Privatizzazioni, da Eni a Poste: quali società potrebbero andare sul mercato (e quali no)
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Il governo lavora a un piano da 20 miliardi di euro in 3 anni. Meloni: "Si può fare con serietà, senza regali miliardari a imprenditori amici, come in passato”, I tempi di eventuali cessioni e incassi precisi ancora non sono nero su bianco. Il Mef è impegnato a uscire da Mps, poi dovrebbe toccare a Eni e Poste. Più tortuoso il percorso per Fs. Altre aziende strategiche non saranno invece toccate
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- Il piano di privatizzazioni da 20 miliardi di euro in 3 anni "si può fare con serietà, senza regali miliardari a imprenditori amici, come in passato”, ha detto la premier Giorgia Meloni in un’intervista a Quarta repubblica. Il percorso delle privatizzazioni per ridurre il debito è già tracciato nella Nadef: si prevede un incasso di 20 miliardi fino al 2026, almeno l'1% del Pil. Ma i tempi di eventuali cessioni e incassi precisi ancora non sono nero su bianco
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- Tutto dipende dalle condizioni di mercato e dalla necessità, per alcune società, di mantenere saldamente il controllo pubblico. Così se è vero che, ad esempio, il Mef è impegnato a uscire (entro l'anno si ipotizza) da Mps e già ha collocato sul mercato una quota, dall'altro lato alcune cessioni sono più accidentate e va garantito il controllo pubblico
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- Il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti ha parlato del tema, soprattutto per quanto riguarda la garanzia del controllo pubblico: "È più corretto parlare di razionalizzazione del patrimonio delle partecipate, quindi il pubblico decide di entrare di più in alcune realtà e cedere altre quote perché tutto sia più efficiente e razionale e al passo con i tempi. Non è semplicemente fare cassa”
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- Come spiega Il Sole 24 Ore, per ora non c’è ancora niente di ufficiale. Le operazioni più semplici e veloci da realizzare riguardano le società quotate. O quelle di aziende per le quali già da tempo si prevedeva un percorso di cessione, come Poste o Eni
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- Il governo Meloni sembra orientato a partire proprio da Eni e Poste. Al momento le azioni delle due società non sono ai massimi. Molte intanto le ipotesi che circolano su quote e incassi: ad esempio si ipotizza che dopo Eni (l'incasso sarebbe di 2 miliardi), la prossima cessione riguarderebbe Poste che insieme alla quota residua di Mps frutterebbe circa 5 miliardi
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- Tra Cdp (35%) e Tesoro (29,3%) - scrive Repubblica - la quota pubblica in Poste è ancora del 64,3%. L'incasso sarebbe di 2,64 miliardi ai corsi attuali. Ma in questo caso ci sarebbe da aspettare marzo quando sarà presentato il nuovo piano industriale
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- Alcune partecipate pubbliche non si possono vendere, rivela Il Sole 24 Ore. Ad esempio Enel, in cui lo Stato ha una quota del 23,5%, sotto il livello minimo oltre il quale un potenziale “scalatore” dovrebbe lanciare un’offerta di acquisto obbligatoria sul 100 per cento del capitale. E abbassare ancora la quota pubblica significa esporre la società al rischio che i fondi di investimento riescano ad avere un numero di voti in assemblea per bocciare la lista per il cda proposta dal Ministero dell’Economia
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- Secondo il quotidiano economico, anche Enav e Leonardo sono da escludere, per motivi diversi. Cedere partecipazioni in queste società significa, incassare poco rispetto ai 4-5 miliardi che potrebbero arrivare dalle cessioni di Poste ed Eni. Inoltre Leonardo opera nel settore della difesa ed è difficile pensare che non resti in mano pubblica. Ci sono poi Snam e Terna, infrastrutture strategiche per cui difficilmente lo Stato cederà altre quote
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- Meloni ha parlato della possibilità di far entrare investitori privati nel capitale di Fs. E questo porta alla valutazione della rete, che rappresenta l’asset principale del gruppo il cui valore (creato con gli investimenti pubblici) supera ampiamente tutto il resto. E la rete, con l’incorporazione di Anas, comprende anche le strade statali. Va stabilito quanto valgono le infrastrutture e come in futuro saranno remunerati gli investimenti, che non si potranno già fare con fondi pubblici