Sulla "famiglia del bosco" una speranza: che a vincere siano i bambini

L’ormai cosiddetta "famiglia del bosco" è naturalmente uno spunto per chi, come me, non fa che interrogarsi sulle relazioni che agli altri ci legano, dagli altri ci slegano e sull’amore che, mentre ci formiamo, impariamo a dare e a ricevere. La vicenda è fin troppo nota: una coppia anglo-australiana, Nathan Trevallion e Catherine Birgmingham, genitori di una bambina di otto anni e di due gemelli di sei, in un bosco dalle parti di Chieti, seguiva lo stile di vita del neoruralismo, movimento che rifiuta le regole dettate dalla società contemporanea, la televisione i social e compagnia, e crede nell’unschooling, cioè in una forma di apprendimento guidata dalle vocazioni più profonde di un piccolo essere umano che cresce. In sintesi: comanda la natura, comanda l’istinto, comanda il figlio, gli adulti assecondando - la natura e l’istinto e i figli. Fino a quando, a cominciare da un’intossicazione per funghi che ha portato la nostra famiglia dritta al pronto soccorso, i servizi sociali non hanno cominciato a tenerli d’occhio, a studiare le loro abitudini, le condizioni sanitarie dell’alloggio, del bagno, e qualche giorno fa, per un’ordinanza del Tribunale dei Minori, bambini e madre sono stati allontanati dal padre e trasferiti in una comunità educativa dove al momento sono “sotto osservazione”. A schierarsi di pancia dalla parte dei genitori o della decisione del Tribunale ci stanno già pensando politici e opinionisti: per quanto mi riguarda, invece, aspetto di saperne di più e intanto, inevitabilmente, penso a Captain Fantastic, il film culto di Matt Ross che ha la poesia di certe preghiere e la precisione di un trattato di neuropsichiatria infantile, mentre racconta di un altro bosco, nascosto lungo la costa americana nord-occidentale, dove pure si è rifugiata una famiglia. È il padre, Captain Fantastic appunto, interpretato da un definitivo Viggo Mortensen, ad avere ostinatamente voluto allontanarsi con la moglie e i sei figli dalla società così com’è diventata, per proteggere la prima dal male oscuro, la depressione con cui combatte da sempre. E per insegnare ai bambini a cacciare, a coltivare, per allenare il loro corpo e la mente in una connessione assoluta con la natura, mentre anziché festeggiare il Natale li educa a festeggiare il compleanno di Noam Chomsky, anziché fargli vedere un qualche corrispettivo statunitense di Peppa Pig gli fa leggere Middlemarch e discute con loro dei fondamenti teorici del marxismo, degli emendamenti della costituzione americana…Fino a quando, anche qui, dal bosco si finisce in ospedale: perché la moglie di Fantastic, la fragile, complicata moglie, si toglie la vita. Il ruolo del Tribunale a questo punto lo prende il suocero di Fantastic: le tue idee assurde, maledetto Fantastic, hanno ucciso mia figlia, non gli permetterò di uccidere i miei nipoti. Ma le mie idee assurde hanno invece allungato e illuminato la vita di tua figlia, che è stata e resterà la mia sposa adorata: solo grazie al nostro bosco, almeno per qualche anno, è riuscita a difendersi dal bosco quello sì pericoloso e buio che si ritrovava dentro. Guardate questo capolavoro, se non lo conoscete, o riguardatelo: grazie alla faticosa rinuncia di entrambe le parti a qualsiasi ideologia a cui erano abituate a tenersi strette, alla fine, a vincere sarà l’amore. Saranno i bambini. È la mia speranza anche per il futuro che aspetta la famiglia Trevallion: e naturalmente una speranza è quanto di più lontano possa esserci da un’opinione.

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Sulla "famiglia del bosco" una speranza: che a vincere siano i bambini

Chiara Gamberale