Perché Trump ha fatto un passo indietro sui dazi?

Il passo indietro compiuto da Trump sui dazi, con la moratoria per tre mesi dei cosiddetti “dazi reciproci” e l’esenzione di vari prodotti high tech, mi ha portato alla memoria quello che disse nel 1993 James Carville, allora consigliere del Presidente Clinton. Commentando l’aumento dei tassi di interesse sui titoli di stato americani che avevano convinto il Presidente americano a rivedere verso il basso i propri piani di spesa, Carville concluse: “Una volta pensavo che, se la reincarnazione esistesse, avrei voluto rinascere come Presidente, come Papa o come un battitore di baseball con una media di .400. Ma ora vorrei rinascere come il mercato obbligazionario. Puoi intimidire chiunque.” In effetti, non è soltanto l’Italia ad aver sperimentato la potenza del mercato obbligazionario. A noi è successo nel 2011 quando il nostro spread sfiorò i 600 punti base e Berlusconi si dovette dimettere o quando nel 2018 il governo Cinque Stelle-Lega, che aveva teorizzato che per ridurre il debito pubblico occorre spendere di più, dovette fare marcia indietro. Alcuni conclusero, da questi episodi, che il mercato obbligazionario, pur essendo composto da una miriade di operatori, grandi, medi e piccoli, sparsi in tutto il mondo, era spinto da motivazioni politiche, da un grande vecchio , che ce l’aveva coi governi di centro-destra o populisti, o, comunque, con l’Italia, per non si sa bene quale ragione storica. La realtà è che, quando un Paese come l’Italia si comporta in modo prudente, viene compensato dai mercati . Quando invece un Paese si avventura in terre sconosciute viene penalizzato, anche se il Paese si chiama Stati Uniti d’America: il tasso di interesse sui titoli del Tesoro americano che era intorno al 4% a inizio aprile è aumentato di mezzo punto percentuale nel giro di pochi giorni dopo l’annuncio dei dazi reciproci, un aumento che potrebbe aver contribuito in modo decisivo alla loro temporanea sospensione. La dipendenza dal mercato obbligazionario è ovviamente acuita da un debito pubblico alto. Il mercato può più facilmente tollerare comportamenti imprudenti se si parte da un debito basso, contenendo l’aumento dei tassi di interesse a fronte di certe misure. Inoltre, l’effetto di un dato aumento dei tassi incide meno sulla sostenibilità del debito se questo è basso. Il problema è che ormai gli Stati Uniti sono un Paese ad alto debito e con tendenze di medio e lungo termine poco rassicuranti. Secondo il Fondo Monetario Internazionale , negli ultimi 25 anni il deficit pubblico americano è stato costantemente sopra il 3% del Pil e nel 2023-24 ha superato abbondantemente il 7%. Il bilancio primario, cioè la differenza tra entrate e spese pubbliche al netto degli interessi sul debito , è stato costantemente in deficit dal 2001 . Il debito pubblico in rapporto al Pil, che ha ora raggiunto i 36.000 miliardi di dollari , è salito dal 53% del Pil nel 2001 al 121% del Pil nel 2024. L’ FMI nel suo ultimo Fiscal Monitor ne prevedeva un ulteriore aumento al 132% entro il 2029. Commentava il Fondo: “Il costante aumento del rapporto debito pubblico/PIL rappresenta un rischio crescente per l'economia degli Stati Uniti e per l'economia globale, potenzialmente alimentando costi di finanziamento più elevati e un rischio crescente per il regolare rifinanziamento delle obbligazioni in scadenza.” Questo rischio è stato finora contenuto da quello che gli economisti hanno definito “privilegio esorbitante” degli Stati Uniti, ossia che i titoli americani sono il principale strumento in cui le banche centrali del mondo detengono le loro riserve. Questo rende più stabile la loro domanda. Ma è un po’ come la favola di Andersen: i titoli americani possono continuare a svolgere un ruolo di riserva solo se sono percepiti come solidi. Se cessano di esserlo, prima o poi qualcuno griderà che il re è nudo. Trump deve essersi reso conto che politiche troppo aggressive nella guerra dei dazi non erano compatibile con un debito pubblico elevato, soprattutto quando più di un quarto di tale debito è detenuto da investitori esteri. Vedremo come andrà a finire, ma in un mondo in cui l’egemonia economica americana è ormai meno solida che in passato, i rischi, per tutti, derivanti dal debito pubblico americano non sono indifferenti.

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