Si può misurare il razzismo?

Secondo gli ultimi dati raccolti dall’Anti-Defamation League, negli Stati Uniti dal 7 ottobre 2023 sono aumentati del 48% i casi di antisemitismo nel Paese, ma anche i crimini d’odio contro le persone musulmane . In Italia non abbiamo dati confrontabili, perché manca un sistema di monitoraggio aggiornato in modo costante sugli atti razzisti. Ma è possibile capire le discriminazioni subite dalle comunità marginalizzate raccogliendo dati? Per quanto sia dimostrato che le razze biologiche non esistano, il razzismo, cioè le pratiche che perpetuano disuguaglianze nei confronti delle persone razzializzate, persiste, così come i crimini d’odio nei loro confronti. “È un tema che sta molto a cuore anche alla comunità delle persone razzializzate”, conferma Shata Diallo, consulente, speaker e divulgatrice sui temi di inclusione, “e il dibattito sulla raccolta dei dati è fondamentale per affrontare il razzismo in maniera efficace”. Negli Stati Uniti esiste una produzione statistica a livello nazionale basata sulle razze e sulle etnie, storicamente strutturata in questo modo proprio per motivi discriminatori, e cioè per contare in modo separato gli schiavi e le persone libere. L'ultimo censimento decennale, del 2020, conteneva invece 63 possibili categorie razziali: sei per le razze singole e 57 per le razze combinate. Nel sito dell’ufficio nazionale per il censimento è spiegato che le domande sulla razza "sono fattori cruciali nella ricerca di base dietro numerose politiche, in particolare per i diritti civili", e sono utilizzati "per valutare i programmi e le politiche governative al fine di garantire che servano in modo giusto ed equo le esigenze di tutti i gruppi razziali e per monitorare la conformità con le leggi, i regolamenti e le politiche antidiscriminatorie". Secondo questa prospettiva, quindi, prendere in considerazione il razzismo significa osservare come l’essere una persona razzializzata possa avere un impatto su diversi ambiti della vita. Esistono poi strumenti per monitorare gli atti razzisti estremi, come quello messo a punto dall’Anti-Defamation League con il tracking del Centro sull’estremismo, che include crimini d’odio e anche casi di molestie verbali e discorsi nei campus universitari. Secondo gli ultimi dati disponibili, negli Stati Uniti ci sono stati oltre 10mila episodi di antisemitismo nell'anno successivo all'attacco di Hamas contro Israele del 7 ottobre 2023, il numero più alto mai registrato in un singolo anno dal 1979. Ma secondo altri dati del Center for the Study of Hate and Extremism della California State University di San Bernardino anche i crimini contro i musulmani sono aumentati del 51%, con picchi a partire da ottobre 2023 e i crimini contro gli arabi sono aumentati del 136% . Misurare il razzismo in Italia e in Europa In Europa e in Italia invece non è possibile osservare in modo sistematico e confrontabile il razzismo tramite censimento. “Storicamente, la raccolta di dati sulla razza è stata utilizzata per la profilazione razziale e questo crea preoccupazioni su come i dati delle persone razzializzate potrebbero essere sfruttate”, sostiene Diallo. Diverse agenzie e istituzioni raccolgono informazioni su episodi di razzismo nel nostro Paese, ma i metodi e le finalità di queste raccolte variano notevolmente. Esiste l’Osservatorio per la Sicurezza contro gli Atti Discriminatori , che collabora con l’Osce nell’aggiornamento dei dati , e l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali , che si occupa di discriminazioni non penali, e lavora con Istat per la raccolta dati tramite indagini periodiche. A livello indipendente l’associazione Lunaria aggiorna un database che funziona però più come un archivio della memoria, statisticamente non rilevante, come ci tengono a precisare, sugli episodi di razzismo segnalati al loro sportello. Al suo interno è possibile rintracciare più di 8.723 casi che consentono di ricostruire l’evoluzione del razzismo quotidiano dal 2007 in poi: “Quello che proponiamo nel nostro database è dunque un racconto, sicuramente parziale e discrezionale, che sfugge a qualsiasi interesse per l’analisi quantitativa”, scrivono. Eppure servirebbe questa analisi quantitativa. Nel suo saggio Misurare il razzismo pubblicato da La nave di Teseo nel 2022, l’economista francese Thomas Piketty propone di istituire un monitoraggio annuale delle discriminazioni all’interno delle imprese, riportando il razzismo a una dimensione socio-economica, più legata alle disuguaglianze tra le classi sociali che alle convinzioni culturali. Piketty cita due studi che a distanza di 7 anni hanno misurato le discriminazioni nell’accesso al lavoro delle comunità razzializzate: nel 2014 dei ricercatori dell’Università Paris-I e dell’École d’économie hanno inviato curricula falsi in risposta a 6.230 offerte d’impiego, variando in modo casuale nominativi e contenuti. “A parità di curriculum”, si legge nel saggio, “quando il cognome sembra richiamare un’origine arabo-musulmana e il candidato è di sesso maschile il tasso di risposta crolla pesantemente: meno del 5% riesce a ottenere un colloquio, rispetto al restante 20% del campione esaminato”. E nel 2021, anno del secondo studio, i nominativi “con parvenza magrebina avevano tra il 30 e il 40% di probabilità in meno di essere contattati per un colloquio”. Il limite delle raccolte dati anti-discriminazioni Il limite di queste rilevazioni, così come delle indagini campionarie condotte anche nel nostro Paese, è che spesso sono portate avanti da istituti diversi, con metodologie non omologate e impossibili da confrontare. Per Diallo “un altro problema è come vengono definiti i gruppi di riferimento. Nel contesto del razzismo vengono spesso mescolate diverse categorie, come migranti, seconde generazioni, persone con background migratorio e rifugiati. Ma il razzismo è un fenomeno molto specifico, e questa confusione rende difficile una corretta analisi dei dati, generando una lettura distorta delle dinamiche di oppressione”. Poi c’è il tema dell’intersezionalità, che riguarda le diverse caratteristiche di una persona: “ad esempio, oggi i dati Istat indicano che la provenienza etnico-raziale e la religione sono i fattori che maggiormente aumentano la probabilità di subire discriminazioni in Italia, ed è importante quindi comprendere come questi dati vengono incrociati per catturare le sfaccettature delle diverse forme di discriminazione”. Il dibattito su questo tema in Italia esiste, da poco tempo, anche grazie all’Intergruppo parlamentare sui diritti umani: lo scorso maggio ha presentato al Senato un manifesto antirazzista dove si chiede anche di “analizzare e contrastare le forme di oppressione sistemica e strutturale in atto nella nostra società”. Un primo passo è fatto.