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L'equilibrio delle lucciole, la metamorfosi dell'umano di Valeria Tron

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Sabrina Rappoli

Due anni di gestazione, quattro mesi di stesura e l'insistenza di Mariagrazia Mazzitelli - direttrice editoriale di Salani - che le diceva: tu devi scrivere. E' nato così il primo romanzo di Valeria Tron

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“L’incontro con le persone mi gratifica. Ovunque io vada mi sento a casa, perché mi rendo conto che la curiosità, lo stupore e la gentilezza mi portano a casa. Ci sono le materie umane e sensoriali che mi fanno sentire a casa e in ballo c’è il fatto che dobbiamo abbattere degli stereotipi rispetto a chi vive a contatto con la terra".

Parla così, la cantautrice Valeria Tron, che con Salani ha da poco pubblicato “L’equilibrio delle lucciole”, il suo primo romanzo.

 

Partiamo dal titolo: perché "L'equilibrio delle lucciole?"

 

Ci sono almeno due chiavi di lettura che mi piace riportare, rispetto al titolo. La prima è il fatto che questa cosa che viene raccontata, è una metamorfosi dell’umano, della nostra interiorità e la lucciola è per eccellenza l’insetto che rende più visibile la sua metamorfosi. La lucciola sta lì per anni e poi esce dal suo tumulo ed esce fuori con la luce e lo fa per amore. Noi siamo costretti in un bivio, a volte, non riusciamo a esprimere la nostra luminosità; smettiamo di crederci luce. Compiere una metamorfosi significa illuminare la nostra vita e quella degli altri. Ritrovare un equilibrio interiore è necessario per ritrovare la nostra luce, il nostro centro.

La seconda chiave di lettura risponde un po’ a un uomo che ho stimato tutta la vita, Pier Paolo Pasolini. Non l’ho mai conosciuto, purtroppo, ma lui parlava del filo sottile al quale erano appese le vite di certe persone, di quelle micro culture che avevano un ancoraggio alla terra, che si affidavano alla terra.Alcune lucciole ci sono ancora e dobbiamo lasciarle libere di esprimersi, anche in un tempo in cui c’è assuefazione mediatica e non potrebbero brillare, ma queste culture possono ancora cantare se si lascia loro un ambiente buono, pulito.Sono chiavi di lettura diverse, ma che servono per dare un tono, un colore, una base cromatica al libro.

 

Da dove è nata l'urgenza di scrivere "L'equilibrio delle lucciole?"

 

Tutta la mia vita, i miei canali creativi, si basano sull’urgenza comunicativa, in risposta ai dolori e alle difficoltà della vita, sono tentacoli creativi.

Questo romanzo, ebbene, lo devo all’intuito e alla perseveranza di Maria Grazia Mazzitelli, di Salani. Sono stata incoraggiata da lei a scrivere, la mia vita è un racconto breve, è nell’urgenza della poesia, della musica. “L’equilibrio delle lucciole” nasce dalla sua grande capacità intuitiva e dal suo istinto. Io ho voluto provare a scrivere un romanzo, perché io vivevo di urgenze e l’ho fatto nell’unico modo che conoscevo, da selvatica quale sono, come un torrente. Dopo 2 anni di gestazione e 4 mesi di scrittura, le lucciole si sono palesate.

Scrivo al buio, perché la mia immaginazione è enorme ed è l’àncora che mi ha salvato la vita. L’immaginazione mi faceva partecipe di tutta la scenografia, dei movimenti di Nanà, soltanto il buio riusciva a colorare la mia storia. Ho editato da me ciò che avevo scritto e tutto il di più che c’era l’ho dovuto limare di un centinaio di pagine.

E’ entrato il Patois, la mia lingua che deriva dal francese antico, in punta di piedi, in modo che si prendesse una confidenza, come quando conosci qualcuno. Valeria ha conosciuto Valeria, nella sfida di imparare e mettermi in gioco ed esprimermi per ciò che sono.

Il mio libro arrivava in Salani prima in audiolibro e poi in forma scritta. Rileggendomi potevo così avere il filo musicale per entrare in sintonia con la parola scritta e per capire se avevo unito tutte e due le lingue - italiano e Patois - in maniera armonica. Un libro che in Salani hanno ascoltato prima ancora di vederlo scritto.

