Quali sono i Paesi più ricchi del mondo e perché?

And the winner is... Quando si tratta di decidere qual è il Paese più ricco del mondo la proclamazione non è così semplice e diretta come quella del vincitore di un Oscar cinematografico. O meglio non lo è se a emettere il verdetto è il settimanale britannico The Economist che anche quest’anno ha deciso di prendere il gioco sul serio e di tenere conto di diversi parametri per stilare la sua abituale classifica dei Paesi più abbienti del globo. Accade così che, a differenza di quanto avviene per gli Academy Awards, il vincitore della palma 2025 sia diverso a seconda dei metodi impiegati per delineare la graduatoria: si parte dalla Svizzera, si passa per Singapore e si arriva in Norvegia. Ma vediamo più nel dettaglio il ranking definito dal periodico inglese in tutte le sue sfaccettature. Il Pil pro capite Come misurare la ricchezza di un Paese? L’indicatore più naturale, e quello più utilizzato, è il Prodotto interno lordo pro capite. Vale a dire il valore totale dei beni e dei servizi prodotti all'interno dei confini di una nazione in un determinato periodo di tempo diviso per la popolazione. Più è alto quel valore, più ricco risulta uno Stato. Se guardiamo alla classifica dell’Economist sulla base di questo parametro al primo posto si piazza la Svizzera con un Pil pro capite di oltre 103 mila dollari. Subito dietro Singapore e Norvegia . Agli ultimi posti invece troviamo il Burundi con un Pil pro capite di 153 dollari, e poi Malawi, Madagascar e Repubblica Centrafricana tutti con un valore attorno ai 500 dollari a testa. Ma, come fa notare la rivista inglese, questo indicatore è sicuramente il più intuitivo che abbiamo a disposizione, trascura però un dettaglio piuttosto importante: ovvero che un dollaro non ha lo stesso valore nei diversi Paesi. Se non visualizzi il grafico clicca qui Pil e potere d’acquisto E’ per questa ragione che l’Economist introduce un correttivo al Pil pro capite puro e semplice. Un aggiustamento che permette di rendere ragione di un fatto ovvio di cui chiunque viaggi ha modo di accorgersi: ovvero che in differenti posti con la stessa quantità di denaro si possono comprare quantità di beni e servizi differenti. Partendo da questa constatazione, la seconda classifica stilata dalla rivista del Regno Unito corregge il Pil pro capite con l’indice della parità di potere d’acquisto che tiene conto proprio delle differenze dei prezzi nei vari Paesi e rende dunque più accurata la misura. Come cambia la classifica dopo questo intervento? Al primo posto non troviamo più la Svizzera ma Singapore davanti a Macao e Qatar. Dall’altra parte della graduatoria, al fondo, la Repubblica centrafricana con un Pil pro capite aggiustato per la parità di potere d’acquisto di 1.264 dollari a testa, Somalia, Mozambico, Repubblica Democratica del Congo. Se non visualizzi il grafico clicca qui E le ore lavorate? Ma non è finita qui. Perché, come osserva sempre l’Economist, bisogna anche capire i costi della ricchezza, ovvero quanto bisogna lavorare per garantirsi un determinato tenore di vita. Detto in altro modo, a parità di Pil pro capite aggiustato per il potere d’acquisto dovremmo considerare più ricco un Paese i cui residenti lavorano meno: fanno meno fatica a raggiungere lo stesso livello di benessere e hanno più tempo per godersi quello che hanno. Il risultato di questo ulteriore aggiustamento è il balzo al primo posto in classifica della Norvegia, seguita da Qatar, Danimarca e Svizzera. Cambia poco, invece, nelle parti basse della graduatoria dove restano Repubblica Centrafricana, Mozambico e Somalia. Se non visualizzi il grafico clicca qui Proprio questa serie di aggiustamenti consente a Paesi come l’Italia, che comunque rientra nel novero degli Stati benestanti, di recuperare terreno. Se si confronta l’andamento dello Stivale rispetto ai primi della classe si nota come grazie all'introduzione dei nuovi parametri la distanza rispetto a chi sta davanti diminuisce. Se non visualizzi il grafico clicca qui I dati I dati utilizzati per i grafici presenti in questo articolo sono quelli elaborati dall’Economist che li mette a disposizione online perché possano essere riutilizzati. Alcuni Paesi non figurano per mancanza di dati, altri perché i valori risultano distorti. Come spiega la stessa rivista, è il caso del Lussemburgo con la sua alta percentuale di transfrontalieri e dell’Irlanda dove il regime fiscale che attira industrie straniere finisce per gonfiare il dato del Pil pro capite, rendendolo poco indicativo.

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Raffaele Mastrolonardo