6 in condotta: prima di punire dovremmo chiederci e chiedere “perché”

Prego, scomodati che parliamo di ordine delle priorità. … se ci riesco, perché oggi mi trovo più di altre volte alle prese con la fatica di porre l’attenzione su elementi della nostra realtà che a mia sensibilità dovrebbero avere a che vedere più con una saga di Asimov che con il mio pezzo settimanale per Sky Insider. Diamo un senso a partire dall’inizio, che potremmo identificare nei numeri: secondo i dati del Ministero dell’Istruzione e del Merito, nell’anno scolastico 2023/2024 ci sono stati 32 episodi di violenza nelle scuole superiori, 31 nel primo ciclo, 7 casi che hanno coinvolto il personale ATA e 33 episodi allargati che hanno visto protagoniste anche le famiglie. I più colpiti sono i docenti, con 57 segnalazioni. Ora: la mia severa discalculia è nota, ma persino io arrivo a capire che i numeri restano comunque molto molto piccoli, se correlati con quello degli studenti italiani, che complessivamente sono più o meno sette milioni. Riassumiamo brevemente fin qui: su sette milioni di ragazzi, si sono registrati un centinaio di episodi , certamente da considerare - come quello che in generale riguarda i minori, ma forse non da mettere ai primi tre posti di un’agenda già fitta. Generalmente, tra le sanzioni disciplinari a disposizione della scuola per rispondere al cattivo comportamento degli studenti il carnet prevede la nota sul registro, la sospensione e il voto in condotta. Ora, con stretto riferimento sempre ai numeri ufficiali, meno dell’1% degli studenti delle scuole superiori statali ottiene oggi un voto di comportamento inferiore a sei decimi , mentre quelli con la sufficienza oscillano dal 3,6% del biennio all’1,6% al quarto anno, alla soglia della maggiore età. Più basse ancora, le percentuali nelle scuole paritarie. Un altro forse noioso - ma, a mio modo di vedere, utile - snodo del ragionamento è dunque che: su milioni di studenti delle scuole superiori, una manciata ha il 6 in condotta - tendenzialmente come esito di una reiterazione di comportamenti di lieve, media o severa gravità dal disturbare programmaticamente le lezioni, all’usare i balconi per passare da una stanza all’altra in gita scolastica, allo scardinare una porta che finisce in testa al docente al suo ingresso in classe per fare uno scherzo da postare online mandando invece anziché il video virale, il professore in pronto soccorso. Sto minimizzando? Non sto affatto minimizzando. Risulto sul filo del cinismo e/o dell’ironia? Non ne ho intenzione alcuna mio lettore scomodo e te lo dimostro subito: per me è tutto dannatamente importante quando si tratta dei più giovani, per cui ti complico ulteriormente la faccenda e aggiungo - non può mancare - un interrogativo sulle cause di suddetti comportamenti. Da un possibile ADHD non diagnosticato, alla purtroppo fisiologica propensione al rischio dovuta all’immaturità frontale, alla naturale funzione evolutiva della trasgressione in adolescenza fino ad un eventuale ritardo cognitivo o una manifestazione di grave malessere a rischio di deriva antisociale, il perché facciamo o non facciamo qualcosa è sempre e solo l’unica domanda intelligente da farsi - tant’è che il più delle volte non ce la si fa. L’adulto non competente fatica a capire l’adolescente, ma qualcosa si trova spesso a dovere pur fare. E allora che fa? Sanziona, minaccia, punisce, reprime. Ed eccoci giunti al punto. Per questo sparuto numero di ragazzi e ragazze la riforma Valditara prevede che dal nuovo anno scolastico il comportamento venga considerato alla stregua di ogni altro insegnamento. Accadrà infatti che con il 6 il condotta si verrà rimandati a settembre , quando si dovrà presentare il proprio “compito di cittadinanza”: un elaborato di massimo 1200 parole a fronte delle quali il consiglio di classe valuterà la “redenzione” dello studente o della studentessa in questione. Mi piacerebbe fosse una delle mie boutade : “[…] tutto questo sarà curato dai docenti che, di certo, sanno valutare i loro studenti e non avranno difficoltà, come non la hanno, del resto, durante il corso dell’anno scolastico, a comprendere se di fronte c’è chi finge o chi ha compreso realmente”. Urca. I docenti che di certo sanno valutare chi finge o chi ha compreso realmente l’inadeguatezza del proprio comportamento, e farlo senza difficoltà. Ma in che senso, come, cosa? Sulla base di quale tipo di formazione, e in quale materia? Psicoanalisi dell’adolescenza? Giurisprudenza minorile? Neuropsichiatria? Valutazione delle fragilità psicosociali? Catechesi? Questa non è evidentemente un’invettiva contro i docenti, che al contrario vengono investiti dell’ennesimo onere non retribuito ed estraneo alle loro competenze e hanno tutta la mia inutile solidarietà. Questa è una riflessione preoccupata e accorata sul fatto che passi come “educativo e non punitivo” un dispositivo che ha invece il sapore di irregimentare con cecità un numero più che esiguo di comportamenti disattesi senza interrogarsi sulle cause, predisporre gli strumenti formativi specifici da fornire ai docenti, conoscere i ragazzi, il loro funzionamento, l’occorrente evolutivo e comportamentale per diventare adulti. Questa è l’amara constatazione del fatto che il nostro Paese ha un sistema scolastico con sette milioni di utenti e molte, molte mancanze. Alcune di queste mancanze, qualora colmate, sarebbero a beneficio della quasi totalità degli studenti , che da anni la richiedono senza esito - e di cui dispongono tutti gli altri Paesi europei - e invece la priorità pare attribuita alla riduzione di un fenomeno che non è nuovo, non è in crescita, non è con lo spauracchio della bocciatura che si affronterebbe proficuamente. Siccome cerco di predicare bene e razzolare altrettanto, mi interrogo sul senso, sullo scopo: fatico a individuarlo. La dottoressa Palumbo parla dei ragazzi che potrebbero potenzialmente rientrare tra quelli coinvolti nella suddetta riforma come degli studenti “irriverenti, offensivi e maleducati”. Aggettivi di non facile attribuzione, dalla codifica sfumata, passibili di dipendere pericolosamente dal contesto, dall’età, dagli input, dalla sensibilità individuale. Aggettivi consegnati a docenti che si crede in questo modo di valorizzare e che invece vengono messi nella posizione che a me parrebbe odiosa e anche poco edificante di gendarme/genitore putatitivo/giudice del Tribunale del Riesame. Mi pare che potesse essere più urgente e utile un intervento che riguardasse il 99% degli studenti. Ma mi pare altresì che come è stato pensato questo, potrebbe non rilevarsi educativo nemmeno per quell’1%, come ogniqualvolta si affronta un problema cercando di cancellarlo con la repressione, anziché fare la fatica di evitare che si ripresenti.

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6 in condotta: prima di punire dovremmo chiederci e chiedere “perché”

Stefania Andreoli