I dieci anni di "Smetto Quando Voglio": storia di una rivoluzione e di una generazione

Più di dieci anni fa nelle sale arrivava il primo capitolo della trilogia di Smetto Quando Voglio. E fu, per molti versi, un momento estremamente importante per il cinema italiano contemporaneo. Sydney Sibilia, regista e sceneggiatore con Valerio Attanasio e Andrea Garello, aveva intuito qualcosa: il grande schermo poteva dialogare con il piccolo e certi elementi – come la fotografia, la color, l’impostazione stessa del racconto – potevano non solo essere ripresi ma addirittura sviluppati. Erano gli anni di Breaking Bad e di una nuova ondata di successo per la serialità e il pubblico, ancora una volta, stava cambiando. Sibilia però non si allontanò molto dalla struttura della commedia più tradizionale. Quello che fece, e che funzionò, fu prendere qualcosa che tutti conoscevano e cambiarlo senza stravolgerlo. Eccola, la grande rivoluzione: guardare al futuro, a quello che può ancora essere, senza tuttavia dimenticare ciò che è stato già detto e fatto. Sibilia, all’epoca, aveva poco più di trent’anni e anche questo, se vogliamo, era un segno di novità. In Italia l’età media dei registi esordienti è sempre stata alta, più o meno intorno ai quarant’anni; solo più recentemente – dal pre-pandemia in poi, più o meno – non è più così. L'ascesa di una nuova generazione Insieme a Sibilia e a Matteo Rovere, il produttore del film con Domenico Procacci, nella stanza dei bottoni entrava finalmente una nuova generazione di artisti e autori, cresciuti con il cinema hollywoodiano degli anni Ottanta e con un’idea diversa – e non per questo alternativa – d’intrattenimento. Smetto Quando Voglio faceva tutto nel modo giusto. Anche il tema, che era un po’ il punto di partenza di ogni cosa, del racconto, dei personaggi, della stessa messa in scena, intercettava perfettamente uno dei grandi temi dell’epoca – ma in realtà, vista la sua pregnanza, uno dei grandi temi di sempre. E cioè la fuga di cervelli. I protagonisti I protagonisti del film – interpretati da Edoardo Leo, Stefano Fresi, Valerio Aprea, Paolo Calabresi, Libero De Rienzo, Pietro Sermonti e Lorenzo Lavia – sono laureati, ricercatori e dottorandi che non riescono a vivere del loro lavoro e che spesso, proprio perché estremamente qualificati, non riescono a trovare nemmeno un impiego. Sibilia giocava con le contraddizioni di una società vecchia e legata alla burocrazia come l’Italia e sapeva esattamente su cosa e chi soffermarsi. Per risolvere i loro problemi, i protagonisti decidono di sviluppare una nuova droga e di rivenderla. Ne hanno le capacità, dopotutto. E che cosa sarà mai il mondo criminale rispetto a quello universitario? Davanti a questo paradosso, Smetto Quando Voglio era in grado di tenere insieme il genere, le prove attoriali, la scrittura, una certa visione artistica e formale; aspirazioni più o meno internazionaliste e la voglia sopra a qualunque altra cosa di fare bene. La risposta del pubblico Smetto Quando Voglio è arrivato quasi all’improvviso, in modo inaspettato. E nel giro di relativamente poco tempo ha saputo battere le aspettative del box office. Il pubblico voleva qualcosa di nuovo, qualcosa di differente; soprattutto però era il pubblico più giovane, tra i venti e i trent’anni, a volere un film capace di rappresentare la realtà in tutte le sue sfaccettature. Sia da un punto di vista puramente contenutistico, e non è poco. Sia dal punto di vista dei riferimenti e delle citazioni . Il dialogo con Breaking Bad All’inizio abbiamo parlato di Breaking Bad: la fotografia di Vladan Radovic, così acida, piena e calda, restituiva in modo piuttosto preciso, così come succedeva nella serie creata da Vince Gilligan, un’idea di spazio e di racconto. Certo: le somiglianze più evidenti sono sempre state quelle tematiche, ma Sibilia