Perché è giusta la nomina di Giorgetti a "ministro dell'Economia dell'anno"

Il ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti è stato scelto dalla rivista The Banker come ministro delle Finanze dell’anno. Mi sembra una buona occasione non solo per darvi la mia opinione su tale scelta, ma anche per fare il punto sullo stato delle nostre finanze pubbliche. Il mio giudizio complessivo è che è stata un’ottima scelta, meritata, e che lo stato dei nostri conti pubblici sta migliorando, anche se ci sono cose ancora poco chiare sugli sviluppi recenti e comunque non è tutto oro quello che luccica. Il giudizio è quindi più equilibrato di quanto suggerito dal riconoscimento di The Banker ma ciò non toglie al fatto che Giorgetti ha ottenuto risultati nel complesso positivi. La motivazione che è stata data da The Banker è che Giorgetti ha ridotto sensibilmente il deficit pubblico e ha presentato un piano credibile di riduzione del debito. Il che è vero. Certo il deficit pubblico resta alto e, in Europa, siamo in procedura di deficit eccessivo. Ma è in calo rispetto al 2024 e, soprattutto, rispetto al 2023 quando ancora si risentiva dell’effetto del superbonus 110%. A Giorgetti va il merito di aver posto fine al superbonus, anche se avrebbe dovuto farlo con maggiore vigore nel 2023 quando, invece di chiudere la porta completamente, la si tenne socchiusa, con il risultato di generare una corsa all’ultimo superbonus: in quell’anno si verificò il più alto impegno per quella misura scellerata. L’effetto di cassa del superbonus è proprio il principale motivo per cui il rapporto tra debito pubblico e Pil continuerà ad aumentare nei prossimi due anni nonostante la riduzione del deficit pubblico. Anche se il superbonus è ormai stato chiuso, la perdita di entrate dovuta al maturare dei crediti d’imposta concessi in passato si farà sentire ancora per qualche anno. Il Piano strutturale di Bilancio a Medio Termine presentato all’Unione Europea è però in linea con le nuove regole europee sui conti pubblici. Ci è andata bene. Le regole sono molto meno stringenti di quelle esistenti prima del Covid: fra l’altro ai Paesi in deficit eccessivo, come l’Italia, è concesso di ritardare la discesa del rapporto tra debito e Pil . Resta il fatto che il rapporto tra debito pubblico e Pil scenderà solo lentamente durante gli anni del Piano. Secondo il governo dovremmo chiudere il 2024 al 135,8%; nel 2031 saremmo ancora al 132,5%. Ciò detto, Paesi che sono in linea con le regole europee sui conti pubblici hanno la possibilità di poter accedere, in caso di pressione speculative, agli interventi da parte della Banca Centrale Europea, attraverso il Transmission Protection Instrument , introdotto nel 2022. Questa è una rete di protezione importante che riduce il rischio di investire in titoli di stato italiani, anche se il TPI non è mai stato attivato e resta quindi da vedere come sarà gestito in pratica. Occorre poi dare credito a Giorgetti di aver risparmiato il tesoretto che si era creato nel 2024 per l’andamento nelle entrate migliore del previsto. Sì perché il deficit nel 2024 doveva essere più alto , come quello del 2025 . Con le entrate che l’anno scorso andavano meglio del previsto sarebbe stato possibile confermare questi obiettivi aumentando la spesa di circa 10 miliardi l’anno nel 2024 e 10 nel 2025. Mi aspettavo che sarebbe finita così. Invece, per la prima volta da non so quanti anni, il governo ha deciso di risparmiare le maggiori entrate, rivedendo verso il basso gli obiettivi di deficit. Questo, secondo me, è il principale motivo per giustificare il riconoscimento che è stato dato a Giorgetti. Fra l’altro, grazie a questa decisione, il sentiero di rientro tracciato per il nostro deficit pubblico è anche più rigoroso di quello proposto nel giugno scorso dalla Commissione europea, che prevedeva per il 2025 un deficit di un punto di Pil superiore a quello deciso dal governo. La prudenza seguita da Giorgetti è stata premiata dai mercati finanziari con una discesa dello spread intorno ai 115 punti base. Negli ultimi dieci anni si era già scesi su questi livelli, ma in momenti in cui la BCE stava comprando una valanga di titoli di stato, mentre ora sta riducendo la propria detenzione di BTP come parte della sua azione di graduale ridimensionamento del proprio bilancio dopo l’indigestione del quantitative easing del periodo Covid. Non posso però non citare alcuni aspetti dei nostri conti pubblici ancora problematici. Primo, deficit e debito restano alti . Fra l’altro Tria potrebbe reclamare di aver diritto, ex post, a un premio da The Banker per il più basso livello del deficit dal 2007 e il secondo più basso dagli anni ’60. Secondo, i motivi per il miglior andamento delle entrate rispetto al previsto non sono per niente chiari e i documenti governativi avrebbero dovuto dare più informazioni in proposito. Terzo, il governo ha lanciato l’ennesimo condono fiscale . Quarto, il rapporto tra spesa pubblica e Pil resta elevatissimo, al 50,4% nel 2024, senza alcuna riduzione nel 2025. La revisione della spesa resta al palo.

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