IL LIBRO DELLA SETTIMANA La storiografia lo ha descritto come un personaggio violento e sanguinario, ma l’imperatore romano è stato anche un grande innovatore. Una biografia ne ricostruisce la storia
Sanguinario, spietato, irascibile: di Marco Aurelio Severo Antonino Pio Augusto (188-217 d.C.), più comunemente noto come Caracalla, la storiografia ha fatto strame. Non solo. Se il ritratto consegnato ai posteri non è benevolo, l’album di famiglia è persino peggio. In ordine sparso: lo zio venne considerato un pessimo imperatore, macchiatosi dell’uccisione di parecchi senatori; il padre restò negli annali come un grande generale colpevole però di non aver mantenuto la parola; il fratello venne ucciso crudelmente tra le braccia della madre. Messa così, sembrerebbe solo una delle tante storie trucolente custodite nell'Urbe. Eppure, se il principato di Caracalla, di soli sei anni, è ancora oggi uno dei più noti, una qualche ragione ci sarà, e non sarà solo legata alla costruzione di una delle terme più grandiose di epoca romana.
Da bimbo amabile a imperatore sanguinario
L’inizio di questa storia ci restituisce un ritratto decisamente diverso dal temerario assetato di sangue e di vendetta. Come racconta lo storico Alessandro Galimberti in una bella biografia pubblicata da poco da Salerno (pp. 252, euro 19), almeno finché vive “sottomesso ai genitori” Caracalla è considerato un ragazzo amabile, intelligente e affabile, “caro non solo agli amici dei genitori, ma persino al popolo e al senato” e attorniato da eruditi e giuristi di primo calibro come Papiniano. Il santino imperiale inizia a sgretolarsi nel 205, quando il futuro imperatore, insieme al padre Settimio Severo, decide di uccidere il prefetto del pretorio più potente dei suoi tempi (Fulvio Plauziano) colpevole di aver accentrato su di sé ambizioni allarmanti e di aver cullato persino l’idea di fare fuori la dinastia dei Severi. È di Caracalla – che di Plauziano è tra l’altro genero, avendo sposato la figlia – l’idea di far fuori il prefetto. Un gesto sanguinario (di certo non inedito nella storia romana), ma decisamente poca cosa rispetto a quello che accade sei anni dopo.
Il fratricidio
Nel 211, infatti, Caracalla decide di uccidere di suo pugno il fratello Geta, che con lui qualche mese prima ha ereditato il potere dal padre. Non solo. Decide di farlo in un agguato, quando questi è letteralmente tra le braccia della madre. È il punto di non ritorno e insieme il chiodo al quale la storiografia appenderà post-mortem il ritratto dell’imperatore. Un’operazione, quella del discredito storiografico, che - come tiene a puntualizzare Galimberti - sarà realizzata innanzitutto per ragioni politiche: nel suo breve regno Caracalla, infatti, entrerà in aperto conflitto con i senatori, avvicinandosi moltissimo all’esercito, a cui invece riconoscerà un ruolo essenziale nella difesa e nell’espansione dell’impero.
Le terme
Ma, al netto dei giudizi degli storici vicini ai senatori, è davvero così esecrabile l'eredità di Caracalla? Sembra proprio di no. Nel suo libro, Galimberti spiega bene la grandiosità di una visione imperiale a tratti ingiustamente trascurata. E si sofferma in particolare su un anno cruciale per il regno: il 212, che non è un caso sia l’anno dopo il fratricidio. È in quel torno di mesi che Caracalla dà avvio all’edificazione delle terme, con la simultanea costruzione di un grande acquedotto. Un’opera monumentale e di grande impatto sociale, che prevede il coinvolgimento di oltre 10mila lavoratori. Numeri, questi, difficilmente raggiunti ed eguagliati per la costruzione di altri monumenti. Il risultato? “La portata dell’acquedotto, compresa tra 16mila e 20mila metri cubi di acqua al giorno, era sufficiente per una moderna città di 70mila abitanti; erano state sviluppate almeno 3500 metri cubi di tubazioni di piombo per un peso complessivo di 550 tonnellate; c’erano 49 forni di riscaldamento, che dovevano consumare non meno di 10 tonnellate di legno, che garantivano un’autonomia di 7 mesi”.
Un impero universale
Un’opera grandiosa, certo, ma di certo non la più significativa della visione imperiale di Caracalla. È sempre nel 212 infatti che l'imperatore vara il provvedimento più rivoluzionario del suo regno: la cosiddetta “Constitutio Antoniniana” , con la quale concede a quasi tutti gli abitanti dell’impero la cittadinanza romana. Per capire la straordinarietà di quel provvedimento Galimberti ricorda come fino a quel momento Roma era solita concedere la cittadinanza in due modi: “Singolarmente, cioè a individui che si erano particolarmente distinti per i loro meriti o avevano militato sotto le insegne romane nonché ai figli degli schiavi liberati; oppure a intere comunità secondo diverse modalità e gradazioni”. Ora Caracalla, in un colpo solo, estende la cittadinanza a tutti gli abitanti dell’impero. Una decisione coerente con la visione di dar vita a un impero universale, contrastando “la declinante ideologia senatoria che si frapponeva da troppo tempo alla concessione della cittadinanza romana al di fuori della penisola italica”.
La morte ingloriosa
Il principato di Caracalla si concluderà cinque anni dopo con una morte tragica e poco gloriosa (assassinato alle spalle mentre si ritira in disparte “per un impellente bisogno”), contribuendo a condannare agli occhi degli storici ancora più nettamente la sua figura. Il ritratto che ci restituisce Galimberti ha il grande merito di ripristinare i chiaroscuri di un periodo molto più complesso di quanto non si sia volutamente raccontare. Partendo dalle fissazioni dell’uomo (proverbiale il suo culto per Alessandro Magno), dei suoi fallimenti (soprattutto militari) e delle sue contraddizioni, e procedendo poi a un’esplorazione delle fonti che non sacrifica mai la godibilità della lettura e che lascia aperto il varco all’aneddotica. A cominciare dal soprannome con cui è passato alla storia: la “caracalla” è un mantello da lui stesso ideato, con un cappuccio che scende sulla fronte, adattata sulla scorta dei modelli germanici e in grado di suscitare un discreto successo soprattutto perché distribuito alla plebs urbana su ordine espresso dell’imperatore.