Marilù Oliva riscrive i poemi in chiave femminista: “Non è cancel culture”

Uno dei primi a farlo fu un uomo. Nel 1955 Robert Graves pubblicò “Homer's Daughter”, “La figlia di Omero”, immaginando che a scrivere l’Odissea fosse una giovane siciliana. Attraverso lo sguardo dell'affascinante e lucida Nausicaa, Graves narrò le vicende del mondo post-troiano. Non era certo un femminista. Piuttosto un intellettuale folgorato dalle teorie di Samuel Butler, il critico iconoclasta che avanzò la tesi dell’Odissea scritta da una Lei. L’esigenza di dare voce alle donne dei poemi epici è cresciuta con il femminismo, accompagnando generazioni di autrici. Da un lato il desiderio di liberarle dall’oppressione e dal castigo a cui sono sottoposte nell’Iliade, e dall’altro lasciar esplodere nei loro mille colori le protagoniste dell’Odissea, dotate di un potenziale maggiore. Proprio negli anni in cui la statunitense Madeline Miller ribaltava in senso antimachista l’Iliade con “La canzone d’Achille” e si preparava a ridare nuova luce a “Circe”, Marilù Oliva, scrittrice bolognese amata soprattutto per i suoi noir, è diventata la capofila italiana di questo movimento internazionale. Ha pubblicato con Solferino “L’Odissea raccontata da Penelope, Circe, Calipso e le altre” , “L’Eneide di Didone” e "L'Iliade cantata dalle dee" . Questi tre libri fanno parte della sua trilogia epica in chiave femminile. Quando ha capito che non bastava rileggere i classici? Lo definirei un passaggio graduale. Già il fatto che i classici siano stati sempre trattati e riletti mi è servito. Penso all'Iliade di Baricco che risale a una dozzina di anni prima del mio esperimento iniziale. Ho girato attorno a Omero per diverso tempo, perché insegno lettere al liceo, quindi lo frequentavo con i miei allievi. Proponevo loro parti riscritte e semplificate. Un bel giorno la mia agente mi suggerì di radunare tutto quel materiale e trovare una prospettiva nuova. La lettura delle riletture dei classici mi è stata d’aiuto, mi ha infuso coraggio. Fondamentali sono state la “Creusaide” di Magda Szabó e la “Cassandra” di Christa Wolf, spiccatamente femministe. Sapevo di essere in ottima compagnia. Perché sentiamo l’esigenza di ritornare al mito e di riplasmarlo? Abbiamo sempre attinto al mito, perché ci fa sentire a casa nostra. Spesso però una parte di noi si rifiuta di accettarlo così com’è, perché è aberrante, penso a Edipo, e ingiusto. Quante volte abbiamo pianto per la sorte del Minotauro? Per questo ho cambiato il suo finale scrivendo un libro per bambini con mio figlio Matteo, “Il viaggio mitico”. Abbiamo sempre avuto compassione per questa creatura metà ragazzo e metà toro, perché il mito arriva sempre da un barlume di realtà. Non esiste una favola inventata al cento per cento. Possiamo immaginare che sia davvero nato a Cnosso un ragazzo con qualche deformità e che sia stato per questo nascosto, anche se sappiamo che il labirinto non è mai esistito. Con l’espressione labirinto si alludeva al Palazzo Reale che era sovrapposto su vari piani, un groviglio di strade intricate. Forse è stato davvero rinchiuso nel palazzo-labirinto fino a che qualcuno arrivato da Atene è venuto a ucciderlo. Anche questa uccisione significa qualcosa: Teseo rappresenta Atene e uccidendolo interrompe la soggezione di Atene nei confronti di Creta. Noi però ci siamo soffermati su questa creatura abbandonata, cresciuta in completa solitudine, scartata dalla comunità e tradita dalla sorella. Il Minotauro viene ucciso quando è disarmato, quindi in una posizione di debolezza. E così ho voluto cambiare il finale e salvarlo. Penso che nel corso dei secoli qualche mamma che raccontava favole-miti lo avrà fatto prima di me. Noi abbiamo un legame profondissimo con il mito e quindi ci torniamo sempre. Che aspettative aveva quando ha dato alle stampe il primo della trilogia femminista? Madeline Miller è uscita nelle librerie italiane nel 2019. Io nel 2019 avevo già scritto l'”Odissea raccontata da Penelope, Circe, Calipso e le altre” e non sospettavo il successo che avrebbe avuto. In quei mesi, il manoscritto girava per le case editrici, perché il mio editore di allora l'aveva rifiutata. Il mio esperimento è stato molto audace, perché il mito non andava ancora così di moda . Pensavo andasse malissimo perché il mercato crollava a causa del Covid, invece è diventato bestseller e longseller e continua a essere sulla cresta dell’onda. Il libro di Miller, che ha appena menzionato, quasi 