Totò, l'erede di Don Chisciotte. Fabio Celoni: "Un lavoro durissimo"
LifestyleDopo due anni di attesa, il fumetto che mette su carta e in immagini il film mai realizzato da Totò è completo. Due anni di fatica e paura, che l'autore ha raccontato a Sky TG24
Un film che non diventa film e molti anni dopo si trasforma in fumetto. Il sogno di un grande attore diventato l’ossessione di un grande fumettista. Dopo una lunga e travagliata gestazione, e un intervallo lungo due anni tra il primo e il secondo tempo, Totò, l’erede di Don Chisciotte (due volumi con cofanetto, 224 pagine totali a colori, 39,90 euro) è finalmente completo. Ed è un’opera mirabile, complessa, piena di riferimenti, frutto di un amore e una dedizione sconfinati da parte del suo autore Fabio Celoni nei confronti di Totò e della materia. Un lavoro di recupero, sintesi e adattamento certosino, mirabile sotto l’aspetto della scrittura e sotto quello artistico, destinato a restare nella storia del fumetto italiano.
Rieccoci qua, due anni dopo, per il finale del tuo film-fumetto di Totò. Mi fa sorridere perché ormai al cinema l’intervallo sta cadendo in disuso, questo invece è stato anche piuttosto lungo…
Sì, è vero… e poi se a uno scappa la pipì non sa come fare… In realtà il mio intervallo è stato lungo, come anche la realizzazione del primo, perché nel frattempo, come mi capita sempre più spesso anche se cerco di evitarlo perché è molto stressante, ho fatto più cose insieme. Se non avessi avuto da fare, per esempio, Il destino di Paperone, il secondo tempo di Totò sarebbe arrivata prima. Poi volevamo portarlo a tutti i costi a Napoli, così ho dato precedenza ad altre cose e siamo riusciti poi a rientrare nei tempi facendo delle tirate notturne. È stato un lavoro molto impegnativo.
Che poi questo secondo tempo ha rischiato seriamente di essere perduto. O almeno ti eri convinto che andasse così. Ci racconti cosa è successo?
Il fumetto era praticamente finito, eravamo a neanche due settimane dalla stampa, e mentre lavoravo agli extra e scrivevo di questa maledizione di Don Chisciotte che ha colpito diverse opere a tema, mi stavo stupendo che malgrado la fatica e tutto quello che era successo ce l’avessimo fatta. E invece un giorno mi spariscono tutte le tavole dall’ipad. In maniera molto poco prudente avevo fatto dei backup nel corso del tempo ma erano versioni vecchie, tanto lavoro sarebbe andato perduto. Il programma ha crashato mentre lavoravo e la cartella coi file è sparita. Sono rimasto un quarto d’ora a fissare lo schermo con gli occhi a palla e a cercarla su Procreate. Ho chiamato mia moglie disperato, mi tremavano le gambe. Lei si è messa lì, è rimasta 20 minuti, tentando con una mano di cercare il file e con l’altra di bloccarmi mentre volevo buttarmi dalla finestra. A un certo punto sono sceso giù, non sapevo davvero che fare. Poi lei mi ha urlato di salire, sono tornato di corsa e tutto era di nuovo lì. Con l’ultimo crash del programma, la cartella si era schiacciata e compariva solo un file immagine, lei ha cliccato tutti i file immagine con pazienza uno a uno, fino a che si è aperta tutta la cartella che era scomparsa. Se non fosse andata così, forse, oggi tu saresti a gettare fiori sulla mia tomba.
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Però oggi è bello poterne ridere.
Bellissimo! Non ero mai arrivato a un tale punto di disperazione. Due anni di lavoro buttati è qualcosa di impossibile da accettare.
Magari ci farai un fumetto…
No, basta! Ho deciso di smettere coi fumetti! Troppo pericolosi, mi do alla Formula 1, a qualche cosa di più rilassante e che comporti meno rischi.
Se nel primo volume introducevi i personaggi e allo stesso tempo presentavi ai lettori storia, ambientazione e linguaggio, col secondo si entra nel vivo dell’azione. Come ti sei orientato nel proseguire l’avventura? Quanto di quello che abbiamo letto era presente nell’adattamento da cui sei partito e quanto invece è frutto del tuo lavoro di sintesi tra i mondi di Totò e Don Chisciotte?
Mi sono naturalmente basato su tutto il materiale che ho trovato a Cesena, mi pare fossero quattordici dello stesso soggetto, con varie aggiunte e modifiche. Ho fatto una sintesi tra queste e quando ho deciso di introdurre il personaggio di Fabrizi ho dovuto rimodificare parzialmente la storia proprio per far rientrare il carattere di Sancho Panza nella figura dell’attore. La versione originale del personaggio scritta dagli autori era molto diversa, era un furfante, e non si sarebbe adattata bene alla personalità cinematografica di Fabrizi che ha sempre avuto ruoli da tutore della legge. Ho realizzato uno storyboard completo per una storia che inizialmente doveva essere unica e solo dopo ho deciso di dividere in due tempi un po’ per praticità e un po’ perché all’epoca i film erano divisi così. C’è stata quindi una continuità naturale tra il primo e il secondo tempo, considerando che quando mi sono messo a letterarla ho cambiato moltissimo i dialoghi rispetto allo storyboard per renderli più fluidi e aderenti al disegno e avvicinarmi il più possibile allo spirito di Totò.
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Ecco, una cosa che mi ha colpito fin dal primo volume è il linguaggio. Tu stesso spieghi che i dialoghi nel trattamento che hai trovato erano appena abbozzati. Hai fatto un gran lavoro per unire la lingua di Totò e il tono più aulico del romanzo picaresco. Come ti sei mosso?
