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Cosa ci dice il crollo del rublo sullo stato di salute dell'economia russa

Economia

Lorenzo Borga

La banca centrale russa ha aumentato i tassi di interesse al 12 per cento per combattere l'inflazione e il deprezzamento del rublo. L'economia di Mosca barcolla, ma regge. LO SKYWALL

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Il valore della valuta russa è tornato sui livelli delle settimane successive all'invasione dell'Ucraina. Dopo diversi mesi di recupero e rafforzamento dovuti alle contromisure volute da Putin, il rublo ha infatti ceduto terreno rispetto al dollaro fino a un cambio di 97 a 1. E sarebbe andata pure peggio se anche il biglietto verde nel frattempo non avesse perso terreno rispetto ad altre valute globali. Per contrastare il deprezzamento la banca centrale russa ha alzato in un colpo solo i tassi di interesse di 3 punti e mezzo, al 12 per cento.

Inflazione in accelerazione

Una valuta più debole rende più costose le importazioni di prodotti dall'estero, di cui la Russia è dipendente per sostituire il commercio con l'Occidente bloccato dalle sanzioni. Per questo l'inflazione ha nel frattempo rialzato la testa, tornando ad accelerare dopo alcuni mesi di rallentamento.

I prezzi in Russia sono aumentati anche per l'economia di guerra imposta dal Cremlino. Il governo ha raddoppiato la propria spesa militare, le fabbriche producono a pieno regime armamenti e mezzi utili allo sforzo bellico. Ma la sostituzione delle importazioni occidentali ha gonfiato i prezzi, come anche la carenza di forza lavoro visto l'afflusso di centinaia di migliaia di uomini al fronte e i numerosissimi morti e feriti.

Economia con basi ancora solide

La spinta dell'esecutivo russo per accelerare la produzione bellica sta sostenendo il recupero economico del paese. Dopo aver chiuso un 2022 con un Pil in calo del 2,1 per cento, nel 2023 l'Fmi prevede una crescita dell'1,5. In forte miglioramento rispetto alle prime stime post-invasione, secondo le quali l'economia russa sarebbe dovuta crollare di oltre 3 punti percentuali.

Il buco di bilancio si allarga

A Mosca però le preoccupazioni si concentrano sul deficit crescente del governo. Nei primi sei mesi dell'anno ha raggiunto i 30 miliardi di dollari, più delle aspettative. La Federazione Russa non può - a causa delle sanzioni - finanziarsi sul mercato, e sarebbe costretta a vendere le proprie riserve monetarie rimanenti per colmare un eventuale deficit eccessivo. 

Il peggioramento dei saldi del bilancio pubblico è frutto delle minori vendite di petrolio e gas, da cui dipende buona parte del gettito dello Stato. Nei primi sei mesi dell'anno l'incasso dalle tasse sulle esportazioni di idrocarburi si è fermato a quasi la metà rispetto al primo semestre 2022. E il dato risulta in calo anche a confronto con gli stessi mesi del 2019 e del 2021.

 

Il blocco delle forniture di gas russo in Europa e l'embargo occidentale, con price cap annesso, al petrolio hanno ridotto le entrate di Mosca senza intaccare i volumi di idrocarburi disponibili sul mercato. Anche se nel mese di luglio il prezzo medio di vendita del petrolio russo - secondo l'Agenzia Internazionale dell'Energia - ha superato il tetto al prezzo fissato a 60 dollari al barile, e i ricavi risultano in crescita.

Sanzioni "bucate"

Nonostante il blocco commerciale introdotto da Europa e Stati Uniti nei confronti di Mosca per tutti quei prodotti che potrebbero essere utilizzati per la fabbricazione di armamenti, i missili russi che colpiscono le città ucraine continuano a contenere tecnologia e componenti di fabbricazione occidentale.

I dati analizzati dall'Institute of International Finance mostrano in effetti un incremento anomalo dei flussi commerciali di alcuni paesi europei verso le repubbliche centro-asiatiche - Georgia, Kazakistan, Uzbekistan in primis. 

Dati che dimostrano il parziale fallimento delle sanzioni occidentali, che non riescono a evitare la triangolazione di prodotti utili allo sforzo bellico.