10 anni dopo dalla prima pubblicazione è diventato un caso su TikTok. Perché secondo lei? In quel momento c’era bisogno di evasione, la gente era terrorizzata dalla pandemia e dalla nuova situazione, immersa nella solitudine e nell'insicurezza. Ogni volta ci sono fattori che concorrono al revival della mitologia, però noi ruotiamo sempre attorno al mito, è la nostra stella. Non ha paura di definire la sua trilogia come “femminista”. Perché farlo in questo momento storico? Questo è un momento lucido di consapevolezza: il femminismo sta tornando alla ribalta e sta avanzando, ma c’è ancora strada da fare. Ho scelto il mito, perché è appannaggio maschile da secoli ed è per definizione centrato sugli eroi e sugli dèi, uomini che hanno potere sulle cose. È vero, ci sono anche dee meravigliose e libere, ma il capo di tutti è sempre Zeus, il capo delle acque è un altro uomo, Poseidone, e Ade guida il mondo sotterraneo, sempre personalità maschili. Ho pensato di far risaltare le donne fantastiche dietro al mito, donne che nei poemi restano sommerse. Perché partire dall’Odissea e finire con l’Iliade? Sono partita dall’Odissea perché è il poema più immaginifico, il mio preferito, quello dove confluiscono più generi letterari: c’è l’amore, l’avventura, il viaggio, l’horror. Ho fatto parlare le donne che hanno incontrato Ulisse. Ogni capitolo è scandito da una donna che parla: raccontano esattamente quello che c’è nell’Odissea e penso che questo sia il motivo per cui il mio libro è stato adottato nelle scuole e nelle università. Mi hanno appena contattato per tre tesi e per un progetto sull'Iliade. Questa fedeltà al classico mi ha premiata. L’omaggio al poeta originario è stato recepito perché racconto tutto quello che c’è nel poema di partenza, ma dal punto di vista delle donne. Iliade, Odissea e Eneide sono opere molto diverse e con caratteristiche peculiari. Come è cambiato il suo approccio? La mia Iliade è cantata dalle dee perché sono le uniche donne che in questo contesto di guerra cruento hanno un po’ di libertà d’azione, oltre la violenza. Nell’Odissea ho seguito Omero al cento per cento, ma nell’Eneide ho cambiato un dettaglio non indifferente: ho reso Didone la protagonista. È esistita realmente ed è stata una ragazza incredibile. Dico ragazza, perché parliamo di una ventenne. Il marito venne ammazzato dal fratello e lei fu costretta a fuggire con i fedelissimi di Tiro. Guidò lei la spedizione e fu per questo una donna “ecista”, capo di spedizione coloniale, che fonda una nuova città. Insomma, una situazione inedita. Questa ragazza deve aver avuto stoffa e coraggio, capacità decisionale e per questo la vedo come l'antesignana delle paladine dei diritti e delle militanti che ci hanno difeso da orde di uomini pronti a minimizzarci e a relegarci in un angolo. Didone non solo ha guidato la flotta, ma ha dovuto vedersela con i getuli locali che la sbeffeggiavano. Cosa la convinceva di meno della Didone virgiliana? Secondo voi una ragazza del genere può suicidarsi solo perché Enea se ne va? Per carità, sarà stato bello quanto volete, ma si sapeva fin dal principio che sarebbe stato di passaggio. Questa del suicidio è una finzione virgiliana. Mi spiego meglio: Didone ed Enea non avrebbero mai potuto conoscersi, perché Didone è vissuta quattro secoli più avanti ed è stato Virgilio, grande narratore, a farli incontrare e quindi anche a decidere la sorte di Didone. Ci ha fatto conoscere una donna furente, umorale, che non si sa controllare e che, appunto, impazzisce quando viene abbandonata. Ho voluto riscattarla e ho fatto sì che non si uccidesse. Per un escamotage che invento, prosegue al posto di Enea il viaggio e lo sostituisce. A parte questo, è davvero l’Eneide perché racconto tutto ciò che c’è nel poema. Mi sono presa una bella libertà in ogni caso e alcuni latinisti hanno storto il naso, altri l’hanno apprezzato. Il risultato è che il libro è andato in ristampa. Vede una qualche sotterranea potenzialità femminista nei classici? Nel mito e nei poemi epici, non c’è neanche la potenzialità femminista. Se ci sforziamo, possiamo dire che nell’Eneide c’è una onomastica femminile interessante e varia. Possiamo dire che la Sibilla Cumana è altrettanto interessante. Ma restano poemi strettamente maschili. Pensiamo proprio all’Eneide: Creusa scompare in modo triste, inghiottita nella notte di Troia. Di lei non sappiamo più nulla, sappiamo che deve essere fatta fuori, che a Enea spetta un nuovo destino