Cosa aspettarsi dall'economia mondiale nel 2025

Con l’inizio del nuovo anno è abitudine guardare avanti e, dal mio punto di vista di economista, chiedersi cosa può andare storto nell’economia mondiale. In proposito, c’è una disconnessione tra l’attuale clima economico relativamente calmo e le tensioni geopolitiche che si sono accentuate ormai da qualche anno. Questa disconnessione può essere spiegata in termini di orizzonti temporali: le prospettive economiche di breve periodo restano buone, in assenza di shock. E anche se tali shock sono resi più probabili dalle tendenze geopolitiche di fondo, essi restano incerti in termini di realizzazione temporale e ci appaiono così meno significativi. Questo articolo invita a non dimenticarcene. Le prospettive economiche di breve periodo appaiono, se non certo perfette, piuttosto buone e i rischi contenuti. Nel World Economic Outlook dell’ottobre scorso il Fondo Monetario Internazionale descriveva una situazione tranquilla, al limite della noia: il tasso di crescita del Pil mondiale, dopo il 3,3% del 2023 si collocherà al 3,2% nel 2024 e 2025. Calma piatta. Il Global Financial Stability Report, la pubblicazione del Fondo dedicata all’emergenza di rischi nel settore finanziario, indicava, sempre nell’ottobre scorso, che gli indicatori di rischio a breve termine erano sotto il loro valore mediano, anche alla luce della progressiva riduzione dei tassi di interesse. Quest’ultima pubblicazione, tuttavia, riconosceva che, se i rischi sembravano al momento bassi, il mondo finanziario restava esposto a possibili shock esterni a causa dell’elevata accumulazione di debito pubblico e privato, della possibile sopravvalutazione degli asset legata a politiche monetarie in via di ammorbidimento e del crescente ruolo degli intermediari non regolati. A questi aggiungerei la persistente opacità e complessità di un sistema finanziario sempre più portato verso l’innovazione tecnologica anche attraverso l’uso di strumenti di intelligenza artificiale, le cui conseguenze non sono ancora state approfondite a pieno. L’economia e la finanza restano quindi esposti al rischio di shock e, in proposito, non c’è dubbio che sviluppi geopolitici e tendenze economico-sociali di natura strutturale ci pongono problemi per i quali non abbiamo ancora trovato chiare soluzioni. Tra questi il più importante è il movimento tettonico che ha coinvolto gli equilibri economici del globo nell’ultimo quarto di secolo, con la prepotente crescita di Cina e India e l’arretramento del mondo Occidentale , con cambiamenti rilevanti anche all’interno di questi due mega-gruppi . Mutamenti nel peso economico quali quelli cui abbiamo assistito negli ultimi decenni sono solitamente accompagnati da tensioni politiche e talvolta prospettive belliche. Non è il solo problema. Restano come questioni irrisolte i cambiamenti nel peso demografico delle varie aree del mondo , i relativi flussi migratori irregolari, il superpotere economico dei colossi dell’high tech e la crescente disunione politica dell’Europa, con la crisi politica dei suoi due più grandi paesi, Germania e Francia. Questi problemi forniscono un terreno fertile per lo sviluppo di tensioni che avrebbero inevitabilmente pesanti ripercussioni economiche. In aggiunta a questi fattori oggettivi di esposizione al rischio ne citerei un altro, più “epidermico” se mi consentite il termine . Se guardiamo alla storia della finanza dell’ultimo mezzo secolo troviamo una frequenza di crisi abbastanza regolare. Inizio degli anni ’70: crisi del sistema di Bretton Woods. Inizio anni ’80: crisi del debito dei paesi dell’America Latina. Inizio anni ‘90: crisi del Sistema Monetario Europeo. Fine degli anni ’90: crisi economica Asiatica. Fine degli anni ’10: crisi economica e finanziaria globale e, poco dopo, crisi dell’area dell’euro. Sono ormai più di dieci anni che non si verifica una seria crisi finanziaria. O abbiamo davvero trovato l’elisir di lunga vita o dovremmo essere preoccupati.

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