Come è cambiato il rapporto tra le agenzie di rating e l'Italia

La legge di bilancio è stata accolta positivamente dai mercati finanziari e dalle Agenzie di rating. Il mitico spread, una volta il nostro spauracchio, è sceso ai livelli più bassi degli ultimi tre anni. E due delle principali Agenzie, nel valutare l’affidabilità dei nostri titoli di Stato, pur confermando che il nostro voto restava piuttosto basso, hanno migliorato l’outlook . Credo che questi positivi sviluppi siano giustificati. Prima di tutto, di fronte all’andamento migliore del previsto delle entrate, che ha generato un tesoretto di 9 miliardi nel 2024 e, stima il Ministero dell’Economia, 18 miliardi nel 2025, il governo non ha deciso di spenderlo, ma, per la prima volta da tempo, di risparmiarlo interamente quest’anno e per la metà il prossimo anno, abbassando il deficit previsto rispetto agli obiettivi fissati in precedenza. Secondo, la legge di bilancio per il 2025 e il Piano Strutturale di Bilancio a Medio Termine sono in linea con le nuove regole europee sui conti pubblici. Certo, le regole europee sono ora più morbide rispetto a quelle passate. Certo, il rapporto tra debito pubblico e Pil scende lentamente. Ma resta il fatto che uno Stato membro dell’area dell’euro che rispetti le regole europee ha la possibilità di accedere al credito della Banca Centrale Europea in caso di pressioni dei mercati finanziari, grazie all’introduzione nel 2022 da parte di quest’ultima di un nuovo strumento di intervento, il Transmission Protection Instrument. Si tratta di una rete di protezione non da poco che certamente è stata considerata dagli operatori di mercato e dalle Agenzie di rating nel formulare i propri giudizi sulla nostra economia. Dopo questo peana a favore delle politiche governative, mi si consenta una spigolatura su come chi sta ora al governo abbia cambiato idea sul ruolo dei mercati finanziari e, in particolare, di quello delle agenzie di rating. In passato, queste erano infatti state accusate di agire per loschi fini politici, pilotate da qualche oscura forza internazionalista volta a togliere l’indipendenza agli Stati sovrani. Crosetto ancora nel 2012 sosteneva che occorreva “varare una commissione d’inchiesta per accertare e definire le responsabilità di Agenzie, come Moody’s, che a fine 2011 si accanirono contro l’economia italiana, fino a rovesciare il governo in carica e creare i presupposti per l’ascesa a Palazzo Chigi di Mario Monti”. E Giorgia Meloni nello stesso anno proponeva la creazione di un’Agenzia di rating europea perché di quelle americane non ci si poteva fidare, aggiungendo su Facebook il 22 aprile 2017 che le Agenzie avevano scelto gli ultimi quattro governi italiani. È in questo clima che si svilupparono tesi come quelle sostenute dalla procura di Trani che indagò sul comportamento delle Agenzie portandole in tribunale, fino all’ovvia conclusione poi raggiunta dai magistrati nel 2017 che il fatto non sussisteva. Ora diversi esponenti del governo e di commentatori che lo sostengono citano le decisioni delle Agenzie come una rilevante prova della bontà delle politiche governative. Il 23 ottobre Donzelli a sostegno della tesi che il governo stava operando bene notava che le Agenzie avevano migliorato i loro pareri dell’Italia. Foti, capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, citava la decisione di “una delle più importanti Agenzie di rating […] a conferma del lavoro serio e responsabile del governo Meloni”. Giorgianni, deputata di Fratelli d’Italia, dichiarava che “non possono che soddisfare le recenti valutazioni con cui le Agenzie di rating – prima Fitch e poi Dbrs Morningstar – riconoscono il trend positivo dell’economia italiana”. Stesso tono per la deputata e sottosegretaria all’Economia Albano. E il sito "La voce del Patriota" citava il parere positivo delle Agenzie come “una nuova vittoria del governo Meloni”. Questo cambiamento di opinione è comprensibile e umano. Anche io quando andavo a scuola e ricevevo un voto non troppo soddisfacente me la prendevo con i professori. La realtà è che le Agenzie di rating fanno il loro lavoro. Non è nel loro interesse farsi influenzare da motivazioni politiche perché ci perderebbero in termini di reputazione. Sbagliano talvolta? Senza dubbio. Spesso seguono semplicemente gli andamenti dei mercati, che, a loro volta, sono molte volte erratici. Ma sono errori non motivati da un fine politico, ma dal fatto che prevedere il futuro è sempre stato un compito molto complesso, soprattutto quando non ti puoi permettere le ambiguità che costituivano la forza della Sibilla Cumana.

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