La storia di Libera che porta alla Consulta il tema dell’eutanasia

Per la prima volta, il tema dell’eutanasia approda alla Corte Costituzionale. L’8 luglio la Consulta sarà chiamata a pronunciarsi sul caso di “Libera” – nome di fantasia scelto per tutelare l’identità di una donna toscana di 55 anni affetta da sclerosi multipla progressiva. Libera possiede tutti i requisiti previsti dalla sentenza n. 242/2019 della stessa Corte per accedere al suicidio medicalmente assistito, ma a causa della paralisi che la immobilizza dal collo in giù non è in grado di somministrarsi autonomamente il farmaco letale. Assistita dai suoi legali, coordinati da Filomena Gallo, segretaria nazionale dell’Associazione Luca Coscioni, si è rivolta al tribunale di Firenze per chiedere che sia il suo medico di fiducia a poterle somministrare la sostanza. Il 30 aprile, però, il tribunale ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 579 del codice penale, quello che regola l’ “Omicidio del consenziente”. La storia di Libera “Libera è una donna pienamente capace di autodeterminarsi e di compiere scelte consapevoli”, afferma Filomena Gallo, che ha seguito il suo caso fin dall’inizio. “È affetta da una patologia irreversibile, che ritiene intollerabile, e si trova sottoposta a trattamenti di sostegno vitale. In base alla sentenza Cappato della Corte Costituzionale – continua Gallo – Libera ha richiesto all’azienda sanitaria la verifica dei requisiti per accedere alla morte volontaria assistita. Solo dopo aver ottenuto il lasciapassare dall’autorità sanitaria, l’Associazione Luca Coscioni si è attivata insieme a Libera per cercare soluzioni che le consentissero di assumere autonomamente il farmaco letale, ad esempio dispositivi azionabili con la bocca o con gli occhi. Purtroppo, in Italia tali strumenti non esistono, perciò abbiamo chiesto al giudice di Firenze di autorizzare un terzo soggetto alla somministrazione del farmaco”. A questo punto, il tribunale di Firenze ha sollevato la questione di legittimità costituzionale sull’articolo 579 del codice penale, che punisce chi cagiona la morte di una persona con il suo consenso, prevedendo una pena dai sei ai quindici anni di reclusione. “È proprio quell’articolo – spiega Filomena Gallo – che impedisce a Libera di portare a termine la sua scelta. Per questo motivo, il ricorso presentato in tribunale ha chiesto da un lato l’autorizzazione, dall’altro ha sollevato al giudice la possibile questione di legittimità costituzionale riguardante l’articolo 579 del codice penale”. il fine vita in italia, oggi “Attualmente, nel nostro ordinamento – spiega Gallo – una persona che sceglie di porre fine alle proprie sofferenze può chiedere che non vengano avviati trattamenti sanitari o che siano sospesi quelli in corso. Il medico, infatti, ha il dovere di evitare ogni forma di accanimento terapeutico e può intervenire con la sedazione palliativa profonda per alleviare il dolore”. Questo percorso è reso possibile dalla giurisprudenza maturata negli ultimi anni e dalla legge n. 219 del 2017, che disciplina le Disposizioni Anticipate di Trattamento . “Un’altra strada percorribile – prosegue Gallo – è stata aperta dalla sentenza n. 242 del 2019 della Corte Costituzionale, che ha escluso la punibilità dell’aiuto al suicidio medicalmente assistito. In base a questa sentenza, il Sistema sanitario nazionale deve accertare le condizioni cliniche della persona malata e, previo parere favorevole del Comitato etico, verificare le modalità con cui l’aiuto alla morte volontaria può essere prestato”. Tuttavia, il presupposto essenziale per il suicidio assistito è che la persona sia in grado di autosomministrarsi il farmaco letale: una possibilità che, nel caso di Libera, è preclusa dalla sua condizione fisica. Ed è proprio questo limite che ha riacceso il dibattito sull’eutanasia. “Auspichiamo che l’8 luglio – conclude Filomena Gallo – la Corte accolga il dubbio di legittimità costituzionale. Oggi esiste una discriminazione tra chi può esercitare la propria libera scelta e accedere all’aiuto alla morte volontaria, e chi, pur avendo tutti i requisiti, non è in grado di autosomministrarsi il farmaco e ha bisogno che sia un terzo a farlo per lui”.

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