Sulla denatalità non ci servono misure spot

È di qualche giorno fa la notizia che il numero dei nati nella prima metà del 2024 è stato di 178.000 unità e che per l’anno intero la previsione è di 374.000 unità. Sarebbe il sedicesimo anno di discesa continua nel numero dei nati, dopo un parziale picco di 576.659 unità nel lontano 2008 . Al tempo stesso, sembra che la prossima legge di bilancio conterrà un taglio di tasse per chi ha almeno due figli. Funzionerà a invertire la tendenza? Facciamo il punto della situazione rispetto alla questione della natalità. Il primo punto da chiarire è che il calo del numero dei nati ha due componenti: il primo riguarda il numero medio di figli per donna , il secondo riguarda il numero dei potenziali genitori. Il tasso di fecondità è attualmente di 1,2, valore molto basso, ma non inusuale. Il numero medio di figli per donna era intorno a 2,4 alla fine degli anni ’60. Quindici anni dopo, il tasso di fecondità era sceso a 1,4 e da allora ha sempre oscillato tra 1,2 e 1,4: nei primi anni ’90 era già sceso a 1,2 per poi riprendersi anche a causa del maggior numero dei nati nelle famiglie di immigrati. Questo porta a due conclusioni. La prima è che il crollo demografico non è frutto solo della crisi economica degli ultimi quindici anni. Certo, nel 2008 il tasso di fecondità era di 1,45, ma restava pur sempre basso. Il vero crollo è avvenuto negli anni ’70 e primi anni ’80, quando ancora il Pil italiano aumentava rapidamente. Quel crollo è probabilmente il risultato di fenomeni sociali più ampi, quali il cambiamento nel ruolo della famiglia tradizionale non adeguatamente compensato da servizi pubblici che facilitassero la riconciliazione tra lavoro e natalità. La seconda conclusione è che il crollo della natalità osservato dal 2008 è anche il riflesso dell’onda lunga del calo del tasso di fecondità e di natalità iniziato negli anni ’70: se 30 anni fa c’erano meno nati, dopo 30 anni ci sono meno potenziali genitori e, quindi, a parità del tasso di fecondità il numero dei nati scende. Il calo dei nati a partire dal 2008 è quindi il frutto anche del calo della natalità manifestatosi nel corso degli anni ’70 e ’80. C’è chi ritiene che il crollo della natalità non sia un problema. Non si nega che questo crollo vada evitato . Ma, si dice, dopo tutto la popolazione mondiale continua a crescere e un processo di immigrazione regolare potrebbe redistribuirla nei paesi che si stanno desertificando. Purtroppo però questa visione si scontra con le tensioni che si emergono da un cambiamento molto rapido dell’equilibrio tra “nativi” e “immigrati”. Inutile negare che il problema esista. Altrettanto irrealistica è però anche la posizione di chi pensa che il problema della desertificazione che l’Italia sta attraversando possa essere risolto solo dall’aumento del tasso di fecondità. Primo perché riportare il tasso di fecondità da 1,2 a 2 è un obiettivo proibitivo . Secondo, perché anche un aumento del tasso di fecondità si scontra con quell’onda lunga di cui abbiamo parlato prima: il calo dei nati nei decenni precedenti e dei potenziali genitori oggi. Che fare allora? Occorre cercare di alzare il tasso di fecondità e, al tempo stesso, consentire un flusso migratorio regolare che compensi l’inadeguatezza delle nascite. E qui arriviamo a quello che il governo sembra di voler fare nella prossima legge di bilancio: un taglio delle tasse per chi ha due figli. Tre commenti in proposito. Il primo è che se la misura è volta ad alzare il tasso di fecondità occorre tagliare le tasse per la nascita di nuovi figli e non tagliare le tasse a chi ha già avuto due figli. Se invece l’obiettivo è, per esempio, combattere la povertà giovanile allora va benissimo tagliare le tasse , ma solo per chi ha redditi bassi. Il secondo commento è che l’esperienza internazionale insegna che gli strumenti più efficaci per contrastare il calo demografico sono le misure che aiutano a riconciliare maternità e lavoro, come asili nido e congedi parentali, più che i tagli di tasse. Il terzo commento è che misure decise all’ultimo momento in legge di bilancio, diverse da anno in anno, e magari temporanee sono spot pubblicitari che non cambiano i comportamenti. Per affrontare seriamente l’enorme problema del crollo demografico serve una strategia di lungo periodo e questa strategia non l’abbiamo ancora.

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