Che cosa manca all'animazione in Italia? Il confronto con l'estero

Se c’è un linguaggio che negli ultimi anni, a partire dal pre-pandemia, si è ritagliato uno spazio sempre più grande nel mercato audiovisivo mondiale, è sicuramente l’animazione. Non è aumentata solo la domanda di nuovi prodotti animati, ma sono aumentate anche la loro fruizione e diffusione. Serie e film hanno trovato il loro pubblico di riferimento e, in alcuni casi, sono riusciti a costruire delle vere e proprie community. Sono un esempio gli anime, che a partire dai manga sono stati in grado di approfondire e talvolta di rilanciare determinate storie e determinati personaggi. Ma anche al cinema, con l’arrivo di sequel attesi o di novità importanti, questa tendenza si è fatta notare. Un momento d'oro Pensiamo al successo incredibile – e, per certi versi, inatteso – di Inside Out 2. Pensiamo anche al percorso che, proprio in questi giorni, sta facendo Cattivissimo me 4 . Ma pensiamo al ritorno di Hayao Miyazaki con Il ragazzo e l’airone, che gli è valso il Premio Oscar per il miglior film animato e che, solo qui in Italia, ha registrato al box office numeri significativi. O a The First Slam Dunk di Takehiko Inoue: recentemente è tornato nelle sale giapponesi, diventando il 12° incasso migliore di sempre. Cosa succede nel resto del mondo Quasi tutti i Paesi, a partire dalla Francia, hanno un’industria di animazione consolidata e ben radicata. In Irlanda, per fare un esempio, c’è Cartoon Saloon, studio che è considerato come uno dei possibili eredi dello Studio Ghibli. E in Italia? La situazione è decisamente più complicata e difficile da descrivere. E questo per molte ragioni. La prima e più evidente: manca un sistema condiviso. Ci sono tanti piccoli e medi produttori, diversi studi di animazione, alcuni dei quali impegnati anche all’estero; e ci sono artisti, animatori e registi. Ma non c’è una consapevolezza diffusa, industriale, del potenziale che ha – che può avere – l’animazione. Ed è piuttosto paradossale, visto il successo che negli ultimi anni, sempre tra la pandemia e la sua fine, hanno ottenuto determinati titoli. Due su tutti: Strappare lungo i bordi e Questo mondo non mi renderà cattivo di Zerocalcare, entrambi distribuiti da Netflix. Zerocalcare: segreti del successo? Qualcuno dirà, e a ragione, che buona parte della fortuna di queste due serie è derivata dalla visibilità di cui già gode il fumettista. Però è proprio questa la capacità straordinaria dei prodotti animati: riescono facilmente a raccogliere il pubblico, a fidelizzarlo e a dare una continuità – comunicativa, certo, ma soprattutto visiva – a determinati discorsi. Se i piccoli e medi produttori, come dicevamo, sembrano credere seriamente all’animazione come concreta possibilità produttiva, la stessa cosa non si può dire per i produttori più grandi, come Rai Cinema e Medusa. Paolo Del Brocco, AD di Rai Cinema, ha ripetuto in diverse occasioni di aver ricevuto mandato dalla propria azienda di evitare lo sviluppo di titoli animati. Perché? Perché in Rai l’animazione è di competenza di Rai Kids e di chi, più in generale, si occupa della programmazione per le fasce d’età più giovani. Il panorama italiano Da un punto di vista meramente imprenditoriale, Rai Kids rappresenta un polo importantissimo per l’industria italiana. Perché investe, e investe pure tanto, su tanti prodotti. Molti dei quali creati proprio qui nel nostro paese. La vera difficoltà si presenta quando si vuole provare a creare qualcosa di differente, rivolto a un pubblico che, solitamente, non viene preso in considerazione dall’animazione italiana: quello più adulto, tra i 20 e i 30 anni, che nel corso del tempo ha dimostrato la propria passione e il proprio attaccamento a titoli e a personaggi. Ci sono delle eccezioni, e torniamo al discorso che stavamo facendo poco fa, sui piccoli e medi imprenditori. Movimenti Production, per esempio, è lo studio che si è occupato delle serie di Zerocalcare. Poi, nel napoletano, c’è Mad Entertainment, che non solo ha finanziato e sviluppato uno dei film animati per adulti più fortunati della storia recente del nostro cinema, come L’arte della felicità, ma che proprio in questi mesi si sta occupando, insieme a Lucky Red e ad altre società internazionali, della lavorazione del