cinematografico giapponese svela che il suo primo incontro con Non aprite quella porta è stato assolutamente casuale. In realtà avrebbe dovuto vedere Luci della Ribalta. E da Charlot a Leatherface, il passo non è affatto breve. Insieme agli interventi della critica cinematografica australiana Alexandra Heller-Nicholas e dell’attrice e regista statunitense Karyn Kusama, Chain Reaction si rivela cosi uno strumento indispensabile per capire perché, nonostante siano passati 50 anni, abbiamo cosi paura di aprire quella porta.