Mercato dell'auto e transizione ecologica: perché i numeri non tornano

Torino è tornata a riprendersi il ruolo di capitale italiana dell’auto, anche se solo per pochi giorni con il suo splendido salone all’aria aperta. Un interim arrivato in un periodo da 50 sfumature di grigio tendenti al nero per l’industria a 4 ruote. Succede che nelle ultime settimane sono state molte le notizie che hanno lanciato l’alert sul comparto. Volvo full electric? Non entro il 2030 La prima è stata Volvo, casa svedese di proprietà del colosso cinese Geely che ha rinunciato al target di essere full electric dal 2030. Il marchio aveva fatto della sostenibilità il mantra che accompagnava ogni suo modello. In Italia, ad esempio, la piccola Ex30 stava cominciando lentamente a prendere piede, conquistando a luglio il primo posto delle vendite alla spina con 401 esemplari venduti davanti alla Tesla Model Y e la Mg4. Poi è successo che i vertici aziendali si sono resi conto che la domanda di elettrico non sta soddisfando le aspettative iniziali, così la Casa svedese ha deciso "di adeguare le sue ambizioni di elettrificazione alle mutevoli condizioni del mercato e alle richieste dei clienti". Clienti che, soprattutto in Europa, al di fuori della penisola scandinava che viene spesso presa come riferimento virtuoso anche e soprattutto per le infrastrutture di ricarica capillari ed efficienti, non si fidano per ora della svolta elettrica nel rapporto tra costi e benefici. I conti non tornano per Bmw e Volkswagen Chi invece parla di “venti contrari nel settore auto” è Bmw che pochi giorni dopo Volvo ha tagliato le stime di crescita per il 2024 per due motivi: in primis gli interventi tecnici legati all'Ibs, il sistema frenante integrato fornito a Bmw da Continental che ha costretto il marchio bavarese a richiamare per controlli un milione e mezzo di veicoli, ma la sicurezza di chi guida queste auto non sarebbe a rischio secondo l’azienda fornitrice. Ma a pesare sui conti c’è anche la Cina, dove il calo della domanda pesa sui volumi di vendita e "nonostante le misure stimolo del governo - spiegano a Monaco - la fiducia dei consumatori rimane bassa". Il tutto si traduce in un" significativo calo dell'utile prima delle tasse". Ma la botta più forte al settore è arrivata da Volkswagen che, all’interno di un piano di riduzione dei costi senza precedenti, ha annunciato la disdetta dell'accordo di garanzia occupazionale in vigore da trent'anni in Germania. Ora partiranno i negoziati tra azienda e sindacati, ma all’orizzonte c’è la spada di Damocle che da giugno del prossimo anno i lavoratori della macchina del popolo potranno essere licenziati. Le 7 piaghe dell'automotive Volvo, Bmw, Volkswagen, tre decisioni dettate dalla stessa motivazione, una politica industriale che ha puntato parecchio o tutto, a seconda dei marchi, sulla svolta elettrica ma che deve fare i conti con la realtà di un mercato “scarico” e con una serie di fattori che si ripetono: 1 - Il calo delle vendite in Cina, che, ad esempio, per Volkswagen è il più grande mercato 2 - Il crollo della domanda di veicoli elettrici in Germania 3 - La concorrenza dei produttori cinesi con i loro modelli a batteria più economici 4 - La lentezza nella realizzazione delle reti di ricarica 5 - L’assenza di piani governativi a lungo termine che non si limitino ad incentivi che una volta finiti non vengono ripresentati 6 - Le ulteriori incertezze create dall'imposizione di dazi doganali in vari Paesi 7 - Errori strategici delle singole case Crollo della produzione a Mirafiori A questa congiunzione astrale, che, va detto subito, non terminerà a breve, bisogna poi aggiungere la stessa Torino. Che non è soltanto un nome come cantava Venditti, ma un grande coro di persone che si interroga se il comparto automotive sabaudo possa avere, non dico un futuro, ma perlomeno un presente stabile. Già perché la produzione a Mirafiori segna un drammatico meno 83 per cento. Alla fine di agosto nello stabilimento Stellantis si erano prodotte 18.500 auto, l’anno scorso erano state 52mila. E la cassa integrazione arriverà almeno fino al 14 ottobre, il perché va spiegato con l’errore strategico di Stellantis di puntare solo sulla 500 elettrica, che non ha sostanzialmente domanda, prima di correre ai ripari con l’annuncio-promessa che a Mirafiori si farà anche la versione ibrida, ma non prima della fine del 2025… La filiera automotive piemontese rischia così la desertificazione sempre che non arrivi la mano tesa del colosso governativo cinese Dongfeng, che per ora ha gelato gli entusiasmi di chi, leggi il ministro Urso, spinge per avere presto un loro stabilimento in Italia per raggiungere quella fatidica soglia del milione di auto prodotte nel nostro Paese che è la stella cometa del dicastero. Di fabbrica per ora non se ne parla, anche se il fatto che tutto lo stato maggiore del gruppo sia sceso a Torino fa capire che il dialogo col governo continua. Altro segnale positivo è che il primo concessionario italiano è stato aperto proprio a Moncalieri, segno che la filiera piemontese può essere il terreno ideale dove poter portare avanti il mantra del gruppo: logistica e vendita. Il motore del 2000 sarà bello e lucente, avrà lo scarico calibrato, e un odore che non inquina cantava Lucio Dalla. L’impressione, però, è che al momento questo motore sia già scarico…