Metà legislatura: come è cambiata l’economia italiana negli ultimi due anni e mezzo?

913 giorni. È il tempo trascorso dalle ultime elezioni politiche che hanno segnato l’inizio della 19esima legislatura della Repubblica italiana. Siamo esattamente a metà legislatura: al giro di boa di questi cinque anni, in cui la maggioranza di centro-destra è chiamata ad attuare il proprio programma. Come è cambiato lo stato dell’economia italiana in questi due anni e mezzo? Tenendo ovviamente conto che crescita e inflazione non dipendono esclusivamente da chi occupa Palazzo Chigi, anzi. LA CRESCITA Nei due anni e mezzo di Governo Meloni – dal quarto trimestre 2022 allo stesso periodo 2024 - il Pil italiano è cresciuto di circa l’1,1 per cento. Dopo la buona crescita registrata nel 2022, per due anni consecutivi l’asticella si è fermata allo 0,7 per cento, meno delle previsioni dell’esecutivo. Nello stesso periodo i tedeschi hanno fatto peggio di noi, inanellando due anni di recessione. Ma la media del resto dell’Unione Europea, la Francia e soprattutto la Spagna hanno registrato una crescita economica più rapida. Rispetto al resto dell’Eurozona, la crescita italiana si è classificata al 15esimo posto nel 2024. In continuo peggioramento rispetto al 2023, e anche sul 2022. Ma a dire il vero l’economia nazionale è da anni una delle più deboli della moneta unica: nei cinque anni precedenti alla pandemia la crescita italiana si è sempre posizionata negli ultimi tre posti dell’Eurozona. Il Paese dunque sta purtroppo tornando alle posizioni che aveva occupato prima del Covid. Nonostante il lento ritmo di crescita, l’aumento dei posti di lavoro è stato considerevole. Negli ultimi tre anni secondo Istat in Italia lavorano circa un milione di persone in più, soprattutto over-50 e a tempo indeterminato. L’occupazione ha superato il record storico, mentre la disoccupazione è ai minimi dall’inizio delle rilevazioni Istat. Ma emergono segnali evidenti di criticità: a causa degli alti costi energetici e della difficoltà dell’export, il livello di produzione industriale è in calo ormai da due anni. IL PNRR Ciò che finora è mancato alla crescita è l’impulso del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. I 194 miliardi di euro di spesa e investimenti destinati dall’Unione Europea sono stati spesi solo in parte. Quando Giorgia Meloni è arrivata a Palazzo Chigi l’Italia aveva speso 11,7 miliardi di euro: il 36 per cento in meno rispetto alle previsioni di impiego entro la metà del 2022 stilate dal Governo. A fine 2024 il ritardo è rimasto pressocché immutato: la spesa ha raggiunto 59 miliardi, rispetto agli oltre 87 che erano stati preventivati. Per giunta le previsioni di spesa sono state progressivamente ridotte, posticipando gli investimenti al 2025 e 2026, gli ultimi anni di attuazione del Pnrr. Fino a ora infatti è stato speso solamente un quarto dei fondi a disposizione, mentre ormai restano appena 15 mesi al termine del piano. Nel frattempo l’Italia ha, tuttavia, continuato a ricevere tutte le rate previste, rispettando il cronoprogramma concordato con la Commissione europea. LE PROMESSE Ma quanto del programma elettorale comune con cui il centro-destra si è presentato agli elettori nel 2022 è stato realizzato? Concentriamoci sulle promesse economiche principali e su quelle verificabili, tenendo ovviamente conto che si tratta di un programma di legislatura e siamo solo a metà del percorso. Sul fisco, la maggioranza ha rispettato la promessa di tagliare il cuneo fiscale a imprese e lavoratori. Concentrandosi sui secondi, il Governo ha tagliato nelle ultime due leggi di bilancio 13 miliardi e mezzo di contributi previdenziali e imposte ai contribuenti. Tuttavia l’esecutivo non è riuscito a ridurre la pressione fiscale. Secondo l’Istat questa è salita dal 41,7 per cento del 2022 al 42,6 del 2024. Un rialzo dovuto alle maggiori imposte pagate dalle imprese e probabilmente dal boom dell’occupazione e dalla ripresa dei salari, che ha comportato un incremento di tassazione più che proporzionale all’aumento del reddito. Rimanendo sui temi fiscali, la maggioranza non ha rispettato la promessa di estendere la cosiddetta “flat tax” per i lavoratori autonomi – il regime forfettario – fino a 100mila euro di fatturato, né ha introdotto la “flat tax incrementale” né ha esteso la tassa piatta ad altre platee di contribuenti. È stato invece portato a termine l’impegno per un “accordo tra cittadini ed Erario per la risoluzione del pregresso” fiscale. Con il concordato preventivo per i lavoratori autonomi, la quarta rottamazione delle cartelle e le altre forme di condono introdotte dalla maggioranza, il risultato è stato raggiunto. Sull’impegno promesso per far riprendere la natalità e aiutare le famiglie, va sospeso il giudizio. Il programma del centro-destra prevede l’“allineamento alla media europea della spesa pubblica per infanzia e famiglia”. Nel 2023 secondo Eurostat il gap dell’Italia era ancora pari a circa 15 miliardi all’anno. Non abbiamo dati più recenti, ma questa verifica andrà fatta alla fine della legislatura. È stato invece in effetti incrementato il fondo dedicato all’assegno unico per le famiglie con figli, le cui dotazioni sono cresciute di 2,3 miliardi tra 2023 e 2024, assicurando che gli aiuti mantenessero il loro valore reale. Le pensioni invece sono probabilmente il capitolo su cui la maggioranza ha fatto più fatica, scontrandosi con la volontà di mantenere i conti pubblici in ordine. Gli assegni mensili delle pensioni minime sono stati sì alzati, a 603 euro, al di sopra del tasso di inflazione. Ma non sono stati introdotti strumenti per la “flessibilità in uscita dal mondo del lavoro e accesso alla pensione” come citava il programma. Anzi, Quota 103 e Opzione Donna sono stati ridimensionati nel corso del tempo.

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