Dazi Usa, il colpo più duro lo ricevono i Paesi poveri e instabili

La guerra commerciale totale di Donald Trump ha colpito pressoché tutto il mondo, anche Paesi che sarebbe quantomeno azzardato definire “minacce” per la sicurezza economica americana. Nello sterminato elenco di Paesi daziati, che include alleati colpiti da pesanti tariffe , stupisce trovare tra gli attori più penalizzati nazioni in guerra o alle prese con gravi emergenze interne, crisi economiche e sociali. Per tutti, l’imposizione di un dazio fortemente punitivo genererà difficoltà, a fronte di un impatto minimo e trascurabile sul gettito che Trump mira ad ottenere per un deficit federale giunto nel 2024 a 1.800 miliardi di dollari, come riportato in un’analisi del Data Lab dell’Ispi. Le tariffe aggiuntive imposte da Trump colpiscono, al contrario, Paesi che da esse potrebbero subire gravi danni. Il Lesotho, martire dei dazi È il caso del piccolo Stato sudafricano del Lesotho, di cui poche settimane fa Trump ha affermato che "nessuno ha mai sentito parlare" quando ha annunciato il taglio ai finanziamenti dei programmi dell’agenzia Usaid. Maseru vedrà tassate le sue esportazioni negli Usa, pari al 19% del totale , del 50%. Si prevede che senza queste entrate e i sostegni di Usaid il Paese africano, dove un quarto della popolazione è sieropositiva, avrà difficoltà nella lotta alla piaga dell’Hiv e del contrasto al sottosviluppo. Cambogia e Laos, danni in periferia Anche Paesi colpiti da grandi fragilità interne legate a conflitti e catastrofi naturali non sono stati risparmiati. Il Myanmar è stato “punito” da Trump con un dazio al 44% sulle sue merci nonostante la lunga guerra civile che sconvolge il Paese da quattro anni e il terremoto di magnitudo 7.9 che appena pochi giorni fa ha causato migliaia di vittime. Tariffe al 41% sono riservate invece alla Siria alle prese con una delicatissima transizione politica dopo la caduta del regime decennale di Bashar al-Assad. Sul podio dei Paesi più colpiti, anche due Stati asiatici: Cambogia e Laos, oggetto di tariffe rispettivamente al 49 e al 48%, seguite dal Madagascar al 47%. La prima, nota il Guardian, ha “un'economia in via di sviluppo in cui il 17,8% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà, secondo la Banca asiatica di sviluppo”, manda oltre un terzo dei suoi prodotti negli Usa e, sottolinea la testata britannica, è nel mirino perché “più della metà delle fabbriche del paese sarebbero di proprietà cinese , con le esportazioni del Paese dominate da indumenti e calzature”. Ma questo non cancella il fatto che assieme ad altri due attori della regione , la Cambogia “ha lavorato per anni per trasformarsi in alternativa alla Cina per le fabbriche che producono borse, prodotti elettronici, scarpe e ricambi auto che alla fine finiscono negli Stati Uniti”, nota il New York Times. Laos e Madagascar sono economie a basso reddito che hanno usato la leva dei dazi all’ingresso delle merci straniere per proteggere i loro fragili settori produttivi, e che neanche lontanamente potrebbero rappresentare una minaccia alla bilancia commerciale statunitense. Un altro Paese fortemente penalizzato è la Guyana, tra gli Stati meno sviluppati del Sudamerica, che subirà un’imposizione del 38% nonostante un quarto del suo commercio vada negli Stati Uniti tramite l’export di prodotti in oro, alimentari e pescato. La mossa rischia di rappresentare un autogol per gli Usa dato che molti di questi prodotti sono commerciati da aziende americane fortemente insediate a Georgetown. Caos e incertezza per i dazi Usa La somma di queste mosse, che Trump ha dichiarato far parte di una grande strategia volta a evitare che l'economia statunitense continui ad essere "ingannata", rischia di creare caos e incertezza. Per molti Paesi, una campagna tariffaria vuol dire un aggravio delle proprie condizioni interne o un’esposizione a vulnerabilità e difficoltà politiche imprevedibili. La mossa, dal punto di vista americano, è doppiamente penalizzante. Da un lato, contribuisce a danneggiare quel sistema globale e multilaterale che ha garantito per anni il primato degli Stati Uniti. Dall’altro, in nome di piccole entrate Trump rischia di lasciare spazio d’azione a molti attori rivali, come la Cina che potrà presentarsi paladina del libero commercio contro il protezionismo americano. Tutto questo rende incerto e precario l’effetto di lungo periodo per gli Usa di una guerra commerciale che nelle periferie geopolitiche ed economiche del pianeta rischia di creare danni ed erodere inevitabilmente l’influenza americana.

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