Trevi: “Gli oggetti sono conchiglie che custodiscono la nostra identità”

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Filippo Maria Battaglia

Filippo Maria Battaglia

©IPA/Fotogramma

Nel suo ultimo romanzo, "La casa del mago", lo scrittore ha deciso di raccontare il padre a partire proprio dai suoi oggetti. E durante "Incipit", la rubrica di libri di Sky TG24, dice: "Tutti noi abbiamo cassetti pieni di cose che non useremo mai più, ma in pochissimi si azzardano a gettarli. Sembra assurdo, ma in realtà credo che questa resistenza nasca dal fatto che molti degli oggetti che affollano la nostra quotidianità contengano una parte della nostra storia"

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 Il libro di cui parliamo questa settimana si intitola "La casa del mago" e il mago è un uomo enigmatico, un cubo di Rubik sorridente e baffuto che "bisognerebbe rinchiudere in una bolla di plastica trasparente". Quel mago in realtà era uno psicoanalista, uno dei più noti e apprezzati del dopoguerra italiano. Si chiamava Mario Trevi ed era il padre dello scrittore e critico Emanuele che a lui ha dedicato il suo ultimo  libro (Ponte alle Grazie, pp. 256, euro 18). 

"Più che scrivere un romanzo su di lui, ho pensato di fare una specie di catalogo ragionato, come se idealmente stessi organizzando un museo", racconta Trevi nella nuova puntata di "Incipit", la rubrica di Sky TG24

E proprio a proposito dell'importanza degli oggetti dice: "C'è una strana tendenza dell'uomo moderno a non buttare un sacco di cose che non gli servono. Tutti noi abbiamo in casa cassetti pieni di cavi e di vecchi cellulari che non useremo mai più, ma in pochissimi si azzardano a gettarli. Sembra assurdo, ma in realtà io credo che questa resistenza a staccarci dagli oggetti nasca dal fatto che contengano una parte della nostra storia. Sono come delle conchiglie il cui mollusco è la nostra stessa identità".

Nell'intervista Trevi racconta l'importanza della costanza nella scrittura ("è una questione di metodo e di applicazione, ed è molto meno romantico di quello che si potrebbe pensare") e la necessità di trasformare sulla pagina "un'annotazione psicologica in qualcosa di plastico":  "Da bambino - dice sempre Trevi - mio padre per me era una schiena  perché aveva un'inconfondibile abitudine: non si voltava mai.  Ecco, se io nel racconta descrivo quella schiena, metto il lettore in grado di immaginare una situazione psicologica. Se scrivo invece semplicemente che era distratto, scelgo una parola astratta su cui il lettore può caricare significati troppo vaghi".

 

L'intervista è disponibile anche come podcast in tutte le principali piattaforme cercando la rubrica "Tra le righe" o selezionando l'episodio nella playlist che si trova qui sotto.

 

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