Lo scrittore americano Glenn Cooper: "Trovo l’Europa più affascinante"

Un archeologo laureato ad Harvard con il massimo dei voti, un medico infettivologo, un operatore umanitario nei campi profughi di Thailandia e Haiti, un capitano d’impresa in Massachusetts, uno sceneggiatore e un produttore cinematografico. Glenn Cooper è stato tutte queste persone prima di approdare alla letteratura nel 2009 con "The Library of the Dead", in italiano “La biblioteca dei morti”. Il suo manoscritto fu rifiutato 65 volte. Non abbastanza da scoraggiarlo. Anche per questo si è guadagnato la fama di "Indiana Jones" della narrativa contemporanea. Per il genere thriller in cui naviga e per il suo essere scrittore americano è perseguitato dal confronto con il collega Dan Brown. Preferire l'uno all'altro è una scelta di campo, un po’ ideologica. Quelli che scelgono Cooper lo fanno per la sua abilità nell'intreccio dei piani temporali, per quella che viene riconosciuta come una maggiore raffinatezza, per l’attenzione quasi giornalistica nei confronti dell'attualità tra utopia e distopia e, last but not least, perché non richiede al lettore uno sforzo fideistico. Insomma, meno esoterismo, più scenari. Il suo centro si è spostato progressivamente in Vaticano. "L'ultimo conclave", edito da Nord, da poco uscito nelle librerie italiane, è l'ottavo della serie di Cal Donovan, un professore di storia delle religioni di Harvard che si trova sempre più invischiato negli affari della Chiesa e nell'amicizia con suor Elisabetta, la prima donna nella storia a ricoprire il ruolo di Segretaria di Stato della Santa Sede. Sì, "Segretaria" al femminile. Fa un certo effetto, no? Lo abbiamo incontrato a Milano pochi minuti prima di un affollatissimo firmacopie. Cooper ha venduto in Italia quasi quattro milioni di esemplari e ha la reputazione di scrittore friendly. Decine e decine di fan brandiscono le copie dei suoi romanzi - con qualche arretrato perché in Italia non tornava da sei anni - e da lui non si aspettano solo un autografo, ma una chiacchiera, un aneddoto, un’anticipazione sul prossimo romanzo e magari sul prossimo futuro. Come nascono le sue storie? Le mie storie nascono da un profondo desiderio di intrattenere i miei lettori prima di tutto, ma, oltre all'evasione, mi sforzo di offrire loro un punto di vista inaspettato sulle cose. Lancio delle provocazioni, spingo chi mi legge a interrogarsi su questioni universali, sul perché siamo qui. Ci sono delle domande che ritornano nei miei libri: che controllo ha il fato sulle nostre vite, come interagiscono fede e scienza? Come definirebbe questo genere? Scrivo thriller, ma amo definirli "thought-provoking thriller", cioè thriller che fanno riflettere sul presente. L’America nei suoi romanzi è sempre più lontana. Dobbiamo aspettarci un ritorno a casa? Ormai ho capito che il mio cuore di scrittore è in Europa. Trovo che l’Europa sia molto più affascinante degli Stati Uniti che sono troppo giovani e ancora grezzi. Io preferisco la storia, l’antichità e le tradizioni. In che epoca rinascerebbe, se potesse scegliere? Penso che se potessi sceglierei l’Inghilterra elisabettiana, per vedere Shakespeare al Globe Theatre, per camminare nelle strade di Londra. Sarebbe il mio ideale, il mio Nirvana. L’elemento religioso ha preso gradualmente il sopravvento nei suoi libri. Perché questa "conversione"? Sono molto interessato alla storia d’Europa. E se sei interessato alla storia d'Europa devi per forza fare i conti con il ruolo che la Chiesa e il Vaticano hanno giocato. Scrivo storie ambientate nel presente, legate a eventi del passato che hanno ancora risonanza nell’attualità. Il Vaticano è un posto meraviglioso per ambientare delle storie. Ci sono dei riflessi dell’attuale pontificato ne "L'ultimo conclave"? Non c’è Papa Francesco come personaggio, probabilmente non sarà mai uno dei miei personaggi, ma c’è qualcosa di lui in molti dei papi di cui parlo. La sua umanità e la sua capacità di creare un terreno comune mi hanno sempre colpito. Non ha paura dei "compromessi", nel senso positivo del termine, quindi di trovare dei "punti di incontro" tra posizioni distanti. In che fase si trova, secondo lei, l’Europa di oggi? In questo momento l’Europa è a un punto di svolta, come il resto del mondo. Siamo di fronte a una società polarizzata sia in Europa, sia nel mio Paese, gli Stati Uniti d’America. Ci sono persone che si schierano a destra e che si schierano a sinistra. E il centro, che quando ero più giovane era considerato il posto più rispettabile in cui stare e posizionarsi, è quasi scomparso. Questo mi preoccupa molto. Fonti di ispirazione? Magari italiane? Una ce l'avremmo in mente… Penso che non ci sia altro autore che mi abbia influenzato più di Umberto Eco. Quando da ragazzo lessi "Il nome della rosa", pensai che fosse incredibile che uno scrittore di tale livello accademico e letterario e di tale spessore intellettuale potesse scrivere un thriller così avvincente e popolare, un libro che tutti volevano leggere. Mi sono detto: "Bene, se lui lo ha fatto, magari un giorno ci riuscirò anche io".