Era la differenza che Totò aveva al cinema rispetto agli altri attori e personaggi, è la lingua di Totò. Nei soggetti non erano indicati dei dialoghi ma nel trattamento sì. C’erano parti con lunghi dialoghi che però a mio parere erano troppo elaborati, probabilmente un po’ risentivano del rispetto che gli autori provavano verso quel capolavoro della letteratura che è il Don Chisciotte. Volevano sicuramente dare un taglio molto alto malgrado ci fossero tante battute di Totò, che però era ancora quello degli anni ’40. Ho cercato un equilibrio tra quel Totò, che comunque doveva avere qualcosa di particolare, e il Totò che conosciamo noi. Anche perché difficilmente Totò, a parte con Pasolini, rispettava fedelmente un copione, spesso improvvisava su delle tracce. Quindi ho pensato che lo avrebbe fatto anche con Don Chisciotte e ho voluto rendere un dialogo un po’ più libero e fluido, renderlo più vicino al suo modo di esprimersi.
È difficile parlare come Totò?
Nel secondo volume avevo già lo spirito del primo e ho fatto meno fatica ad ascoltare la sua voce, ormai avevo trovato una sorta di equilibrio. Ho tentato di realizzare qualcosa a metà tra il dialogo cinematografico e quello fumettistico, uno più lungo e l’altro più stringato. Trovare una lingua che facesse un po’ da trait d’union.
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Parliamo dell’aspetto grafico. Come stile hai scelto un mix tra il realistico e l’umoristico, soprattutto nel ritrarre i volti più noti. Ma quanto è difficile disegnare un volto come quello di Totò, che già naturalmente era estremamente particolare, senza risultare eccessivamente caricaturali?
È stato difficile, più di quello che immaginavo. Tutti noi abbiamo in testa Totò, conosciamo la sua faccia che è particolare, quindi pensavo fosse facile da realizzare e sintetizzare. Invece mettendoci mano mi sono ritrovato a cercare per settimane una versione efficace che andasse bene in un fumetto, perché un conto è far funzionare una caricatura, un’immagine singola presa dal lato giusto, ma un fumetto funziona come un film, abbiamo la macchina da presa del disegnatore che gira intorno al personaggio, deve poter funzionare dall’alto e dal basso, da destra e da sinistra, con tutte le espressioni possibili. È stato più complesso di quello che immaginavo nonostante la mia lunga esperienza in campo umoristico. Ho cercato di fare una media tra il realistico e l’umoristico anche se pende più dal lato umoristico, non volevo che fosse realistico ma nemmeno una cosa troppo sintetizzata. Ho cercato uno stile che curasse molto i fondali con effetti tridimensionali, ombre, giochi di luce, colori. E i personaggi che si staccassero un po’ dalle modalità pittoriche del fondale, dipinti più a tinte piatte e più immediatamente leggibili rispetto allo sfondo. Ho studiato molto, per me era uno stile nuovo.
Il volto di Totò, così come quello di Aldo Fabrizi, si riconosce immediatamente. Per il personaggio di Consuelo a chi ti sei ispirato?
Mi sarebbe piaciuta qualche grande star dell’epoca di Totò, che aveva recitato con lui, una Sophia Loren o Dorian Gray. Ci ho provato ma eravamo molto compressi coi tempi e dopo i ritardi avuti con la scelta di trasformare Sancho Panza in Aldo Fabrizi, Panini ha detto no. Così, alla fine, il volto di Consuelo è un po’ un mix: una donna che potrebbe essere comparsa in un film di Totò ma senza un particolare riferimento.
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Trovo incredibile il lavoro che hai fatto col colore, con palette cromatiche dai toni che variano a seconda della scena e dell’atmosfera, passando da toni caldissimi ad altri più freddi. Un colore, tra l’altro, sempre molto vivo e acceso. Come ti sei orientato in questa scelta?
È stato un po’ un tirarmi la zappa sui piedi da solo, perché lavorare su un colore così complesso mi ha portato via ancora più tempo rispetto a farla in bianco e nero come inizialmente volevo fare pensando al Don Chisciotte di Gustave Doré. Quando ho scoperto che il film doveva essere a colori, il primo film a colori della storia del cinema italiano, ho cambiato idea. Ho lungamente sperimentato per cercare uno stile cromatico e ho cercato di avvicinarmi a livello di impatto a quello del technicolor degli anni 50 e 60, con questi colori molto carichi, per ottenere qualcosa di molto forte dal punto di vista emotivo.
Considerando tutta la fatica che ti ha portato, mettendola a bilancio con la soddisfazione di un’opera tanto complessa e sentita, la domanda è d’obbligo: lo rifaresti?
Ahahahahah! Non c’è una domanda di riserva? Ti dico solo che se effettivamente quei file fossero andati davvero perduti e qualcuno mi avesse impedito di buttarmi dal Pirellone, sarei stato costretto a rifarlo. Perché avevo un contratto, certo, ma anche perché mi conosco e so che dopo i pianti di mesi mi sarei messo davanti allo specchio e mi ci sarei costretto. Ma non so con che animo lo avrei fatto, perché la fatica è stata immane. Creare un’opera è una cosa talmente unica che il solo pensiero di rifarla mi fa stare male, e parlo anche solo di una singola immagine, di una sola tavola. Tutte le creazioni artistiche nascono da una spinta dell’anima, dai pensieri e dai sentimenti di quell’attimo; copiarle e rifarle le snaturerebbe del tutto. Quindi sono felicissimo di averlo fatto, appena sono arrivati i volumi li ho messi davanti alla statuina di Totò che ho a casa ma no, non lo rifarei.