Cosa dicono i dati sulle molestie nelle università

Il caso del professore della facoltà di architettura di Genova indagato per aver utilizzato l'intelligenza artificiale per "spogliare" le foto di alcune studentesse e poi condividerle su Telegram ha riaperto la questione delle molestie nelle università italiane, che quest’anno ha coinvolto anche l’università Sapienza di Roma, quando a marzo gli studenti, insieme ad attiviste delle associazioni femministe, avevano occupato la sede facoltà di sociologia della Sapienza per chiedere dei centri antiviolenza gestiti dal basso e rispondere alle molte richieste d’aiuto delle studenti. Altre segnalazioni negli ultimi mesi hanno coinvolto l'ex direttore della scuola di specializzazione in medicina legale di Torino, Giancarlo Di Vella, posto agli arresti domiciliari con accuse che includono violenza sessuale, minacce e stalking, mentre un docente di estetica della facoltà di filosofia, Federico Vercellone, è stato sospeso per un mese per comportamenti molesti nei confronti di alcune dottorande. Secondo le segnalazioni delle studentesse però, i casi di molestie sarebbero molti di più: il centro antiviolenza del campus Einaudi di Torino ne ha registrati 138, e altre segnalazioni sono emerse in un questionario diffuso dal collettivo Studenti Indipendenti e dal movimento femminista e transfemminista "Non una di meno". Oggi, tra l’altro, quel docente sospeso è rientrato e risulta titolare di quattro cattedre, denuncia il collettivo studentesco Cambiare Rotta. Anche a Genova si è fatta sentire la forte reazione da parte degli studenti, culminata nella protesta di tre studentesse incatenate alle colonne della sede dell'ateneo in via Balbi 5 per richiedere la creazione di un centro antiviolenza all'interno dell'università e garantire tutela a chi subisce abusi. Quanti sono i casi, dove sono i dati? I dati sulle molestie nelle università italiane non sono facilmente confrontabili se si vuole osservare il dato quantitativo, e cioè misurare l’entità del fenomeno. Per esempio, secondo un sondaggio realizzato da Sinistra Universitaria nell’ambito dell’università Sapienza di Roma, tra novembre 2023 e marzo 2024 su 1.300 persone, in 160 hanno dichiarato di aver subito una molestia all'interno dell'istituto, mentre 50 persone hanno riferito di essersi sentite vittime di violenza, sia sessuale che psicologica. Il 30% degli intervistati ha dichiarato di non sentirsi sicuro all'interno dell'ateneo. I dati raccolti includono anche segnalazioni di "atteggiamenti subdoli da parte dei docenti, bibliotecari che importunano le ragazze nei bagni e studenti che si scambiano foto private di studentesse senza il loro consenso". Secondo i dati di un sondaggio nell’ambito del progetto UniSAFE su 46 università europee in 15 Paesi, compresa l’Italia, il 62% degli intervistati - tra studenti e lavoratori - ha subito almeno una forma di violenza di genere da quando frequenta la propria istituzione. La percentuale sale al 68% tra chi si identifica come LGBTQ+, al 72% tra chi ha una disabilità o malattia cronica, e al 69% tra chi appartiene a un gruppo etnico minoritario. La violenza psicologica è la forma più diffusa, riportata dal 57% degli intervistati. Quasi uno su tre ha subito molestie sessuali all'interno della propria istituzione, mentre il 6% ha subito violenza fisica e il 3% violenza sessuale. Uno su dieci ha segnalato che il proprio lavoro o i propri studi sono stati compromessi da violenza economica. Solo il 13% di chi ha subito violenza di genere ha scelto di denunciarla. Quasi la metà ha dichiarato di non essere sicura che il comportamento fosse abbastanza grave da giustificare una denuncia. Il 31% delle vittime ha spiegato che, al momento dell'episodio, non riconosceva quel comportamento come violenza. “Il rapporto tra studenti e professori è spesso segnato da dinamiche di potere e sappiamo che quello della facoltà di architettura non è un caso isolato”, dice Leonardo Ambrosio, 21, studente di filosofia del collettivo Cambiare rotta di Genova. “Anche oggi siamo in piazza per chiedere che il rettore ci ascolti e renda gli studenti partecipi dei processi decisionali”, denunciano. La richiesta del collettivo per un centro antiviolenza è infatti stata scartata dalla governance universitaria senza consultare il Comitato Pari Opportunità, preferendo invece un semplice "punto di ascolto", considerato dagli studenti del tutto inadeguato. Un centro antiviolenza in ogni facoltà L'importanza di un centro antiviolenza in ogni facoltà è ribadita anche dalle ricerche condotte in altre università italiane. Nel libro "Rompere il silenzio. Per un’università libera da molestie e violenze di genere" a cura di Marco Deriu e Tiziana Mancini, una ricerca dell'università di Parma ha evidenziato che una percentuale significativa di studenti e studentesse ha subito o assistito a comportamenti discriminatori o molestie. Nonostante la presenza di alcuni strumenti di supporto, molte vittime scelgono di non denunciare per paura di non essere credute o tutelate adeguatamente. Nel saggio emerge come negli ultimi anni il problema delle molestie e delle violenze in ambito universitario sia stato portato alla luce spesso grazie a iniziative provenienti dalla componente studentesca. Per esempio, nel novembre 2022 la pagina Instagram Spotted Polito riportò i messaggi di due profili social anonimi, che identificavano dei casi di molestie ai danni degli studenti e delle studentesse del Politecnico. A partire da lì, si avviò un’inchiesta interna che portò alla sospensione di due docenti. Queste iniziative, come anche la protesta di Genova, mostrano quanto sia cruciale il ruolo degli studenti nel rompere il silenzio su temi che, altrimenti, rimarrebbero confinati all’interno delle istituzioni accademiche. "Anche se gli studenti si incatenano al freddo, con la solidarietà di centinaia di professori, non c'è modo di farsi ascoltare dalla dirigenza", affermano gli studenti di Cambiare rotta. Questo, sottolineano, è “un problema sistemico legato a come è strutturata l'università, dove il dialogo e la partecipazione attiva degli studenti sono spesso relegati a un ruolo marginale”. Ma l’ascolto - e una raccolta dati puntuale - possono invece fare la differenza.