ha avuto l’accortezza di andare oltre, di non accontentarsi e di costruire – in tempi non sospetti, tra l’altro – una vera e propria saga cinematografica. Perché tra le tante novità di Smetto Quando Voglio c’è stata anche questa: immaginare una storia più ampia, divisa in capitoli, capace di parlare e di parlarsi nel corso del tempo e degli anni, e sicuramente non ferma a una concezione vecchia e oramai obsoleta di industria. Una questione di linguaggio La rivoluzione di Smetto Quando Voglio, insomma, si è divisa rapidamente su più fronti: artistico, registico, interpretativo e produttivo . Sibilia veniva dal cortometraggio e dalla pubblicità; si era fatto le ossa lavorando con produzioni più o meno grandi, imparando velocemente l’essenzialità del mestiere: cosa tenere, come montare; in che modo sintetizzare un linguaggio chiaro e facilmente riconoscibile. Gli attori che ha scelto sono attori che avevamo già visto altrove, in altri ruoli. Eppure, incredibilmente, in Smetto Quando Voglio sembrano diversi, nuovi, persone e artisti differenti. Smetto Quando Voglio: da film a fenomeno Leo si è piegato intelligentemente all’idea del protagonista che vuole cambiare la sua vita ma che, allo stesso tempo, ne è prigioniero. Fresi ha saltato e si è alternato tra mille registri. De Rienzo, con il carisma della sua interpretazione, è stato in grado di trasformare i gesti più piccoli – come fumava lui, probabilmente, nessun altro – in gesti eclatanti. E poi c’erano Calabresi e Sermonti, Aprea e Lavia capaci di giocare con i toni e con le battute, passando dal paradosso più puro della commedia e arrivando a un realismo quasi serioso e più realistico. Lo sguardo di Sibilia era uno sguardo fascinoso e intrigante, e non per questo meno attento ai particolari e ai movimenti di macchina. Smetto Quando Voglio si è imposto come fenomeno ed è diventato velocemente qualcos’altro: una possibilità per il cinema italiano di fare bene nonostante tutto, di fare bene con quello che si ha, di fare bene per il piacere di fare bene – i soldi, se arrivano, arrivano solo in un secondo momento; prima c’è il pubblico. Smetto Quando Voglio ha segnato un momento preciso prima dell’arrivo di altri film come Lo chiamavano Jeeg Robot, Veloce come il vento, Suburra e Non essere cattivo. Ha ribadito, per l’ennesima volta, la forza del genere. Che non va interpretato nella sua accezione più americana e spettacolare , ma sfruttato come mezzo, come tramite, per dire qualcosa. Il cinema di Sibilia Per Sibilia, e i suoi film successivi lo dimostrano ampiamente, la spettacolarità del cinema – inteso come esperienza in sala – è sempre stata fondamentale. Di più: è sempre stata centrale nella costruzione stessa del racconto. Ogni cosa, a partire dalla scrittura, dal taglio delle inquadratura, dal ritmo che si ottiene scena dopo scena, deve contribuire attivamente al suo raggiungimento. Lo spettatore deve sentirsi coinvolto, non costretto: due concetti solo apparentemente simili che troppo spesso finiscono per essere confusi. La lezione de trarre Di grandi eventi cinematografici, nel nostro paese, ce ne sono stati diversi. E continuano a essercene. La cosa importante, però, è un’altra. Non la loro unicità o la loro eccezionalità. La cosa importante è ciò che, con il loro esempio e il loro percorso, possono insegnarci. Nel caso di Smetto Quando Voglio, parliamo di una saga italiana che si è rivolta direttamente, e non per pura coincidenza, a un pubblico che prima di allora veniva difficilmente preso in considerazione. E questo è fondamentale non solo ribadirlo, ma pure provare ad analizzarlo e a capirlo nella sua essenzialità. Con Smetto Quando Voglio, forma e contenuto sono andati a braccetto, fianco a fianco, affermando una volta per tutte la loro interdipendenza.

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