La nuova graphic novel dell'autore toscano, uscita nel 2016 per il mercato francese, arriva in Italia pubblicata da Saldapress. È la storia di una comunità che riesce a sottrarsi a un conflitto globale chiudendosi in sé stessa. Ma dietro quello che sembra essere un sogno di pace, si cela una realtà decisamente meno idilliaca
Un’Isola di pace in un mondo in guerra. Sembra un’utopia dentro una distopia Isole, il nuovo libro a fumetti di Lorenzo Palloni pubblicato in Italia da Saldapress (128 pagine, 19,90 euro). Anche se in realtà, forse, è una distopia dentro l’utopia. La storia di una comunità che riesce a proteggersi dal mondo esterno e dalla sua violenza isolandosi, creando una società perfetta. Ma le società perfette non esistono e ogni favola ha la sua polvere da nascondere sotto il tappeto. Isole, uscito per il mercato francese sei anni fa, arriva in Italia in un momento in cui la guerra è tornata tristemente al centro della cronaca quotidiana. Una casualità che in qualche modo ne accentua ulteriormente l’urgenza.
Un’utopia dentro una distopia. Che poi, in realtà, tanto utopia non è…
Esatto. Secondo me la cosa bella dei generi è che esistono per essere superati, non per essere schiavi di un mercato. Sono delle linee guida, suggerimenti, codici che servono soprattutto per riflettere. Isole è questo, una distopia dentro un’utopia e anche viceversa, un modo di riflettere su un tipo di società che è fattibile nel mondo che stiamo raccontando ma non completamente, serve un genere ben preciso per raccontarlo che è il noir sociale.
Un genere in cui sembri trovarti molto a tuo agio.
Se potessi farei solo noir, lo adoro, poi faccio anche tante altre cose. Qui volevo prendere il noir e metterlo in un contesto non noir, per storia e per l’utilizzo della luce. La cosa principale però era raccontare una storia con regole precise, di mistero, fare in modo che il lettore scoprisse la distopia dentro l’utopia un po’ alla volta, in modo che risaltassero più le regole infrante e quelle mai dette di questa società. Uno dei grandi temi dei miei libri è l’ipocrisia sociale, parliamo di regole che spesso fanno comodo solo in determinati momenti e per determinate fasce della società. E l’ipocrisia e la menzogna sono una delle basi dell’utilizzo del potere.
Sembri un po’ cinico.
Lo sono, sì, ma ho studiato tantissima storia e i governi funzionano in questo modo. Una struttura sociale umana si basa su questo.
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Da dove viene l’ispirazione per Isole?
Viene da un mio libro del 2011, Gatti di Collodi, che ho fisicamente a casa mia in una copia. È un libro simile a questo, ambientato nella Maremma toscana del ’47, con un soldato americano che arriva nella Maremma toscana e mette in crisi tutte le regole della struttura sociale. Quando ho mandato questo libro al mio editore, mi ha detto che l’idea era buona ma mi ha proposto di renderla atemporale e universale collocando la storia su un’Isola non meglio identificata. Rifacendo testi e tavole è venuta una storia completamente diversa. Dal punto di vista sociale, invece, l’ispirazione era il razzismo, avevamo tantissimi sbarchi all’epoca.
E infatti l’armonia viene spezzata dall’arrivo di uno straniero. Che non a caso ha la pelle nera…
No, infatti, non è un caso. Sono tutti bianchi sull’Isola prima del suo arrivo. Noi ci diciamo una società tanto accogliente ma quando arriva qualcuno dall’esterno ci troviamo a mettere in dubbio questo valore. La nostra società è affetta da un razzismo sistemico, quello sull’Isola non lo è ancora ma lo sarebbe diventato se a quello sbarco ne fossero seguiti altri.
Poi c’è la guerra, che oggi riempie la nostra quotidianità come non ci capitava da tempo.
È un caso che il libro esca ora, l’ho fatto 6 o 7 anni fa. Con Saldapress lavoravamo all’edizione italiana da prima che scoppiasse la guerra in Ucraina ma la sua uscita è casualmente e tragicamente puntuale. Devo dire che nel libro la guerra è collaterale, mi serviva per creare un contesto di isolamento.
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Oggi si torna a temere un conflitto globale, con la riproposizione di dinamiche da Guerra Fredda. Davvero l’uomo non può conoscere la pace?
Stiamo vivendo uno scontro tra poli, ma anche tra visioni. Tra l’idea di una libertà semi vera, come quella occidentale, e di un uso indiscriminato della vita umana tipico di un totalitarismo come quello russo. È probabile che il conflitto sia la base della nostra esistenza oltre che della nostra evoluzione. Se ci pensi anche lo storytelling si basa sul conflitto, senza conflitto non c’è azione e senza azione non c’è storia. Forse è improbabile che l’essere umano sia in pace con niente e nessuno ma la mia idea è ancora più radicale: l’essere umano cerca sempre modi per non annoiarsi, e l’unico modo per non annoiarsi è confliggere in cose enormi o piccole. Anche il nuovo libro su cui sto lavorando, che si chiama Burn Baby Burn e uscirà in Francia per lo stesso editore di Isole, ha al suo interno il conflitto e parla delle rivolte razziali di Los Angeles.
Tra i temi toccati in Isole sembra esserci anche quello di uno scontro generazionale, di una incapacità comunicativa, di una voglia di rinnovamento. Ecco, in questo sembra che il tuo cinismo vacilli, quanto meno nella misura di un movimento verso il cambiamento.
Questo è verissimo. Si parla di evoluzione, i maestri devono essere mangiati, i figli devono superare i padri. Che poi questa operazione vada a buon fine non è detto, vedo pochi Paesi in cui accade e sono molto piccoli. Spesso litigo con la mia ragazza, che lavora in politica, sul fatto che la politica nel sistema globalizzato può solo fallire mentre nel piccolo funziona bene. Potermi permettere di far scricchiolare il mio cinismo in un contesto come quello di Isole dice tanto: perché questo io lo spero, vedo la voglia di cambiare le cose nei miei studenti. E deve esserci, altrimenti si crea un cortocircuito, che è quello in cui siamo dagli anni ’70, in cui le vecchie generazioni mantengono il potere. Spero di far scricchiolare ancora di più il mio cinismo nei prossimi libri.
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Senza voler fare troppi spoiler, Isole ha un finale per nulla consolatorio, è una storia che racconta di una violenza circolare. Non c’è speranza per l’umanità?
Intanto il finale è sempre rimasto un punto fermo anche quando ho fatto le modifiche necessarie per adattare il libro dal mercato francese a quello italiano. I finali sono la parte principale per uno storyteller, devi saperli dall’inizio e nel finale di Isole c’è il concetto di una impossibilità di trovare una vera strada per un equilibrio sociale completo. Volevo portare il conflitto in una società che rifiuta il conflitto. Un errore, qualcosa che non può funzionare, perché il conflitto è insito in noi ed è il motore della società. Invece lo si rifiuta anche quando è un conflitto di liberazione, anche quando si tratta di studenti che protestano per i propri diritti. Se escludiamo il conflitto sociale garantiamo il mantenimento dello status quo. Ma il compito della società è anche quello di tenere il conflitto sopito. Non possiamo fare a meno di entrare in conflitto ma dobbiamo in tutti i modi evitare di entrarci. Dobbiamo trovare il giusto equilibrio tra il conflitto è la necessità di pace.