L’Inps analizza le opzioni per dare la possibilità di lasciare il lavoro prima dei 67 anni. Tre quelle più gettonate, con costi per lo Stato e peso dell'assegno molto diversi
Lo spauracchio si avvicina: da gennaio non ci sarà più Quota 100, non si potrà dunque andare in pensione a 62 anni e con almeno 38 di contributi, e così, se il governo non farà nulla, per lasciare il lavoro bisognerà aver spento 67 candeline.
Esistono già altri sistemi per anticipare l’uscita, con un taglio dell’assegno, ma per categorie specifiche di lavoratori. Si cerca quindi una soluzione per scongiurare il rischio "scalone", che non metta, però, in crisi i conti pubblici.
Quota 100 fornisce qualche indizio su come orientarsi: finora a scegliere questo anticipo sono stati meno di 300mila italiani, un terzo di quanto stimato quando la misura venne varata nel 2019 (quando si prevedeva una spesa di oltre 18 miliardi in tre anni).
Inoltre – sottolinea l’Inps – questa formula non ha stimolato, come sperato, il ricambio generazionale con le assunzioni di giovani. Per il futuro le proposte principali sono tre e l’Istituto di previdenza le analizza nel dettaglio.
La prima è quella che permetterebbe di andare in pensione con 41 anni di contributi a prescindere dall’età. E’ l’ipotesi più costosa: nel primo anno di applicazione servirebbero 4,3 miliardi, che salirebbero a 9,2 a fine decennio.
Meno onerosa la seconda opzione, quella che prevede 64 anni di età insieme a 36 di versamenti previdenziali. In questo caso, l’assegno verrebbe calcolato interamente in base ai contributi e l’impatto sull’Erario sarebbe all’inizio di quasi 1,2 miliardi, per lievitare a 4,7 nel 2027.
Infine, l’anticipo caldeggiato dal presidente dell’Inps Pasquale Tridico, quello meno caro: quasi 450 milioni il primo anno per un picco di spesa di 2,4 miliardi nel 2029. In questo caso, si potrebbe lasciare l’impiego a 63 anni ma si riceverebbe una somma calcolata solo in base ai contributi maturati, la parte restante arriverebbe solo al compimento dei 67 anni.