Il Pnrr aiuta la parità di genere? I dati dicono di no

Il PNRR avrebbe dovuto essere uno strumento di ripresa economica e sociale per l’Italia post pandemia, ma fin da subito sono mancati risultati concreti rispetto agli obiettivi di riduzione delle disuguaglianze, soprattutto perché per la sua attuazione non c’è un vero monitoraggio istituzionale completo e trasparente dei dati che potrebbero aiutare a rendere incisivi gli interventi finanziati con questi fondi. Lo chiedono a gran voce fin dalla pubblicazione del piano diverse associazioni coinvolti nel progetto “Dati bene comune”. Le attiviste dell’organizzazione Period hanno presentato al Senato lo scorso luglio il report #datipercontare: statistiche e indicatori di genere per un PNRR equo, con l’analisi degli ultimi dati disponibili, da cui emerge come l’obiettivo 5, quello specifico sulla parità di genere, è il meno finanziato in assoluto, non raggiungendo neanche un miliardo rispetto ai 194 miliardi totali dell’attuale PNRR . Raggiungere la parità di genere dovrebbe in realtà un obiettivo trasversale, ma oggi solo l'1,6% dei fondi totali è stato destinato a progetti mirati specificamente alle donne. Quali sono i dati che possiamo guardare I pochi dati disponibili per misurare la parità di genere sono stati usati da Period, in collaborazione con l’associazione onData, per creare una dashboard in cui includere gli oltre 170mila bandi: è emerso che il 65,6% è andato in deroga rispetto ai meccanismi di tutela per favorire l’inclusione di donne, giovani e persone con disabilità, mentre solo il 3,3% dei bandi prevede misure premiali di genere, e le deroghe sono state giustificate in modo spesso vago, compromettendo l'efficacia delle politiche di inclusione. Solo il 53% dei progetti prevede almeno un indicatore riferito al beneficio diretto su cittadini e cittadine, per un totale di otto: di questi, solo quattro sono disaggregati per genere ed età, uno solo per genere, mentre tre non hanno la disaggregazione né per genere né per età. Nel report viene fatto notare come l’indicatore più presente all’interno dei progetti, cioè quello che indica quanti sono “gli utenti di servizi prodotti e processi digitali pubblici nuovi e aggiornati", non è disaggregato per genere. Cioè non permette di sapere se a beneficiarne saranno uomini e donne in egual misura oppure no. Non c'è politica senza dati E come si portano avanti politiche contro la disuguaglianza senza dati? Non si può, e infatti il PNRR disattende ogni speranza da questo punto di vista. Nell’ultima dashboard pubblicata da Istat lo scorso 18 giugno non ci sono indicatori di genere che monitorano l’impatto dei progetti su argomenti cruciali, come ad esempio il numero di uomini e donne che beneficiano dell’accesso a case delle comunità e servizi di telemedicina o della riqualificazione di edifici di edilizia residenziale pubblica. L’ultima analisi a cura della Corte dei conti condivide alcune informazioni e dati inediti della piattaforma Regis, che è il sito attraverso cui le amministrazioni pubbliche possono compiere tutta una serie di operazioni per rispettare gli obblighi di monitoraggio, rendicontazione e controllo delle misure e dei progetti finanziati dal PNRR. Il report usa dei dati che però non sono accessibili pubblicamente, fa notare la fondazione OpenPolis. Possiamo comunque leggere che le misure rivolte a colmare i divari di genere e generazionale sono aumentate di 164 milioni di euro, soprattutto nei progetti legati alle politiche attive del mercato del lavoro, ma al tempo stesso sono stati ridotti molti altri progetti. Uno su tutti, proprio con grande impatto diretto sulla situazione occupazionale delle donne italiane, è stata la decisione di ridurre di oltre 1 miliardo di euro il piano asili nido. Come migliorare la parità di genere del PNRR “Il processo legato al monitoraggio del Pnrr e all’erogazione dei fondi deve essere guidato da un’ottica partecipativa”, dicono le attiviste di Period Think Tank, che da tre anni con l’avvio della campagna #datipercontare coinvolgono amministrazioni pubbliche comunali nel lavoro di raccogliere e disaggregare per genere i dati necessari a costruire una valutazione di impatto di genere nel quadro del Piano. È un primo passo per ottenere più trasparenza e dati migliori, anche con l’idea di colmare i divari territoriali nell’attuazione dei progetti. Nel documento presentato al Senato ci sono poi indicazioni specifiche sull’indirizzo dei finanziamenti, come la necessità di una riforma dell'edilizia residenziale pubblica e l'implementazione di politiche abitative specifiche per le donne e le minoranze, ma anche un'assistenza sanitaria di qualità, e interventi che riducano il carico di lavoro di cura delle donne, promuovendo un'occupazione femminile più equa e sostenendo servizi per la cura di anziani e disabili. In un Paese in cui il tasso dell’occupazione femminile è il più basso d’Europa - con il 55% di donne che lavorano rispetto a una media europea del 69,3% - sembrano indicazioni fondamentali.

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