Vivo con una sorta di necessità musicale anche nel disegno o quando lavoro il legno. Mi guidano la musica, il ritmo. C’è ovunque la musica, nei miei ricordi, nella memoria, nella ricostruzione: tutto è musica. L’urgenza era quella di raccontare nuda la mia casa interiore e portare nuda la mia lingua, finalmente, sveltirla dal ruolo di lingua sofferente e ridarle un corpo moderno, attuale e contemporaneo.

Il Patois è un amico, una questione sensoriale istintiva, che mi riempie di gratitudine. Attorno a questo libro c’è molto affetto, nei confronti di questo libro, ed è allora che c’è risonanza vera tra me che l’ho scritto e i lettori: è il regalo umanamente più grande. Le persone ne percepiscono la musica e gli danno una forma. Questa è stata la sorpresa, anche se confidavo, in questo.

 

Qual e’ stata la sfida nello scrivere questo romanzo?

 

C’è stata una sorta di primo coraggio, cedere la gerla pesante che mi ero portata dietro, era la mia casa interiore. I personaggi sono i sentimenti che la formano, che formano la mia casa interiore. La sfida è stata riguardare dentro, profondamente, almeno per una parte, la mia vita. E’ stato come essere degna figlia di un minatore. La grande libertà della scoperta di aver fatto brillare la mia materia umane con mine e micce, per trovare una vena da consegnare e traghettare, una vena buona.

E’ stata un’ascesa e una discesa insieme, era un continuo scavare per liberarsi, per veleggiare, come con una vela robustissima che mi permetteva di affidarmi totalmente.

E’ una scrittura a fiume, lenta e aperta ed è un libro dove c’è onestà e una verità indubitabile, che è l’atto creativo. Anche nello scrivere non ho badato a spese, non ho messo filtri e non ne ho, nell’atto creativo.

 

IL LIBRO

 

Ogni punto di partenza ha bisogno di un ritorno. Per riconciliarsi con il mondo, dopo una storia d’amore finita, Adelaide torna nel paese in cui è nata, un pugno di case in pietra tra le montagne aspre della Val Germanasca: una terra resistente dove si parla una lingua antica e poetica. È lì per rifugiarsi nel respiro lungo della sua infanzia, negli odori familiari di bosco e legna che arde, dipanare le matasse dei giorni e ricucirsi alla sua terra: ‘fare la muta al cuore’, come scrive nelle lettere al figlio. Ad aspettarla – insieme a una bufera di neve – c’è Nanà, ultima custode di casa, novant’anni portati con tenacia. Levì, l’altro anziano che ancora vive lassù, è stato ricoverato in clinica dopo una brutta caduta. Isolate dal mondo per quattordici giorni, nel solo spazio di quel piccolo orizzonte, le due donne si prendono cura l’una dell’altra. Mentre Adelaide si adopera per essere utile a Nanà e riportare a casa Levì, l’anziana si confida senza riserva, permettendole di entrare nelle case vuote da tempo, e consegnandole la chiave di una stanza intima e segreta che trabocca di scatole, libri ricuciti, contenitori e valigie, in cui la donna ha stipato i ricordi di molte vite, tra uomini, fiori, alberi e animali, acqua e tempo. Una biblioteca di esistenze, di linguaggi, gesti e voci, dove ogni personaggio è sentimento, un modo di amare. Fotografie, lettere, oggetti che sanno raccontare e cantare il tempo: di guerra e povertà, amori coltivati in silenzio, regole e speranza, fatica e fantasia. Un testamento corale che illumina le ombre e le rimette in equilibrio. La bellezza intensa che respira oltre la vita e rimane in attesa di parole. Tuffarsi nella memoria significa avere il coraggio di inventare un altro finale e vivere oltre il tempo che ci è stato concesso, per ritrovare il luogo intimo di ognuno. La casa.

 

BIOGRAFIA DI VALERIA TRON

 

Valeria è nata in Val Germanasca, dove vive per buona parte dell’anno. Cantautrice, è stata finalista al Premio Tenco. È illustratrice, mediatrice culturale e artigiana del legno. L'equilibrio delle lucciole è il suo primo romanzo.