Perché è così difficile (anche per Musk) tagliare la spesa pubblica?

Elon Musk ha lasciato il suo incarico al DOGE dopo solo quattro mesi. Ero durato di più io come Commissario per la Spending Review , ma si sa che Elon è uno veloce nelle scelte e ha capito presto l’antifona. Colgo questo episodio per alcune riflessioni sulla spesa pubblica, in particolare nel nostro Paese. In finanza pubblica due cose sono di particolare importanza. La prima sono i saldi pubblici il cui accumulo genera il debito pubblico. Misurati rispetto al Pil sono tra gli indicatori del rischio di una crisi finanziaria dovuta a un eccesso di deficit e debito. La seconda è la dimensione dello Stato, calcolata come rapporto tra entrate e spese pubbliche e il Pil. La dimensione dello Stato è una misura approssimativa di quanto le risorse generate dall’economia siano intermediate dal settore pubblico che raccoglie tasse e le redistribuisce attraverso la spesa. È questo secondo aspetto che discuto nel seguito, osservando, in particolare, l’andamento nel tempo della spesa primaria, ossia la spesa al netto degli interessi . Uno dei possibili obiettivi di una spending review è quello di ridurre la dimensione dello Stato riducendo la spesa per trovare risorse per tagliare le tasse. In Italia tale obiettivo non è mai stato realizzato negli ultimi trent’anni, se non per brevi periodi. Anzi. Nel 1995 la spesa pubblica primaria era del 40,4% del Pil. La spesa resta su questi livelli fino al 2000. Poi inizia a crescere, sorprendentemente durante i governi Berlusconi II e III, governi di centro destra che invece avrebbero dovuto, ideologicamente, ridurla. Nel 2006, anno della sconfitta di Berlusconi da parte di Prodi, la spesa primaria aveva raggiunto il 43,1% del Pil. Nel 2007 c’è una temporanea discesa , ma non dura molto. Con la crisi economica del 2008-09, anche per effetto della caduta del Pil, il rapporto torna a crescere. Il 2014, anno in cui presentai a inizio aprile le mie proposte di spending review prima di lasciare nell’ottobre seguente, si concluse con un 46,2%. Segue poi una piccola riduzione, col rapporto su livelli intorno al 45% tra il 2016 e il 2019, l’ultimo prima del Covid. Già, il Covid. Col Covid, al normale aumento della spesa che si deve accompagnare a una recessione, si aggiunge una specie di “liberi tutti”, grazie anche alla temporanea eliminazione del vincolo di bilancio determinata dal programma di acquisti di titoli di Stato da parte della Bce, che nel 2020-22 diventa il bancomat del governo. La spesa primaria, spinta dai bonus edilizi, balza ben sopra al 50%, con effetti di cassa che si estendono agli anni seguenti. Tuttavia, anche quando i bonus vengono sospesi, la spesa resta a livelli storicamente elevati: al 46,7% nel 2024 con una previsione di 46,9% nel 2025 . Siamo oltre sei punti percentuali di Pil sopra a dove eravamo trent’anni fa. E questo dopo svariati Commissari alla spending review e innumerevoli sezioni nei disegni di legge di bilancio dedicati a questo tema. Perché è così difficile, anche per governi di centro-destra, tagliare la spesa pubblica? Perché i vari Commissari hanno fallito? Perché persino Elon Musk ha rinunciato? Il motivo principale è che nessun governo italiano è stato eletto per tagliare la spesa pubblica. Nessuno ha avuto il coraggio di chiedere al popolo un mandato per ridurre la dimensione dello Stato. O, meglio, il mandato è stato richiesto, ma solo per tagliare le tasse. Ma in Paesi ad alto debito tagliare le tasse senza tagliare la spesa non è possibile. E, quindi, non se ne fa niente. Diversa la cosa in Argentina dove Milei ha tagliato la spesa pubblica del 30% , ma c’è riuscito perché era andato in campagna elettorale con la motosega ed era stato eletto per usarla. Post scriptum: la scelta della dimensione dello Stato è eminentemente politica. Può piacere uno stato grande o uno stato piccolo. Quello che non si può fare è volere uno Stato che è piccolo nelle tasse e che è grande nella spesa. Troppo comodo e irrealistico in ultima analisi, anche se politicamente attraente.

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