L’Italia rispetto alle medie internazionali sul divario tra età legale ed effettiva per accedere alla pensione si posiziona ad un livello anagrafico più basso. Una situazione che pesa non poco sulle casse della previdenza
In Italia siamo tra i primi Paesi al mondo per speranza di vita. E questa è un’ottima notizia, ma se guardata con l’occhio dei conti previdenziali ha un rovescio della medaglia, cioè anche la vita lavorativa deve durare di più. Ecco perché gli anni necessari per il raggiungimento della pensione si sono via via allungati per arrivare ai 67 di oggi. E sono tra i più alti dell’area Ocse. L’età legale per ritirarsi dal lavoro varia da Paese a Paese, ma in generale è già aumentata rispetto al passato o sono previste norme che la innalzeranno negli anni a venire.
L’età effettiva di pensionamento
Dai requisiti anagrafici richiesti sulla carta, per tutta una serie di agevolazioni o deroghe, dalle baby pensioni alle varie forme di prepensionamento l’età reale con la quale si esce dal mondo del lavoro risulta però ben più bassa.
Ma secondo i più recenti dati del 2019 dell’Osservatorio Itinerari Previdenziali in Italia la media si è leggermente alzata. Gli uomini lasciano l’ufficio o la fabbrica quando hanno 64 anni e le donne a 63 e 6 mesi.
L’Italia è tra i Paesi con una aspettativa di vita più alta
Da noi si gode di un’aspettativa di vita elevata anche se nel 2020 si è ridotta di 14 mesi per la pandemia. Rimanendo però sui dati pre-Covid per poter far un confronto internazionale, nel 2018 in media, le donne dopo i 65 anni potevano sperare di vivere ancora 22 anni e 4 mesi e gli uomini 19 e 2. In proporzione si allunga così anche il periodo di percezione dell’assegno. Siamo 4° dopo Francia, Grecia e Spagna.
Mentre la media Ocse si ferma a 17 anni e 8 mesi per gli uomini e 22 e 5 per le donne.
L’impatto dei prepensionamenti sulle casse della previdenza
In conclusione, andare in pensione anni prima dei limiti fissati per legge vuol dire pesare poi più a lungo sulle casse previdenziali. Il calo demografico e i pochi versamenti contributivi causa lavori discontinui e precari, non rendono poi facile dal punto di vista delle risorse, affrontare interventi su ulteriori forme di flessibilità in uscita. Un tema ben presente proprio in questi giorni per chi deve amministrare i conti pubblici.