Questa nuova figura professionale deve, tra l'altro, saper gestire il portafoglio dei progetti di innovazione e il relativo budget, favorire il cambiamento culturale, introdurre nuovi modelli organizzativi
L’innovation manager è il profilo professionale al centro dell’attenzione, anche grazie al recente decreto del Mise che ne definisce le caratteristiche e prevede un voucher a fondo perduto per consulenze. Sta progressivamente entrando nelle grandi imprese, che in un caso su tre hanno già inserito un innovation manager o una direzione innovazione, ma nel 76% dei casi è presente da tre anni o meno, segno che per la maggior parte delle imprese si tratta di un profilo ancora nuovo e da scoprire.
Sono alcuni risultati della ricerca degli Osservatori Digital transformation academy e Startup intelligence della School of Management del Politecnico di Milano, in collaborazione con PoliHub. Soltanto il 37% delle grandi aziende e il 32% delle aziende conoscono le misure contenute nel decreto del Mise e appena l’11% delle piccole e medie imprese ha intenzione di approfittarne (il 2% lo sta valutando). La maggioranza delle aziende non ha in programma di usufruire delle opportunità offerte dal decreto.
L’identikit dell’innovation manager
Secondo l’identikit tracciato dai responsabili innovazione, le mansioni principali dell’innovation manager sono valutare e selezionare nuove opportunità di innovazione di potenziali partner come startup e centri di ricerca, gestire il portafoglio dei progetti di innovazione e il relativo budget, favorire il cambiamento culturale, introdurre nuovi modelli organizzativi. Le competenze più importanti secondo le aziende sono leadership, capacità di motivare, ispirare i collaboratori e poi change management, per superare la sindrome del ‘si è sempre fatto così’. La principale difficoltà da superare è la scarsa propensione al cambiamento presente in molte aziende. La sua retribuzione oscilla tra 60.000 e 100.000 euro annui, con picchi oltre i 150.000 euro.
Operazione startup
Oltre sei grandi aziende su dieci vedono nelle startup un interlocutore per lo sviluppo di innovazione digitale. In particolare, il 35% già collabora con nuove imprese innovative, il 27% ha intenzione di farlo in futuro, mentre il 34% non manifesta interesse per il tema e il 4% ha collaborato in passato.
Nella maggior parte dei casi, le grandi imprese si servono di startup come fornitori spot (51%), ma una buona parte le usa come unità di ricerca e sviluppo (37%) e come fornitore di lungo periodo (30%). La startup può essere anche un partner commerciale, parte di un programma di incubazione, partner per la co-creazione di modelli di business, acquisita o partecipata in equity.
I principali benefici sono la possibilità di accedere a nuove tecnologie e conoscenze di frontiera, la possibilità di testare l’innovazione con un iniziale progetto pilota, con tempi e budget definiti e quindi rischi ridotti e l’opportunità di arricchire il proprio sistema di offerta e aprirsi a nuovi mercati. Le pmi sembrano meno pronte a collaborare con le nuove imprese innovative: l’85% non è interessato, l’11% sta programmando di farlo in futuro, solo il 4% ha già avviato collaborazioni. Per le pmi la startup è soprattutto un partner commerciale (20%) e un fornitore spot (14%) o di lungo periodo (12%).