e che quindi si sposerà con un’altra donna e che di Creusa, che le ha dato anche un figlio, non avrà più bisogno. Questa è una cosa che mi faceva arrabbiare anche da ragazza. Nell’Iliade ho deciso di darle il finale che meritava. Tutta l’impalcatura del libro si regge su una cornice: Creusa che parla all’inizio e alla fine. All’inizio chiede alle dee di raccontare la guerra di Troia e ci racconta cosa le è successo. Ovviamente specifico nelle note finali che è una mia licenza. In questo modo chi legge sa cosa è omerico, cosa è virgiliano e cosa è inventato. Nell’Iliade e nell’Odissea? L’Iliade ci racconta quanto patriarcato ci fosse in quella realtà, in cui le donne erano relegate in spazi circoscritti e incastrate nel ruolo di donna/madre, perché se eri moglie dovevi essere per forza anche madre, altrimenti non assolvevi al tuo dovere. I due testi fotografano una concezione asfittica e soffocante. Le donne sono poche e le troiane sono tutte collegate al dolore, madri che hanno visto figli morire e che hanno perso qualcuno, condannate a un eterno stato di lutto. Un capitolo a parte va aperto sulle concubine, cioè schiave sessuali. Qualcuno ha provato a ricamarci attorno immaginando che queste schiave si divertissero con Achille e Patroclo, ma non c’è davvero alcun divertimento: erano trofei, oggetti. Possiamo facilmente immaginare che venissero abusate quotidianamente da altri soldati, dagli intimi di Achille, dagli amici. Quella delle concubine era una condizione terribile. Patriarcato tanto, femminismo poco, ma c’è stata un’ipotesi molto interessante poi naufragata, secondo la quale l’Odissea sarebbe stata scritta da una donna. Io non credo, ma dobbiamo ammettere che le figure femminili dell’Odissea sono caleidoscopiche: Circe ad esempio è depositaria della conoscenza dell’uomo, ha il dono della trasformazione, di metamorfosi sugli altri, ha uno zoo che convive nei suoi palazzi. L’Odissea è la più “femminista” ma non sappiamo chi sia stato a scrivere, visto che Omero è un personaggio leggendario, forse mai esistito e i poemi omerici hanno viaggiato nell’aria, sono stati a lungo tramandati e poi fissati nell’Atene di Pisistrato del VI secolo a.C.. Non possiamo escludere che accanto a chi ha trascritto ci sia stata una donna, magari una suggeritrice. Mi piace pensarlo. Le operazioni di riscrittura suscitano sempre polemiche. Se poi la riscrittura è femminista o anticolonialista, ancor di più. Si è posta questo problema? Non vedo un rischio “cancel culture”, perché queste rivisitazioni sono sempre state fatte. All'inizio ero spaventata e per tanto tempo ci ho girato attorno. Scrivevo dei capitoletti e delle parti, quelle che proponevo in classe, ma non avevo mai pensato di proporlo come libro perché ero terrorizzata dalla reazione dei luminari che avrebbero potuto criticare il mio lavoro. A parte la riscrittura bellissima di Baricco che faccio leggere ai miei allievi, esistono un sacco di altri esperimenti riusciti. Aldo Busi ne ha fatta una bellissima del Decameron: ebbe la genialata di riscriverlo nello slang degli anni Novanta. Un’opera piacevolissima perché la lingua trecentesca con gli allievi è un po’ pesante. Eco ha riscritto in modo magistrale “I Promessi sposi”. Ecco, tutti esempi brillanti, ma bisogna ammettere che le riscritture in Italia sono molto maschili. Se a farlo è una donna, c’è maggiore scetticismo? Se certe cose le fa una donna, si può stare certi che saranno lì a cercare il pelo nell’uovo. E proprio quando ho riflettuto su questo mi è venuta la carica per mettermi al lavoro. Mi sono detta: “Voglio rompere la tradizione”. Anche le studiose Eva Cantarella e Maria Grazia Ciani avevano già sperimentato in questo ambito di riscrittura, ma parliamo di due professoresse universitarie, quindi due intoccabili. Io ho fatto un'operazione letteraria maschile, come donna, fuori dall’accademia, e per di più poco protetta, perché non frequento circoli, consorterie e confraternite. E ho un editore, Solferino, che è fantastico, ma non è legato a grandi catena di librerie e che quindi fatica di più. Possiamo o dobbiamo riscrivere i classici in chiave femminista? Il punto è che non dobbiamo necessariamente riscrivere i classici e farlo in chiave femminista, ma se lo facciamo dobbiamo far passare il messaggio che la prospettiva femminile è preziosa. Come ho fatto scrivere nella quarta di copertina: se Ulisse non avesse incontrato tutte queste donne, probabilmente sarebbe ancora in viaggio.