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Gli Scarabocchi, Maicol&Mirco: "Nei miei fumetti il lettore è attivo"

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Gabriele Lippi

Disegni semplicissimi, estremamente stilizzati, una sola vignetta per ogni storia, poche parole ma ficcanti. L'Opera Omnia del fumettista marchigiano arriva al suo quarto volume con Crack. L'autore: "Non sono cinico né nichilista"

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La linea è essenziale, il disegno appena abbozzato, uno schizzo che sarebbe troppo persino definire stilizzato. Le parole sono poche ma il loro peso specifico è quello del piombo, le storie sono brevissime, durano una vignetta ciascuna. Sono Gli Scarabocchi di Maicol&Mirco, da anni presenza fissa su Facebook, dove contano 164.961 like nel momento in cui l’attacco di questa intervista viene scritto, giunti al loro quarto volume su carta, Crack, edito da Bao Publishing (192 pagine, 14 euro). Contundenti, commoventi, divertenti, dissacranti. Spiazzanti, spesso, sicuramente coinvolgenti. “Come tutte le opere minimali, lasciano molto spazio al lettore”, spiega l’autore Michael Rocchetti. 

Bao Publishing

Si ride, si riflette, ci si commuove

Quando leggo gli Scarabocchi non capisco se devo ridere, riflettere o sentirmi turbato…

Questa è una grande medaglia che mi appunto sul petto. Devo dire che sono le sensazioni che hanno provato anche le persone andate allo spettacolo teatrale, dove ho avuto il polso della reazione dello spettatore a differenza di quanto avviene col lettore.

Cosa facevano gli spettatori?

Molti ridevano sentendosi in colpa, o si commuovevano o turbavano su cose che poi erano estremamente comiche. Nei miei fumetti il lettore ha un ruolo attivo, non passivo. La maggior parte delle cose non sono disegnate ma accennate, quindi puoi mettere sulle vignette i volti e gli sfondi che vuoi. Lo stesso discorso vale per le parole: quando accenni piuttosto che definire, obblighi il lettore a completare la storia.

Una delle domande che avrei voluto fare è come nascono gli Scarabocchi, poi ho visto che la risposta sta a pagina 109. Evitiamo di spoilerarla?

Quella vignetta è anche un po’ autobiografica, almeno in parte. Pubblicare gli scarabocchi in linea cronologica mi serve per completare il percorso che ho fatto, i personaggi sono sempre diversi ma alla fine compongono una storia di cui io stesso sono all’oscuro. E questo perché si può scegliere cosa leggere, non cosa si scrive. Scrivi cose che ti escono dalle mani, dalla bocca e dal cervello in maniera piuttosto incontrollata. Ci sono autori che cercano di domare questo aspetto, io l’ho lasciato imbizzarrire del tutto, mi piace scomparire come scrittore.

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"Scrivo ovunque meno che sul tavolo da disegno"

Come funziona il processo creativo che porta alla pubblicazione di un volume di Scarabocchi?
Un po’ come quello delle altre storie che scrivo. Non parto mai con un soggetto definito, parto con un’idea e il finale lo scopro davvero solo al termine del percorso creativo. Mi piace molto perdere il controllo della scrittura, è come se svolgessi il ruolo di un notaio, prendo storie che le persone non conoscono e le metto su carta, seguo il volere dei miei personaggi che sono molto più divertenti e forti di me.

Cosa sono gli Scarabocchi per lei?
Qualcosa che è presente tutti i giorni, anche più volte nel corso della giornata. Non mi siedo mai a tavolino e scrivo per 10 minuti, persino la regola di pubblicarne uno al giorno me la sono data più per il piacere di avere un ritmo, senza che nessuno lo pretendesse. E devo dire che aver fatto 4 o 5mila vignette in qualche anno è raro senza nessuno che te lo impone. Qualunque situazione che vivo durante la giornata la traduco in storie, passo più tempo coi miei personaggi che con i miei familiari, scrivo dappertutto tranne che al tavolo da disegno. Su una panchina, per strada, al supermercato, poco prima di prendere sonno. Mi mando messaggi o appunto su carta l’idea nel momento esatto in cui mi viene.

Hai mai ricevuto critiche per le sue vignette?
In realtà quasi zero. Qualcuna, ma di solito chi mi ha criticato aspramente è diventato il mio più grande lettore. Probabilmente si capisce l’intento che sta dietro. Gli Scarabocchi vengono definiti come fumetti cinici, violenti, blasfemi, ma in realtà sono proprio il contrario. Usare un tema forte mi serve spesso per parlare di un tema dolce. Non è un fumetto nichilista finalizzato semplicemente a sconvolgere, anche perché quello è un effetto che funziona nel breve periodo ma si esaurisce in fretta. Per me non esistono temi che non si possono trattare, penso ci sia il modo giusto e quello sbagliato per raccontare qualunque cosa, non cose giuste e sbagliate da raccontare.

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"Personaggi crudeli e personaggi dolci, come nella realtà"

Insomma, non è cinico, e un po’ lo si intuisce dalle vignette dedicate al padre.
Sì, è un lavoro che va letto nel complesso. Alcune vignette sono devastanti, quella dopo ti fa affogare nelle lacrime per la commozione, è come stare su una sorta di montagne russe. Ogni vignetta ha una storia, il personaggio è diverso, ci sono quelli crudeli e quelli dolci, come nella realtà. Una definizione più precisa degli Scarabocchi, secondo me, è quella di Alessio Trabacchini, che per il secondo libro ha parlato di fumetti empatici: li leggi e spesso ti trovi in quei panni.

Dai libri per bambini ai contenuti per adulti, come si destreggia dentro questo suo eclettismo?
In realtà sono solo apparentemente cose estremamente diverse, ma nel meccanismo sono molto simili, se non uguali. I fumetti per bambini sono fatti con le forme vettoriali, quindi la velocità è la stessa degli Scarabocchi. Anche sulle storie secondo me non c’è molta differenza: sono semplici, vanno dal punto A al punto B in modo veloce. Ovviamente per i bambini mi metto dei paletti, ma me li metto anche per i grandi. I libri per bambini sono anche per i grandi, quelli per i grandi li potrebbero leggere anche i bambini, al netto di un linguaggio che non sarebbe proprio quello gradito da un genitore.

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