La diseguaglianza in Italia è in aumento? Risposta: sì.

Immaginiamo un gruppo composto da dieci persone. E immaginiamo che una sola di queste possieda una ricchezza superiore a quella di tutte le altre nove messe assieme. Come chiameremmo questa distribuzione delle risorse? Prima di rispondere, un’avvertenza: se dalla scala di un piccolo insieme di individui di fantasia saliamo a quella, ben più grande, di un Paese reale il rapporto resta lo stesso. E la risposta alla domanda? Prendiamoci un attimo di tempo. Alta concentrazione Il Paese di cui stiamo parlando è proprio quello in cui viviamo. Le percentuali in questione sono quelle dell'Indagine sui bilanci delle famiglie italiane della Banca d’Italia pubblicata l’autunno scorso e riferita all’anno 2022. Raccontano, appunto, che il decile più abbiente delle famiglie tricolori si aggiudica oltre metà della ricchezza netta complessiva. Tradotto in numeri assoluti: circa 2 milioni e mezzo di nuclei familiari, un decimo del totale, dispongono di sostanze maggiori di quelle di 23 milioni, tutti gli altri. E questa concentrazione verso l’altro aumenta nel tempo. “La ricchezza è sempre più concentrata, i redditi sono stagnanti: secondo la Banca ‘Italia non hanno ancora recuperato i valori del 2006. Per far fronte a questa situazione le famiglie con meno disponibilità attingono al patrimonio, come si dice in gergo, decumulano”, spiega il professor Giovanni Vecchi che insegna Storia economica all’Università di Roima Tor Vergata. I numeri della diseguaglianza Le cifre della Banca d’Italia da cui siamo partiti si riferiscono alla ricchezza netta, vale a dire a ciò che le famiglie italiane possiedono sotto forma di proprietà materiali e finanziarie a cui sono sono stati sottratti i debiti. Ed è proprio da questo punto di vista, quello del patrimonio e non dei redditi, che le differenze tra i pochi che hanno molto e tutti gli altri possono risultare più sorprendenti. Il 10% delle famiglie dello Stivale possiede esattamente il 52,5% della ricchezza complessiva, mentre il restante 90% si deve accontentare del 47,5%, si diceva. Se si allarga la prospettiva, il quadro restituisce lo stesso scenario diseguale. Il 20% più ricco, secondo la Banca d’Italia, controlla infatti più di due terzi della ricchezza . Traducendo di nuovo in numeri assoluti, significa che il patrimonio netto complessivo detenuto da circa 7 milioni e 600mila nuclei è il doppio di quello posseduto da quasi 18 milioni di nuclei. “Ma il problema può anche essere visto dall’altra parte, da quella di chi possiede meno”, suggerisce Vecchi. Risultato: come spiega la stessa Banca d’Italia, il 10 per cento meno ricco delle famiglie non arriva neanche allo 0,1% del patrimonio netto complessivo. Mentre il 50% più povero non arriva al 10% della ricchezza totale. “Per la maggioranza delle famiglie italiane - continua Vecchi - la ricchezza è per tre quarti costituita dal valore della casa. Se togliamo quella, resta poco. Questo vuol dire che la società è fragile, ha poca protezione sia rispetto a quelli che gli economisti chiamano ‘shock idiosincratici’, sia a quelli ‘sistemici’, per esempio crisi finanziarie o guerre”. Sempre più diseguali Senza contare che la distribuzione dei patrimoni sta diventando sempre più diseguale e non viceversa. La concentrazione verso l’altro è si è fatta progressivamente maggiore negli ultimi anni. “Il divario tra la quota di ricchezza netta detenuta dai più ricchi e quella in capo ai meno ricchi continua ad essere maggiore rispetto al periodo pre-pandemico ”, scrive la Banca d’Italia. Nel 2016, sempre secondo i dati dell’Indagine, il 10% di famiglie più abbienti si aggiudicava il 44% della ricchezza netta complessiva. Nel 2020 la quota detenuta dal decimo più benestante era salita al 50,5%. Nell’ultima ricerca, come abbiamo visto, si sono aggiunti altri 2,5 punti percentuali. La conferma di questa tendenza arriva anche da un altro indicatore, l’indice Gini, che misura il tasso di diseguaglianza all’interno di una data popolazione su una scala che va da 0, massima uguaglianza, a 1, massima disomogeneità. Negli ultimi 30 anni anche l’indice Gini della ricchezza nel nostro Paese, pur se con parecchie oscillazioni, ha continuato a crescere. Resta una consolazione. Forse. La diseguaglianza di patrimoni non è un problema solo italiano, anzi. Differenze simili o superiori a quelle registrate dalle nostre parti si riscontrano anche negli altri maggiori Paesi europei. In Francia la quota detenuta dal più ricco 10% delle famiglie è del 54%, leggermente più alta di quella dello Stivale. In Germania, secondo la Banca federale tedesca, nel 2021 il decile più benestante possedeva il 56% della ricchezza netta, 3,5 punti percentuali più che da noi. La stima della media dell’area euro, aggiornata al secondo trimestre del 2024, è del 57,2%. Quanto alla domanda da cui siamo partiti, “come definire una distribuzione di questo tipo?”, la risposta arriva direttamente dalla Bundesbank a commento dei dati tedeschi: “uneven”, ovvero disomogenea, ineguale, squilibrata.

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La diseguaglianza in Italia è in aumento? Risposta: sì.