“Burocrati” vs politici: perché la Fed è così importante per Trump

Con una leggera maggioranza il Senato americano ha approvato la nomina di Stephen Miran al Board della Fed, la banca centrale americana. Miran, un fedelissimo di Trump , ha dichiarato che non intende dimettersi dalla sua posizione come presidente del gruppo dei consiglieri economici della Casa Bianca, anche se si metterà in congedo non pagato. Al tempo stesso continua il tentativo di Trump di “licenziare” un altro membro del Board della Fed, Lisa Cook , accusata di condotta inappropriata relativamente a un suo passato mutuo per l’acquisto di una casa. Questi sviluppi, insieme alle critiche pesanti rivolte da Trump all’attuale presidente della Fed, Jerome Powell, sulla gestione troppo restrittiva della politica monetaria, riportano all’attenzione del pubblico un’importante questione, quella dell’indipendenza delle banche centrali. È evidente che Trump sta cercando di piazzare alla Fed persone che siano a lui gradite e che, presumibilmente, siano disposte a prendere ordini. In effetti, molti si potrebbero chiedere perché un aspetto così importante della politica economica di un paese debba essere attribuito a dei “burocrati non eletti” come spesso vengono chiamati dai critici. Per rispondere occorre ritornare col pensiero a quello che accadde negli anni ’70. L’ondata inflazionistica di quel periodo, nonché l’esperienza di precedenti fasi di inflazione, portò una gran parte degli economisti a concludere che era necessario sottrarre il potere di stampare soldi e decidere il livello dei tassi di interesse alla politica perché la politica tendeva ad abusarne. Stampare soldi non costa nulla ed è molto attraente cercare di comprare il consenso elettorale aumentando la spesa pubblica attraverso la macchina da stampa, senza quindi dover alzare le tasse. Non solo: stampare soldi riduce anche i tassi di interesse e tassi di interesse più bassi facilitano i debitori, e lo Stato, di solito, ha un grande debito pubblico e i conti pubblici migliorano se i tassi scendono. A questa tentazione i politici non sanno spesso resistere per cui occorreva affidare la macchina da stampa a dei tecnici. Di fronte all’elevata inflazione degli anni ’70, il discorso apparve convincente anche all’opinione pubblica e agli stessi politici e in molti paesi vennero introdotte leggi per affidare a tecnici indipendenti la gestione della politica monetaria. Questi tecnici erano vincolati da un chiaro mandato: mantenere il tasso d’inflazione a un certo livello , ma erano indipendenti nell’uso degli strumenti per realizzare il loro mandato, compreso nella fissazione dei tassi di interesse. Questa costruzione aveva un senso. Un banchiere centrale tecnico talvolta pensa che sia appropriato, per controllare l’inflazione, aumentare i tassi, mentre in altri casi pensa sia necessario abbassarli. Un tecnico potrà pure sbagliare e l’inflazione può sfuggire di mano , ma non ci sono motivi perché debba avere una visione distorta di quello che è necessario fare. Un politico si. Avete mai sentito un politico dire che bisogna aumentare i tassi di interesse? No, il coro è unanime: occorre sempre tagliare i tassi. L’approccio dell’indipendenza delle banche centrali ha però un tallone d’ Achille. I banchieri centrali vengono comunque nominati dalla politica. I meccanismi sono diversi da Paese a Paese, ma nessun Paese ha mai osato arrivare all’estremo di un sistema di cooptazione in cui sono gli stessi tecnici a scegliere i propri successori. Ed è questo tallone d’Achille che Trump sta cercando di sfruttare attraverso la nomina di membri del Board della Fed a lui fedeli. L’obiettivo più importante è quello del Presidente della Fed. Il mandato di Powell, peraltro nominato dallo stesso Trump scade a maggio 2026. E, soprattutto dopo la nomina di Miran, ci sono pochi dubbi sulle future mosse del Presidente americano e, quindi, sul futuro corso della politica monetaria d’oltre oceano nell’era post Powell, con le probabili conseguenze che questo potrebbe avere sull’inflazione nella più grande economia mondiale in termini di Pil e di dimensione del mercato finanziario.

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Carlo Cottarelli