primo film animato diretto da Roberto Saviano. Cosa ci manca Questi due casi sono emblematici e riescono a fotografare perfettamente due tendenze del nostro mercato. La prima: c’è bisogno di realtà internazionali, come Netflix, per poter avere abbastanza risorse ed energie per portare avanti progetti così specifici. La seconda: se non c’è la grossa realtà internazionale, serve una cordata di più investitori e produttori, italiani e non italiani. E questo perché, appunto, manca una visione unica, di sistema, nel nostro mercato. . Ma perché? Forse per il pregiudizio, ancora molto diffuso, che vuole che siano i bambini, o comunque i più giovani, il pubblico di riferimento per film e serie animate. Oppure perché, più che in altri settori e campi, l’animazione ha vissuto dei successi altalenanti, quasi imprevedibili, che sono rimasti isolati e che non hanno avuto una vera e propria continuità. Il caso La Gabbianella e il gatto Pensiamo a La Gabbianella e il gatto di Enzo D’Alò. Altrove un simile film – uscito nelle sale più di ventisei anni fa – sarebbe diventato un caso, qualcosa attorno a cui fare gruppo, raccogliere energie e professionalità. In Italia no. In Italia rimangono il buon risultato e il suo successo e la possibilità di poterlo citare come esempio. Ci sono studi a conduzione familiare, come lo Studio Bozzetto, che hanno una storia decennale che risale agli anni del Carosello e che hanno ottenuto applausi e riconoscimenti in tutto il mondo e che però qui in Italia non sono mai stati protagonisti di un ragionamento più ampio e approfondito. Sono rimaste piacevolissime eccezioni: la grande artigianalità, il grande mestiere, fiore all’occhiello dell’Italia, eccetera eccetera. Uno sguardo sul futuro In un periodo di crisi come quello che stiamo affrontando, l’animazione può essere non solo una soluzione – per così dire – alla fatica che fanno le sale cinematografiche, ma pure un’alternativa per investimenti e assunzioni. Il caso de Il segreto di Liberato è piuttosto significativo. Una parte consistente del film è animato, e per lavorarci sono state contattate professionalità di primo piano come Lorenzo Ceccotti e istruito un vero e proprio studio, con molteplici animatori. Il problema, però, è che una volta finita la lavorazione delle sequenze animate de Il segreto di Liberato questi animatori, preparati per riprendere e replicare un determinato stile e design, sono stati costretti a passare oltre. Perché non c’è stato nessun ulteriore investimento e la squadra di lavoro che era stata raccolta si è sciolta. E pensare che altre realtà, molto più ricche e importanti, scelgono spesso l’Italia come base per lo sviluppo delle loro produzioni. DogHead Animation, nato come costola di Movimenti Production, ha preso parte a progetti internazionali come Merry Little Batman. Ciò nonostante, produttori e distributori italiani non hanno ancora dimostrato un reale interesse per un film animato originale. Senza dubbio la nostra industria audiovisiva è, come abbiamo già avuto modo di dire e di ripetere, direttamente responsabile in questa situazione. Ma anche le associazioni di categoria – alcune di esse, almeno – non riescono a tenere traccia dei tanti nomi e delle tante professionalità del nostro paese e preferiscono partecipare a un dibattito pubblico spesso annacquato e confuso. Eppure di talenti ce ne sono e sono anche tanti, di tutte le età e di tutte le provenienze. In molti sono quasi costretti a lavorare per studi stranieri, dove si occupano di mansioni e compiti differenti. Altri provano comunque a resistere e a lavorare in Italia. Agli ultimi David di Donatello, Margherita Giusti ha vinto il premio per il miglior cortometraggio con The Meatseller, un progetto interamente animato. Probabilmente in altri Paesi avrebbe già ricevuto offerte e inviti per fare un lungometraggio utilizzando la stessa tecnica. Chiara Malta, che ha diretto con Sébastien Laudenbach Linda e il Pollo , ha vinto un César per il miglior film animato. È una regista. L’animazione è solo uno dei tanti linguaggi che utilizza. Ma non sarebbe così assurdo provare a coinvolgerla in un progetto italiano interamente animato. Ciò che alla fine manca, insomma, è una visione più ampia e consapevole. Ed è un problema estremamente diffuso che appartiene a tutti.